R E C E N S I O N E


Recensione di Riccardo Talamazzi

Una filigrana molto trasparente separa i salernitani Ipocontrio dal desiderio di sperimentare da un lato e di restare adesi alla tradizione dall’altro. Bruno Salicone al piano, Francesco Galatro al contrabbasso e Armando Luongo alla batteria non si discostano poi molto dal moderno concetto del classico trio jazz. Le sonorità moderate del piano fanno si che Salicone rimanga il perno principale della musica ma senza un eccessivo protagonismo, rimanendo in un rapporto paritario o quasi con gli altri due strumentisti. C’è qualcosa che però subito si nota nell’equilibrio di questo trio. Mentre il pianismo di Salicone è piuttosto melodico, rifuggente da facili estremismi solistici e tendente ad un linguaggio espressivo venato da atteggiamenti introversi, la ritmica si fa ben avvertire, spesso con tempi sostenuti senza essere rumorosa ma innestando tra le linee melodiche pianistiche un supporto vitalistico che mi ha ricordato, almeno per intenzione ed efficacia, la coppia DeJohnette-Peacock di jarrettiana memoria. In questo loro ultimo album intitolato Children’s soul – la terza uscita nella storia di Ipocontrio ma la seconda per l’intraprendente A.MA Records – il trio si avvale del numinoso apporto del grande tenorsaxofonista Seamus Blake, nato a Londra ma cresciuto in Canada e poi sistematosi negli Stati Uniti. Si tratta di un musicista che tra dischi firmati come titolare e altre numerose collaborazioni ha lasciato sul campo oltre una novantina di incisioni. Il suo apporto, su quattro delle otto tracce complessive dell’album, se da una parte immette una componente sonora brillante, briosa e non accademica, dall’altra evidenzia come anche in sua assenza il trio mantenga una propria, originale personalità. Questo Ipocontrio è infatti un gruppo ben rodato, che ha maturato una certa autostima e che sa rendersi perfettamente autonomo attraverso la proposta di una musica scorrevole che non presenti smagliature né discontinuità. Semmai, si avverte una certa timidezza nell’osare qualcosa in più e forse è il timore di perdere contatto con gli elementi tradizionalmente consoni per un jazz- trio che impedisce a questi musicisti di sviluppare in modo più finalizzato molte delle loro idee, come vedremo nell’analisi dei brani.

È proprio Children’s Soul che apre questo lavoro a offrirci un saggio piuttosto chiaro sulle dinamiche interne del gruppo. Il pianoforte è decisamente melodico, ricco di pause ma capace d’innescare alla bisogna scale più veloci composte da note che si distendono rilassate, molto ben armonizzate con quella cura geometrica che solo chi ha ben digerito parecchie ore di studio sa bene come organizzare. L’apertura avviene con un intro delicato e lirico sul modello di Keith Jarrett che credo sia stato, ad occhio, molto ascoltato da Salicone, insieme all’altro riferimento che è Bill Evans. Insomma, ovviamente due nomi tutelari per un gran numero di pianisti jazz che si rispettino. Quello che riusciamo ad apprezzare maggiormente è come Salicone non trasmetta ansia, non dimostri di aver fretta, aspetti l’idea e il tempo opportuno, approfittando anche dell’ottimo supporto di contrabbasso e batteria. In questo brano, in modo particolare, il rullante sfiorato da Luongo è un motore con molta benzina al suo interno insieme alla pulsazione regolare del contrabbasso di Galatro. Molta tecnica in entrambi questi musicisti, oltre alla capacità già rilevata del pianista e una visione globale del brano che risulta parecchio piacevole all’ascolto. Con Daydreamer appare il sax di Blake impegnato in una introduzione cantabile che ricorda alla lontana certe melodie di scuola napoletana. Finita l’introduzione s’innesca un 6/8 molto discreto, quasi sussurrato, con un assolo di piano molto be-bop ed un gran lavoro di contrabbasso e batteria che riempiono ogni spazio lasciato libero dallo stesso pianoforte. Il momento dell’assolo di Blake corrisponde ad un innalzamento della temperatura di base che cresce in dinamica sonora e che quando pare momentaneamente raffreddarsi viene sollecitato dal rullante più secco e deciso della batteria. Bel finale, classico, con l’ultima scia sonora dell’autorevole sax che va a spegnersi all’orizzonte. Spaceless Oddyssey è una tra le cose migliori di questo disco. L’inizio è molto suggestivo, tutto in punta di dita, con mormorii di contrabbasso, sbuffi di batteria appena accennati e note di piano che sembrano provenire dal cosmo profondo. Qui veramente si comprende cosa sia l’arte di mantenere la distanza tra le note per dar loro il giusto respiro. L’attacco che segue l’introduzione, ribadisco – e non sarà l’ultimo riferimento – rimanda a Jarrett, così pure il dialogo riservato tra piano e contrabbasso dalla metà in poi. È questo uno tra i brani più esaustivi di questo album, con quell’introduzione spiritata e rarefatta che forse avrebbe meritato qualche battuta in più di sviluppo. Una jazz ballad che fatica a restare all’interno dei margini tradizionali, con dinamismi centrifughi che cercano un allineamento planetario col blues e qualche tendenza appena accennata nel portarsi ai confini della tonalità. Spirit viene introdotta da un bel contrabbasso alla Ron Carter mentre il sax esordisce qui con note prolungate ed insistite. Anche questo brano resta compreso nell’ambito della ballad ma rispetto al precedente è più costruito su modelli mainstream. Blake, che aveva iniziato molto tranquillo, si lancia in uno dei suoi assoli “parkeriani” e trascina con impeto il resto della band. Sembra di ascoltare, in definitiva, un bell’oggetto Blue Note anni’60, con il piano di Salicone sulle orme di un Herbie Hancock d’annata e il lavoro ritmico di Luongo, veramente notevole.

