R E C E N S I O N E
Recensione di Riccardo Talamazzi
Deve amarla molto l’Italia, il pianista Bernhard Schuler, per celebrarla così intensamente come ha fatto in quest’ultimo suo lavoro realizzato in trio. A partire dallo studio in cui è avvenuta la registrazione, l’ArteSuono di Stefano Amerio a Udine, ormai diventato un punto di riferimento europeo per la qualità sonora dei master. Una bella copertina che raffigura un paesaggio toscano e il titolo dell’album ambiguamente dedicato sia alla regione friulana che ad un’ipotetica figura femminile – Giulia, appunto – completano la presentazione. Non dimentichiamo, però, il tocco italiano per eccellenza, quello della tromba e del flicorno di Paolo Fresu, al solito molto sintetico ed evocativo, specialista nel creare bolle emozionali che regalano profonde risonanze nei brani in cui interviene. Ma è il clima della musica, molto melodico e di estrema gradevolezza, a suggerire quel certo piacere che si può avvertire davanti alla bellezza che decisamente non manca – sono altre le cose che mancano! – in questo Paese. Al netto della retorica che sottolinea la visione di molti stranieri – “good food, good wine, nice people”, per dirla come molti americani – l’italianità della musica proposta dai Triosence s’incentra, evidentemente, sulla prevalenza dello svolgimento melodico, tanto che lo stesso Schuler chiama le sue composizioni “song jazz”, inquadrandole quasi in uno stile che per la verità circola in Europa già da diversi anni. Si tratta di un modo d’intendere il jazz – o quello che ne resta, volendo polemizzare – che s’imbeve di matrice nordica, tedesca come in questo caso ma anche norvegese, svedese, finlandese. In questi meridiani, quindi, di regioni lontane dalla tradizione jazzistica più “pura”, le musiche diventano molto scorrevoli, senza ardimentose armonie, facendo prevalere un certo sviluppo orizzontale e degli assetti ritmici piuttosto lineari. Però la semplicità espressiva che troviamo in questo album è tutt’altro da certo semplicismo new-age, cioè quella dittatura della banalità che per decenni ha tormentato le nostre orecchie. È comunque facile, per Triosence, esercitare la “captatio benevolentiae” nei nostri riguardi. La leggerezza, intesa come qualità di vita e non come superficialità, è la caratteristica che evita di allontanare i jazzofili più tradizionalisti i quali resteranno comunque conquistati dal tono delicato e fuggevole di queste composizioni.

Il trio è composto, oltre che da Bernard Schuler al piano, anche da Tobia Schulte alla batteria e da Omar Rodriguez Calvo – già con i Tingvall Trio – al contrabbasso. Ospite Paolo Fresu, alla tromba e al flicorno, I brani sono tutti opera di Schuler, due dei quali dedicati rispettivamente uno a Chick Corea – Armando’s Farewell – e l’altro a Bill Evans – Needless to say.
Un delicato rubato di piano si presenta all’inizio del primo brano, Odd Times, cui segue il tema accompagnato da un incedere di batteria che diventa via via più evidente e che insieme al contrabbasso costituisce il moderato arrangiamento pop dell’intero pezzo. Un piano che procede lineare, senza increspature e senza particolari invenzioni armoniche. Little big step è assai più interessante con quell’abbrivio di contrabbasso che prelude al melodico incedere del pianoforte. La tromba morbidissima di Fresu si propone con uno spleen misurato, innescando un tema molto cantabile, caratteristica quest’ultima di quasi tutti i brani che seguiranno. Un velato accenno di swing nella parte di mezzo, una lieve salita di dinamica e poi ancora il contrabbasso a chiudere il lessico malinconico che caratterizza questa traccia. Il piano è rilassato ed accattivante nel suo fluire in modo naturale, quasi spensierato. Armando’s farewell, come si può capire, è dedicato alla scomparsa di Armando Anthony Corea, meglio conosciuto come Chick. Impostando una struttura armonica spagnoleggiante, tra cui qualche sprazzo di cadenze andaluse, Schuler non ha fatto altro che rimarcare l’amore che Corea portava per la musica spagnola e per il flamenco – ci ricordiamo tutti della Spanish Heart Band con Richard Bona. Effettivamente l’atmosfera e l’andamento tematico appartengono alla cultura musicale di Corea e intelligentemente Triosence ne ripropone la sostanza. Le percussioni latine e i grappoli di note al piano rendono questo brano brioso, stemperando quello che potrebbe essere un epicedio in un ricordo meno triste. Squirrel’s rock alza un po’ l’alcoolemia in un brano che sembra una canzone rock senza parole. L’assolo di piano è energetico ma è il contrabbasso a ricordarci che Triosence è – o dovrebbe essere – fondamentalmente un gruppo jazz. Comunque il tiro è buono, l’insieme funziona anche se tutto si mantiene all’interno di una struttura portante relativamente semplice. Giulia è una ballata in mid-tempo, forse con una punta di miele di troppo. L’aspetto migliore l’abbiamo nei minuti centrali dove il piano si lascia andare ad un assolo colmo di sentimento e così pure vale per il basso di Omar Calvo che possiede una efficace sonorità dalla cavata morbida.

Your Nearness è a mio parere tra i brani migliori della scaletta. La ricerca armonica si svincola dalle idee più semplificate per diventare una vera jazz ballad, grazie anche agli aromi che apporta Fresu, regalando l’impressione complessiva di una domenica estiva che scorre lenta. La suggestione di un brano come questo rimanda a certe colonne sonore degli anni ’60, Trovajoli e Ortolani in testa. Needless to say è un tributo a Bill Evans ma del maestro americano viene ripreso più che altro il tipico swing ritmico, piuttosto che le sue soluzioni armoniche. Apprezzabile il lavoro combinato di contrabbasso e batteria per mantenere la pulsazione di base. Con Ambiguity ritorniamo in canoni più vicini al mondo del rock, questa volta con inflessioni progressiv e latine. Il suono è molto pieno e denso, i musicisti mettono il pilota automatico e suonano sciolti in completa brillantezza. Quando parte If I only Knew finiamo, inaspettatamente e con una certa, piacevole sorpresa, in zona Jarrettiana, segno che quando vogliono, i Triosence sanno prendere di petto anche un jazz più elaborato e ”purificato” rispetto a quanto mostrato fino ad ora. Ottima la parte ritmica, con Schulte e Calvo che sembrano la coppia ringiovanita di DeJohnette & Peacock. Quiet Sense ci porta tra le braccia di una languida bossanova, quasi interamente condotta dall’aerea sensualità della tromba di Fresu. Un delicatissimo assolo di piano artiglia dolcemente la melodia portante partecipando all’atmosfera lounge fino all’inaspettata chiusura in cui il ritmo accelera – ma senza esagerare – diluendo la sensazione malinconica complessiva del brano. Chiude No Risk, No Fun, un ¾ arricchito da frammenti d’intrusione ritmica a tempi interi e veloci. Quasi uno scherzo, se vogliamo, una chiosa realizzata in fluidi fraseggi di piano. Giulia è un album che piacerà soprattutto a coloro che cercano un ascolto semplice e disimpegnato senza però scivolare nella banalità.
Tracklist:
01. Odd Times
02. Little Big Steps (feat. Paolo Fresu)
03. Armando’s Farewell
04. Squirrel’s Rock
05. Giulia
06. Your Nearness (feat. Paolo Fresu)
07. Needless to Say (…a Tribute to Bill Evans)
08. Ambiguity
09. If I Only Knew
10. Quiet Sense (feat. Paolo Fresu)
11. No Risk, No Fun
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