R E C E N S I O N E


Recensione di Riccardo Talamazzi

Ci vuole coraggio per chiamare Shifting Sands (sabbie mobili) l’ultimo disco di Avishai Cohen – il contrabbassista, non il trombettista omonimo che abbiamo da poco recensito qui su Off Topic. Se il titolo pare suggerire una perdita di stabilità e un’eventuale involuzione immobilista, la musica per fortuna s’indirizza verso tutt’altra direzione. Il costante desiderio di non insabbiarsi, tanto per restare in tema, è reso evidente dal profondo cambiamento avvenuto, nel tempo, nella struttura dell’Avishai Cohen Trio. La partecipazione di Shai Maestro al pianoforte, avvenuta dal 2008 al 2011, è ormai un ricordo, così come il passaggio di Mark Guiliana alla batteria, nel lasso di tempo che va dal 2003 al 2008. Al loro posto, attualmente, un pianista dell’Azerbaigian, il quarantenne Elchin Shirinov già notato in Arvoles, album del 2019 e presente in Two Roses del 2021. Una minuta ragazza israeliana appena ventunenne, Roni Kaspi, compare invece alla batteria. Ci troviamo di fronte ad un tipo di mutazione fenotipica non da poco che è servita da forte stimolo per Cohen, come lui stesso racconta. I due nuovi musicisti, infatti, sono praticamente cresciuti ascoltando la musica del contrabbassista e in una sorta di latente tensione edipica si sono messi professionalmente in positiva competizione con il loro riferimento, innescando un’eccitante trazione psicologica che ha evidentemente giovato all’economia musicale del gruppo. In effetti colpisce molto la maestria, colma d’influssi classicheggianti, del nuovo pianismo di Shirinov e l’alternanza tra delicatezza percussiva e spinta propulsiva della batterista. I due musicisti entrano nelle maglie della struttura composta da Cohen in modo estremamente naturale, tanto che si ha persino l’impressione di una collaborazione molto più rodata di quanto non sia avvenuto in realtà. Avishai Cohen ha nella sua storia personale un importante tirocinio a fianco di Chick Corea iniziato verso la seconda metà degli anni ’90 ed una serie di collaborazioni, ad esempio con Danilo Perez, Roy Hargrove, Herbie Hancock, Bobby Mc Ferrin ed altri ancora. Il suo modo di suonare è alieno da ogni convulsione sincopata e si mantiene vicino ad un limpido modello di purismo melodico. Anche negli assoli è possibile percepire le singole note che scorrono veloci senz’accavallamenti, scandendo tempi e spazi con rigorosa chiarezza. Ho sempre pensato che Cohen fosse un contrabbassista in possesso di un certo dinamismo e la presenza di Shirinov e Kaspi offre al sound complessivo una rotondità ed una dolcezza, almeno su disco, come forse non si era mai avvertita prima. È palese che il contrabbassista abbia nella formazione a trio la sua stella polare e che questa sia, in un certo qual modo, il punto di riferimento stabilizzante, dopo tutte le sue esperienze aliene, perfino con grandi orchestre come in Two Roses. In effetti si ha proprio la sensazione che la formazione à trois resti, per Cohen, il suo mondo ideale, il palcoscenico migliore per esprimere ed affinare la propria comunicativa.

Primo brano dell’album è Intertwined. L’intreccio suggerito dal titolo si presenta inizialmente con una serie di quattro coppie di intervalli condotti in sincrono dalla mano sinistra del pianista e dal contrabbasso, con la leggera corsa dei piatti della batteria in sottofondo. Poi il piano sviluppa una sorta di linea tematica, mantenendo però lo schema degli intervalli succitati come ancoraggio ritmico. Cambio di tempo e passaggi di varie tonalità a metà brano, con l’assolo molto pulito e lineare di Shirinov, stacchi di batteria e ritorno alla struttura iniziale attraverso un finale molto melodico e un po’ drammatico con venature estetiche che rimandano all’Est Europa. Window si sviluppa su assetti ritmici complessi, con l’ottima batterista che crea continuamente architetture percussive flessibili. Ancora si ascolta, tra le note tematiche proposte dal piano, qualche inflessione dall’Est fino al momento in cui il demone dell’assolo s’impossessa di Shirinov, facendoci capire di aver assimilato la lezione bebop del “perfetto jazzista moderno”. Dvash (tesoro) è un termine di provenienza biblica ed è tra i brani miglior dell’album. Il pianoforte innesca una progressione discendente di accordi che si sviluppa poi in un bel tema dall’aria incerta e malinconica dai toni classici e un po’ romantici. Nel prosieguo l’atmosfera si fa sempre più nordica, ricordando le collaudate formazioni triadiche di matrice svedo-norvegese ben presenti in questo ultimo ventennio. L’assolo di Cohen possiede la solita sobrietà interpretativa e l’impronta melodica che lo denota, anche se qui utilizza frammenti di frasi brevi che cuce insieme nell’intento di dar loro un certo “push” maggiormente dinamico. Joy ha una struttura che ricorda la tradizione Klezmer con le sue danze popolari e vede Cohen suonare il contrabbasso con l’archetto, almeno nelle prime battute. L’andamento melodico della scala dorica col quarto grado aumentato, tipico di questo modello di musica, si mescola qui con altre scale modificate tutte però di rimembranze orientali che vengono sciorinate con bravura ineccepibile dal pianista. Impeccabile il passo ritmico di Cohen e della Kaspi che dettano i tempi giusti sotto le evoluzioni sviluppate dal pianoforte. Anche Below possiede un’elaborazione di cospicuo rimando nordico ma qui il classicismo di Shirinov emerge prepotentemente per cui è difficile capire fin dove questa traccia sia frutto della composizione di Cohen e dove invece si delinei l’arrangiamento del pianista. Il brano muove l’animo verso una dimensione mutevole, incerta, a tratti sembra una melopea ed in altri momenti una riflessione sulla solitudine. Grande eleganza nell’assolo di Shirinov che in poche battute s’allontana dal tenore principale della melodia per poi riprenderselo nel finale.