Orione parte veloce in pieno mood hard bop e se Blake ci aveva dato, nel brano precedente, un assaggio delle sue qualità, qui ci stende tutti con un serratissimo fraseggio nitroglicerinico (Bird lives??). Sul pezzo che segue sarò un po’ polemico, invece. Si tratta di When she’s not here, con un inizio maledettamente simile a The Wrong Blues tratto da Standards Live proprio del Keith Jarrett Trio, con la differenza che il gruppo ripetuto di quattro note introduttive viene proposto da Ipocontrio in tonalità minore. Ad essere sinceri anche l’arrangiamento ritmico sembra essere stato molto influenzato dal supergruppo americano. Comunque sia si tratta di un gran bel pezzo che al di là di fortuite somiglianze non fa altro che confermare lo spirito autonomo di questo trio. Molto belle le note soppesate di Salicone che producono quel suono garbato e pulito tipico della musicalità disinvolta di questo pianista. Spazio anche al contrabbasso, in questa circostanza meno puntualizzante e più melodico, con la batteria che oscilla dai pianissimi a passeggiate percussive più decise, con un ventaglio di espressioni ritmiche assai eterogeneo. Light Mood s’incammina verso delle punteggiature moderatamente latine. Il sax si fa inizialmente morbido e suadente e nel suo assolo diventa progressivamente più veloce senza però ripetersi come in Orione. Interessante il finale con una cadenza ripetuta del piano inframmezzata dagli interventi esuberanti della batteria. Daahound mi ricorda qualche passaggio alla Ahmad Jamahl nell’intro pianistico dove stranamente sembra sia cambiata la timbrica dello strumento, diventata più “chiusa”, forse per una diversa microfonazione in fase di registrazione…?. Si finisce l’album in ossequio all’hard bop del trio, con un assolo di batteria sul modello Art Blakey, cioè vivace ma sempre mantenuto sotto controllo.

L’universo di Ipocontrio si muove quindi su diversi paradigmi strutturali, sempre con riferimenti illustri ma molto americani, dal pluricitato Jarrett fino agli esempi segnalati del più classico be-bop. Tra le righe si percepisce anche una tensione estrovertita, una varietà di umori ancora in parte da chiarire e da testare. Capaci d’integrare e a loro volta d’integrarsi ospitando musicisti di diversa estrazione culturale, come il trombettista Alessandro Presti nel precedente lavoro Continuum e appunto Seamus Blake in questo Children’s Soul, i tre elementi di questo gruppo sanno fare squadra a sé quando è necessario e forse, chissà, nel loro prossimo lavoro magari potrebbero essere ascoltati in una veste leggermente più spregiudicata di quella attuale.

Tracklist:
01. Children’s Soul
02. Day Dreamer
03. Spaceless Odyssey
04. Spirit
05. Orione
06. When She’s Not Here
07. Light Mood

08. Daahoud