R E C E N S I O N E


Recensione di Riccardo Talamazzi

Il percorso del trombettista Avishai Cohen – da non confondere con l’omonimo contrabbassista – riflette in pieno il concetto antico del “Pathei Mathos”, per cui attraverso la lotta e la sofferenza si arriva alla conoscenza. Così racconta lo stesso Cohen focalizzando l’attenzione sul punto di partenza di tutto questo lavoro, cioè sul tema inquieto che si avverte all’inizio del secondo brano di Naked Truth, ultima uscita ECM. Un grumo melodico che girerà nella mente di Cohen per circa due anni, prima di essere sviluppato e sperimentato attraverso un’opera quasi completamente improvvisata come questa. In tutti i lavori in cui la parte di composizione estemporanea è preponderante, alle volte le orbite strumentali diventano molto irregolari, disadorne non per scelta ma per necessità di reciproca comprensione tra gli strumenti. Come se talora il discorso s’interrompesse, s’inciampasse nel timore di perdere il filo conduttore, costretto all’attenta vigilanza dalla dinamica autonoma del flusso sonoro così improvvisato. Tutto ciò è molto naturale e giustificabile, tuttavia si ha l’impressione che gli aspetti migliori di questa “nuda verità” siano quelli in cui si avverte un intervento più ragionato, maggiormente meditato, nei quali la tentazione di lasciarsi andare alla corrente dell’estemporaneità tenda a ridimensionarsi. Non viene comunque mai a mancare la Poesia e non parlo solo di quella recitata dallo stesso Cohen, che s’impegna in un’opera della poetessa israeliana Zelda Schneersohn Mishovsky come appare nell’ultimo brano Departure insieme al commento di  un sottofondo musicale. Tutto l’album vibra di un sentimento poetico pervasivo teso alla ricerca di una verità interiore, una convinta parresia che ponga l’Uomo di fronte allo specchio della propria coscienza per potersi riconoscere o meno ma comunque senza fuggire alla propria e profonda rivelazione di Sé. Una ricerca esistenziale, quindi, oltre che un viaggio prettamente musicale.

La voce vulnerabile della tromba di Cohen si sostiene con l’intervento del pianoforte di Yonathan Avishai, il contrabbasso di Barak Mori e la batteria di Ziv Ravitz. Nell’assemblare i suoi musicisti, Cohen ha chiesto loro di ascoltare preventivamente il musicista indiano di flauto “bansuri” Harisprasad Chaurasia e di prestare attenzione all’economia sonora del suo strumento, chiedendo loro quindi di mantenersi il più possibile vicino ad un’analoga essenzialità espressiva. Ha chiesto poi al batterista di essere il più lieve possibile, per non turbare con percussioni accentuate l’ipnotico e mormorante andamento ritmico dei brani. La sequenza delle tracce dell’album è suddivisa in otto parti, con l’aggiunta dell’ultima già accennato Departure. 

Part 1 si presenta con qualche nota soffiata dolcemente dalla tromba e il contrabbasso che le gira attorno. Un semplice dialogare a due che sintetizza assai bene il senso di raccoglimento che ascolteremo ulteriormente. Arriviamo cosi alla famosa Part 2, l’origine della tensione modale ispirativa di Cohen. Un accordo in minore, in arpeggio, con aggiunta di nona e quinta eccedente che entrano ed escono dalla struttura portante dell’accordo innescando un movimento torsivo su cui la tromba descrive inizialmente delle circolarità, sulle prime più strette fino ad allargarsi e a cogliere note più alte, quasi stridenti. Anche il piano si estende, però più linearmente, pur mantenendosi ancorato alla fondamentale, con il contrabbasso e la batteria che partecipano all’ atmosfera onirica del brano. Part 3 è uno tra i pezzi migliori e più coinvolgenti di Naked Truth. Inizio impressionante con un arpeggio di piano ed una drammatica scala discendente del contrabbasso, con qualche passaggio dall’impronta piuttosto classica di Yonathan Avishai fino all’entrata della tromba quasi sottovoce. Molto importante il ruolo del basso che si occupa anche di tracciare una linea melodica aggiunta in attesa del ruolo di Cohen. Il piano si accolla un accompagnamento che profuma di romanticismo, la tromba passa dal mormorio al singhiozzo e si chiude il brano con un finale molto simile alla fase iniziale. Part 4 si annuncia con un morbidissimo e breve assolo di batteria. Tromba e percussioni innescano uno spiritato dialogo in solitudine a cui si aggiunge secondariamente qualche nota di contrabbasso. L’ingresso del piano cambia un po’ le carte in tavola aggiungendo del colore tonale e armonico alla composizione. Purtroppo affiora qualche attimo di stanca, con l’impressione che il gruppo perda il filo d’Arianna e non sappia dove andare a parare, soprattutto nel finale.

Part 5 è invece uno squisito intermezzo di piano, con pennellate debussyane esolleticanti dissonanze. Tutto troppo breve, come pure l’intermezzo percussivo di Part 6 che serve ad introdurre la seguente Part 7. Ora, se non ci fosse questo pianista, in questo disco, bisognerebbe inventarselo, perché è proprio il piano che pare decida gli orientamenti, gli equilibri, il misterioso magnetismo poetico che anima l’album. Senza togliere nulla a Cohen si ha l’impressione che il pianista costituisca il vero centro gravitario dell’opera, una fonte di luce attorno a cui ruotano tutti gli altri strumenti. Ed è ancora il piano che imposta la Part 8 disegnando insieme al contrabbasso e agli accenni moderati della batteria il sostegno ideale per Cohen. La sua tromba è molto espressiva, a tratti sprigiona calore e alle volte la si sente gelida come la brina, però mantiene intatto quel profilo apollineo che l’ha sempre caratterizzata e non solo in quest’ultimo album. Departure, come già accennato inizialmente, è una poesia della poetessa Zelda Schneersohn Mishkovsky, riferimento letterario di prim’ordine nella cultura ebraica. I versi vengono cullati da un accompagnamento molto soft del gruppo e sono ben pronunciati e scanditi da Cohen e anche intelligentemente pubblicati all’interno del booklet. Departure, come già suggerisce questo titolo, parla della partenza verso la morte, di ciò che è necessario lasciare, della direzione che ci porterà al di là del senso del Bene e del Male. I versi raccontano quello che sarà lo struggimento di lasciare il mondo dietro a noi e di tutte le cose che avrebbero potuto essere e non sono state. Ma il tono complessivo della poesia è quasi un invito a riconoscere con dolcezza e gratitudine ciò che di bello e buono è stato intorno a noi.

Bel lavoro, questo di Avishai Cohen, salito su questo inaspettato altopiano dello Spirito con un suono sfebbrato, rilassato, un verbo lirico e rarefatto, da cui far risuonare tutti i colori del suo canto. E soprattutto gran merito alla band che ha seguito le indicazioni del leader, impegnandosi a costruire quella zona iniziatica di silenzio celata paradossalmente nel centro di questa musica. 

Tracklist:
01. Part I
02. Part II
03. Part III
04. Part IV
05. Part V
06. Part VI
07. Part VII
08. Part VIII
09. Departure