Shifting Sands ricalca per certi versi, soprattutto per la sequenza in progressione discendente operata dal pianista, sia il precedente Below che in parte le atmosfere di Dvash, anche se qui il tono è leggermente più spigoloso e i cambi di tonalità paiono più numerosi. L’assolo pianistico apre nuove strade sulla tastiera, l’amalgama tra i compagni di viaggio si fa più densa fino al classicissimo finale quasi lisztiano, operato da Shirinov mentre Cohen innesta robuste parentesi di contrabbasso per non perdere il senso del groove. Chacha Rom vede ancora Cohen all’archetto che lavora su un ostinato ritmico costruito su tre accordi di piano in sequenza – minore, maggiore, maggiore – che ricorda quasi una cadenza andalusa. Hitragut (tranquillità) è una rivisitazione di una vecchia melodia sefardita, pubblicata ufficialmente nel 1987 dal compositore israeliano Paul Ben Haim. Una breve introduzione con il contrabbasso su un’altalena di due accordi (I maggiore e II minore 5° bemolle) intonati dal piano, e poi il pezzo prende la direzione d’una ballata jazz in mid-tempo in cui la bellezza naturale del motivo originale, nella sua malinconica cantabilità, viene preservata e arricchita solo da una soffice batteria in sottofondo. Un po’ più di frenesia, com’era lecito aspettarsi, nel brano seguente che si chiama Videogame dove la pulsazione ritmica si srotola al di sotto di un arpeggio insistito di piano per dare una sensazione completamente all’opposto di Hitragut. Simulazione di corsa e di affanno, quindi, in un’allerta psicologica veramente agli antipodi del brano precedente, con un suono per certi versi accentrato sul mulinare ritmico. Kinderblock era il nome che nei campi di concentramento nazisti veniva dato agli edifici destinati ad ospitare i bambini, naturalmente nell’ottica di una separazione quasi sempre definitiva dai genitori. Al di sopra dei 14-15 anni i ragazzini venivano trattati come adulti e avviati nei campi di lavoro, chiamiamoli così. Per questo motivo il brano in questione è il più “semplice”, costruito su una melodia lirica e rarefatta e strutturata in modo piuttosto lineare che serve a raccontare nel modo più efficace possibile uno stato d’animo d’infantile rassegnazione. O forse il punto di vista è quello di un adulto che cerca di capire e di immedesimarsi empaticamente nell’infanzia perduta e sradicata di tutti quei bambini. Il piano lavora su una linea emotivamente risonante, in uno sforzo evocativo di colore dove era invece il grigiore esistenziale a dominare. Sommessa la batteria, discorsivo il contrabbasso che parla senza fonemi, col solo ausilio delle note non dolenti ma calde, paterne e rassicuranti, anche se immerse in una nebbia di tristezza. Cohen si offre così con l’ultimo bacio di questo album, un altopiano dello spirito in cui si manifesta la dimensione, a mio parere più consona per un contrabbassista, cioè quella di una formazione essenziale così com’è il classico trio con piano e batteria. L’ideale per evidenziare con tutta la chiarezza possibile, il mondo interiore di un musicista rigoroso e sensibile.

Tracklist:
01. Intertwined
02. The Window
03. Dvash
04. Joy
05. Below
06. Shifting Sands
07. Chacha Rom
08. Hitragut
09. Videogame
10. Kinderblock

Photos © Hamed Djelou