R E C E N S I O N E


Recensione di Riccardo Talamazzi

Anche nel caso in cui non fosse mai stata apprezzata, non si sarebbe potuto restare indifferenti alla stravagante struttura metafisica della musica dell’Arkestra, soprattutto quella di un tempo, quando il misterioso Sun Ra era ancora vivo – morì nel ’93. Ricordo un suo concerto, in uno stadio di provincia (!) verso la fine dei ’70. Era il tempo della Kosmische Musik e venne naturale un paragone tra il panciuto musicista americano che raccontava di viaggi interstellari – abbigliato in modo quanto meno “esuberante”, lui e tutti i suoi arkestrali – con i tanatoici tedeschi e le loro misteriche, cosmiche elettroacusticità. Due mondi simili per l’evocativa ambientazione extraterrestre ma diversi e lontani nella sostanza. E proprio un lontano pianeta del nostro sistema solare, Saturno per la precisione, è stato il corpo celeste che Sun Ra ha sempre nominato, soprattutto quando asserì di esservi stato trasportato fin dagli anni ’50, forse uno dei primi, singolari eventi di abduction della storia ufologica. Che sia vero o no, l’Arkestra ha continuato a suonare e a produrre musica, anche dopo il “nostos” del suo leader. E questo è potuto avvenire soprattutto per merito di Marshall Allen, oggi novantasettenne saxofonista, che ha retto la baracca con l’aiuto saltuario proprio del contrabbassista Tyler Mitchell, titolare di questo Dancing Shadows, e che appare qui spalla a spalla con lo stesso Allen. A dire il vero Mitchell entrò nell’Arkestra nel 1985 e partecipò all’uscita di due album della band, Reflections in blue dell’’87 e il seguente Hours after dell’88. Allen invece si affiancò a Sun Ra nel 1958 e ancora oggi soffia nel suo strumento con la stessa intenzione di allora, seppur con una energia consona all’età – comunque non così indebolita come si potrebbe sospettare. Il sestetto messo in piedi da Mitchell non è però un lazzaretto di suoni malati di nostalgia, tanto meno rappresenta l’avanguardia free di un tempo che oggi non è più.

Resta comunque l’impressione di una vulcanica officina che cerchi la mitica “terza via” ad unire insieme le antiche dinamiche free con direzioni più “commestibili”. Si riacciuffano allora invenzioni di stampo ellingtoniano e influenze da Charles Mingus, palesemente evidenti, ad esempio nella riedizione di Interstellar Low Ways. Accanto al contrabbasso, quindi, di Tyler Mitchell e al sax navigato di Marshall Allen, troviamo in Dancing Shadows altri due fiati, Chris Hemmingway al tenore e Nicoletta Manzini al sax alto. Completano il gruppo Wayne Smith alla batteria e Elson Nascimento alle percussioni.  

Si inizia con quella che ritengo sia la tra le tracce migliori del disco, Interstellar Low Ways, tratta dall’omonimo album pubblicato per la prima volta nel 1966. La resa di questa versione da parte di Mitchell si caratterizza con un tema intrigante tra Henry Mancini, Duke Ellington e Charlie Mingus e su cui improvvisano sia il sax irruente, a volte, di Allen sia quello più corposo e misurato di Hemmingway. Tutto piuttosto differente dal brano del ’66 che aveva un andamento più “sinfonico” rispetto alla maggiore dinamica presente in questo caso. Un cambio prospettico in cui non è possibile dichiarare quale versione sia migliore, dato il profilo di presentazione marcatamente diverso. Spaced out è un puro momento liberatorio, una ripresa free a tutti gli effetti, che prosegue coraggiosamente l’avventura di Mitchell e Allen senza alcuna concessione al “bel suono” che peraltro verrà comunque elargito in dosi abbondanti lungo il decorso dell’album. Angels and demons at Play proviene dall’omonima opera del 1966. Qui come allora s’allineano in parallelo i suoni acustici degli strumenti a fiato e percussivi con quelli elettronici ma questa volta gli effetti provengono dall’E.V.I (Electronic Valve Instrument) manovrato dallo stesso Allen. Si realizza un misterioso aleggiare, un insondabile territorio intermedio tra cosmo e Terra, reso ancor più enigmatico dal tema che procede lentamente senza scosse per tutta la lunghezza della traccia – se i Can non hanno preso da Sun Ra chi altro avrebbe potuto influenzarli con la medesima impronta? La misura di Skippy e la modalità di costruzione del brano ci fanno velocemente capire che qui siamo al cospetto di un grande “obliquo” del jazz come Theolonious Monk che scrisse il pezzo nel ’52 per la Blue Note – ma che venne pubblicato più tardi solo nel ’56. Skippy ha una pazzesca costruzione circolare, molto complessa, con un tema affascinante, ben interpretato dai fiati insieme ad un accompagnamento di batteria lineare e un contrabbasso che le respira attorno con efficace discrezione. Nico e Nico Revisited sono due ballads, teoricamente uguali ma rese solo simili da due versioni leggermente differenti e dedicate a Nicoletta Manzini – sax soprano – dove suonano i tre fiati del sestetto mentre basso e batteria si limitano a rimarcare l’atmosfera intima e piena di calore. Dancing Shadows è molto mosso ritmicamente e proviene da When Sun Comes Out edito nel 1963. È un vero e proprio viaggio a ritroso nel tempo, alle radici della Arkestra, con più o meno gli stessi atteggiamenti ritmici e la voglia di libertà armonica del periodo. La formazione ridotta rispetto a quella del’63 sposta il baricentro verso un nucleo più intimo ma che non cambia d’una virgola l’elemento intenzionale che anima lo stesso brano.

