T E A T R O
Articolo di Barbara Guidotti
Quando il sipario si apre, solo tre colori dominano la scena: il bianco, il rosso e il nero. Il bianco dell’arredamento, dei libri, della finestra aperta sull’esterno, delle parole scritte col gesso sul muro nero che si fa lavagna. Nero come le due figure che si muovono sulla scena, intorno a un divano rosso come il risentimento che a poco a poco affiora mentre il dialogo si fa incalzante. Due amici, uno di fronte all’altro, si misurano in un dialogo serrato in cui il non detto, il sottinteso, l’insinuato apre incrinature che diventano solchi profondi e incolmabili non solo tra tra due uomini, ma tra due mondi, due visioni dell’esistenza, due piani prospettici: l’oscurità della tana dove barricarsi, perché “la vita è là/ semplice e tranquilla”, troppo estranea da accogliere (la citazione di Verlaine si interrompe sull’orlo del rimpianto: “che hai fatto, tu che qui/ piangi senza tregua,/ dimmi che hai fatto, tu/ della tua giovinezza?”), e la normalità di un’esistenza che scorre sui binari di una rassicurante e apparente certezza.

Il tutto giocato sul filo del rasoio, sul discrimine tra chi ha paura dell’inconsistenza, dell’irrealtà e dell’instabilità e chi non tollera i confini, l’“assenza di battito”.
L’amicizia perfetta si svela allora come un luogo di fraintendimenti, non estranea al giudizio, alla condiscendenza che ferisce e alimenta rancori impensabili.
Ma quello che emerge con prepotenza, in questo rimando continuo, è il valore assoluto della Parola, pronunciata o taciuta, tagliente o carezzevole, in un gioco di antitesi che culmina nella scelta fra un Sì e un No.
Perché per un sì o per no ci si può perdere o salvare, vivere o morire, giocandosi il tutto per tutto come alla roulette. Sul rosso o sul nero.

Si percepisce, nel fronteggiarsi di Umberto Orsini e Franco Branciaroli, attori che sono la Storia del nostro teatro, la potenza con cui la parola nell’arte riesce a dispiegare la sua forza, a conservare il suo valore inestimabile; del resto, come diceva Raymond Carver, “le parole sono tutto quello che abbiamo, perciò è meglio che siano quelle giuste”.
E il testo di Nathalie Sarraute, messo in scena da Pier Luigi Pizzi, colpisce e rimanda al nucleo stesso della relazione umana e al suo disperato infrangersi sulla nostra reticenza a esprimere e mettere in gioco una qualsiasi Verità.
Non importa nemmeno quanto sia imponente lo scenario, anzi, vedere la cultura che si riappropria dei suoi spazi ovunque, nei grandi come nei piccoli teatri, dimostra che anche una realtà di provincia come il Verdi di Fiorenzuola può veicolare contenuti importanti, se lo si affida a una direzione artistica (Mino Francesco Manni) che il teatro lo vive e rende così possibili questi preziosi momenti.
Photo © Amati Bacciardi
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