L I V E – R E P O R T


Articolo di Paola Tieppo, immagini sonore di Claudio Chimento

Per la terza volta quest’anno sono stata presente, con grande piacere, alla XXI edizione del Piacenza Jazz Fest e l’occasione è stata l’ultima serata del cartellone principale, ma ricordo che sono in corso altri eventi interessanti fino al 30 aprile, non a caso, essendo la Giornata Internazionale del Jazz. Anche quest’ultimo appuntamento, come il mio precedente, riguardava un quartetto molto ‘quotato’ e molto atteso: fin dal 2020 quando, già programmato, fu annullato tutto causa pandemia. Come in tante situazioni, questo ha generato ‘pro e contro’: il ‘contro’ è chiaro, ma il ‘pro’ è che in questi quattro anni altra musica è stata creata, scaturita anche da consapevolezze diverse, ed è diventata ulteriore sorgente per la performance a cui ho avuto la fortuna di assistere. Quindi: il Quartetto era quello del trombettista Avishai Cohen, israeliano di nascita e newyorkese di adozione, come lo sono anche il contrabbassista Barak Mori ed il batterista Ziv Ravitz, mentre il pianista Yonathan Avishai, conterraneo ma stabilitosi da molti anni in Francia, è definito “il più francese dei virtuosi israeliani”.

Dal 2014 Avishai Cohen, dapprima accompagnando il sassofonista statunitense Mark Turner e poi con progetti a suo nome, è entrato a far parte dell’ECM, etichetta discografica tedesca fondata nel 1969 e riconosciuto punto di riferimento per un certo tipo di musica jazz, definibile cameristica. Il suo ultimo suggestivo album Naked Truth, del 2022, pareva dovesse essere oggetto del concerto piacentino ed invece una bellissima sorpresa mi aspettava nello Spazio Le Rotative, luogo gestito dal quotidiano locale Libertà e teatro solitamente dell’inaugurazione del Fest. I musicisti, accolti con calore nella sala ‘ovviamente’ al completo, hanno dato inizio al concerto partendo dalla sempre emozionante accoppiata di piano e tromba, ai quali si sono poi uniti basso e batteria, per l’esecuzione di Will I Die, Miss? Will I Die? tratto dall’album (ECM) del 2017 Cross My Palm With Silver. Si può facilmente comprendere l’atmosfera in cui mi sono trovata subito immersa se aggiungo che questo brano è stato composto ispirandosi alle parole di un bambino siriano dopo un attacco chimico. Il ritmo ha un andamento circolare, spiroidale, quasi ipnotico, l’archetto di Mori vibra sulle corde del contrabbasso, mentre Avishai e Ravitz suonando sorridono lievemente, Cohen dopo una breve pausa riprende il suo ‘canto’ limpido e squillante che va in calando solo sul finale, lasciando ai piatti e alle bacchette gli ultimi tocchi. Il trombettista prende la parola per salutare in italiano, ringraziare, tra l’altro, per il “buon cibo” che ha costituito la loro cena e presentare i tre compagni. Si percepisce una certa emozione nella sua voce.

Un solo altro brano viene ‘nominato’ da Cohen: II Movimento del Concerto per pianoforte in Sol maggiore di Maurice Ravel e poi… la sorpresa a cui accennavo. Esprimendo il dolore provocato dalla guerra a Gaza, auspicando il “cessate il fuoco” al quale è impossibile non unirsi, il leader del quartetto quasi si scusa per la decisione presa di non proporre Naked Truth a favore di alcuni pezzi talmente nuovi da non avere ancora i titoli e che faranno parte del prossimo album in uscita a settembre! Insomma un’anteprima, come peraltro già avvenuto in qualche data recentissima, un vero e proprio flusso di idee musicali chiaramente impostate ma sviluppate con intuibile improvvisazione. Avishai Cohen alterna la tromba, se a riposo tenuta appesa al braccio sinistro, al flauto traverso ed il suono si leva chiaro e sottile nell’aria con il magnetismo dell’incantatore di serpenti. La poetica delle melodie mi invoglia a chiudere gli occhi e ad abbandonarmi alle onde sonore che attraversano il mio corpo, accarezzano ogni cellula… ci sono degli attimi in cui vorrei non scrivere, non fotografare, non fare altro che assorbire la Musica, renderla parte di me. A questa estrema e sconfinata dolcezza si oppongono frasi ‘schizzate’, sostenute dalla sezione ritmica e dagli effetti aggiunti da Cohen con un pedale e allora i suoni sembrano rimbalzare e cambiano aspetto. Il terzo brano inizia con le corde del contrabbasso pizzicate in dialogo con il pianoforte, evocandomi immagini di dune nel deserto, di sabbia, luoghi dove il silenzio è sovrano, insidiato solo dal vento, poi la tromba passa a lasciare la sua orma fino allo stop finale. Le luci si accendono, troppo forti, un flash abbagliante, poi si affievoliscono di nuovo e il pianista apre la composizione successiva con un lungo assolo, raggiunto e poi lasciato dal flauto di Cohen. Il quartetto si riforma, la tromba sostituisce il flauto, due pedali amplificano la dimensione anche qui un po’ ipnotica, poi Ravitz con il suo drumming mi riporta alla realtà.

Il quinto e ultimo ‘movimento’ di questa suite esclusiva parte come una ballade: un lungo lento solo del leader con Mori, la meraviglia prosegue al sopraggiungere degli altri due, è un brano fantastico, non respiro quasi, presa dall’attenzione, sospesa nell’ascolto, poi il culmine in un frammento più ‘caotico’ dell’ensemble… che non spezza l’incantesimo. Avishai Cohen nel frattempo si è tolto la giacca. Appare più rilassato emotivamente, esprime gratitudine per l’organizzazione efficiente sotto tutti i punti di vista. “Music is a wonderful energy” commenta e sono sicura che tutti in quella sala ci siamo sentiti avvolti dalla sinergia fra artisti e pubblico. Un solo bis, nonostante le ulteriori chiamate dal pubblico, con un pezzo nato sulla tastiera giocattolo di sua figlia Amalia ed infatti le prime note sono del piano di Yonathan Avishai, poi il contrabbasso di Barak Mori e la batteria di Ziv Ravitz preparano il tappeto musicale su cui il timbro caldo della tromba di Avishai Cohen posa le ultime battute della serata. Una vera magia… che quando si manifesta conferma che la Musica è proprio un viaggio e come da ogni viaggio, se non è stato vano, si ritorna diversi da come si è partiti.
#eiovadoadormirefelice …decisamente!