Care Free è una versione più sommessa dell’originale, nonostante le intemperanze free del sax di Allen. Il brano, come quasi tutti gli altri, viene preceduto da un breve incipit di contrabbasso, quasi a segnar la strada di percorrenza o forse, anche, per riportarci più semplicemente alla memoria la sorgente originaria che in questo caso è l’album Sun Ra at Inter-media Arts del 1991. In Marshall the Deputy si comprende come Allen possa essere stato considerato, a tutti gli effetti, il “vice” di Sun Ra ed era proprio con questo soprannome – deputy – che veniva da questi chiamato. Nonostante la sua non più verde età, Allen si cimenta in uno dei suoi rabbiosi assoli, sebbene supportato dagli altri due fiati e incalzato dal robusto drumming di Wayne Smith. Per Space Travellers valgono le stesse considerazioni esposte già per Spaced Out, quindi via a briglia sciolta e niente facili estetismi. Con Enlightenment si va a ritroso di qualche anno, nel 1959, periodo in cui esce l’album da cui questo elemento viene estratto e cioè Jazz in Silhouette. Una strana “illuminazione” riempie queste note, introdotte dal solito contrabbasso di Mitchell ma questa volta suonato con l’archetto. L’andamento ritmico in un sostenuto 2/4, molto velocizzato rispetto all’originale, mi ha rammentato qualche cosa dell’Apprenti Sorcier di Paul Dukas, stravolgendo forse un poco il senso primitivo del bellissimo tema che qui perde quel sottile velo di swingante romanticismo che invece possedeva in Jazz in Silhouette. A call for all demons – di demoni Sun Ra doveva averne parecchi – è tratto dal primo album in assoluto del pianista e della sua Arkestra, Jazz by Sun Ra. Il pezzo originale, già di per sé con alcune controllate dissonanze e la presenza di un insolito miscuglio tra percussioni latine e melodie orientali, viene qui smagrito nella struttura e adattato a sestetto. Nonostante l’operazione, come tutte quelle in questo disco sia ben riuscita, il brano preso a modello risulta comunque più piacevole, forse proprio per quella particolare atmosfera legata ai fifties e al suono più corposo orchestrale. 

Dancing Shadows, in conclusione, non è solo un omaggio alla personalità di Sun Ra, ahimè artista sottovalutato in vita e come spesso succede ossequiato post mortem. È anche una presa di coscienza del fatto, a mio parere unico nel suo genere, che un fiatista come Allen vicino a toccare i cent’anni di vita sia ancora in grado di aggredire e piegare il sax alle sue intenzioni. Tyler Mitchell, che ha un’importante carriera musicale parallela alla storia dell’Arkestra, ha riacceso la curiosità per mezzo del suo ben assortito sestetto al mondo delle misteriose simbologie di Sun Ra e alla bizzarria, se vogliamo, delle sue proposte umane e musicali. Certo, ora quest’ultimo è tornato su Saturno. Ma sulla Terra ha lasciato parte di sé, enigmi e geroglifici in cui ci si può perdere, nell’avvincente tentativo di decriptarli per coglierne la bellezza.

Tracklist:
01. Interstellar Lowways
02. Spaced Out
03. Angels and Demons at Play
04. Skippy
05. Nico
06. Dancing Shadows
07. Care Free
08. Marshall the Deputy
09. Nico Revisited
10. Space Travelers
11. Enlightenment
12. A Call for All Demons