L I V E – R E P O R T
Articolo di Arianna Mancini, immagini sonore di Stefano Fristachi
Accoglienza, visioni e cabaret. Sono i primi pensieri che fulmineamente sorgono nella mia mente ogni qualvolta mi accingo a partecipare ad un concerto di Paolo Benvegnù. Accoglienza: ti ritrovi in uno spazio eletto, vibrante di conforto e certezze in cui fluire libero. Naturalmente abbassi le difese e apri il cuore. Gli animi presenti si sintonizzano sulla frequenza dell’empatia, desti come canali di ricezione, che hanno trovato il loro giusto posto Nello Spazio Profondo. Visioni: la musica e le liriche suscitano lampi di percezione, trascinandoti in uno stato di profonda connessione con te stesso e senti “oltre”, in quell’oltre si apre un nuovo mondo, la visione. Cabaret: chiude la triade l’intelligente e acuta autoironia di Paolo che con i suoi soliloqui uniti a momenti teatrali, riesce sempre a strapparti una risata.
27 maggio 2022, una data colma di significato. La mattina di questo giorno è uscito il nuovo lavoro discografico del collettivo Benvegnù: A Collection of Oldies, Delle Inutili Premonizioni. Venti Anni di Misconosciuto Tascabile Vol.2. Un disco di cover riarrangiate e interpretate, percorso e viaggio musicale a ritroso nel tempo nella cultura new wave, intessuto su 12 brani che hanno segnato questo periodo. La sera stessa c’è stata la presentazione ufficiale con un secret concert al Teatro Verdi di monte San Savino (AR). L’evento, organizzato da Officine della Cultura è stato preceduto da una campagna di crowdfunding supportata da Produzioni dal Basso, e tale sinergia ha reso possibile tutto questo.

Un secret concert, pochi intimi, si ritrovano volti noti e amici venuti da lontano. Manca poco all’inizio dello spettacolo, siamo seduti nel palco del teatro e nello stesso spazio, proprio di fronte a noi, fra non molto prenderanno posto gli artisti. Alla sinistra giace una struttura con uno specchio, dei fogli scritti e sotto un registratore.
Paolo fa il suo ingresso, si ferma davanti allo specchio e recita: “Cantami diva del disinteresse, del disincanto, fammi raccontare dalla gioia al pianto…”. Il monologo prosegue, si alza il piccolo siparietto di tela nera dietro cui i musicisti sono già pronti per condurci lontano: Daniele Berioli (batteria), Gabriele Berioli (chitarra), Luca Baldini (basso), Saverio Zacchei (trombone). Le prime note si materializzano e con loro la voce: “Walk in silence/ Don’t walk away, in silence”. Atmosphere, i ricordi corrono indietro veloci. 1980, ci troviamo a Manchester con i Joy Division e l’immortale nebbia esistenziale di Ian Curtis. A stemperare il pathos, impossibile rimanerne alieni dopo un simile brano con tutto ciò che evoca, approdiamo in California con i Wall of Vodoo sulle note di Mexican Radio. La scena cambia d’improvviso e si palesa “Love is Talking”, siamo nella zona autografa, sono i tempi di Hermann (2011), l’uomo, la sua evoluzione o… involuzione? Un nuovo monologo di fronte allo specchio precede l’ingresso di Hold Back the Dream, siamo sulle note della Jim Carroll Band e della poesia del suo fondatore,” The dust will rise and shield the sky/ No dreams to push, no dreams to pull.” Entra poi tenue e trafitto dalla luce delle stelle Infinito 3, che cade sempre come una manna di speranza, ci troviamo in equilibrio, come funamboli, sul filo di Dell’odio e Dell’innocenza (2020).

Siamo in una nave-teatro con il collettivo Paolo Benvegnù, nostro sommo timoniere, con cui sondare i flutti dell’oceano. Quell’oceano infinito che pullula di suoni presenti, melodie trascorse provenienti da altre terre e periodi lontani, parole, poesia, mistero, meraviglia, infinito, sorprese. Qui la traversata si dipana accogliendo momenti di parlato, brani del nuovo album uniti a storiche perle del nostro “poeta misconosciuto”. È meraviglioso fluire da Do the Strand dei Roxy Music a Il Mare Verticale, e quel “lascio che le cose passino e mi sfiorino” si getta in Change, che si apre con un incipit in sola voce, siamo con i Tears for Fears.
Feed the Destruction evoca i tempi di Earth Hotel (2014), neanche un attimo di sosta e ci ritroviamo nella Liverpool di inizio anni ‘80, è tempo di Echo & The Bunnymen con The Puppet (un singolo di pura sciccheria), si viaggia ancora dal Regno Unito al Belgio con i Venus sulle vibrazioni di Royal Sucker. Si ritorna poi in patria, agli esordi della carriera solista con Suggestionabili, altro brano tratto da Piccoli Fragilissimi Film (2004), come il Mare Verticale e Cerchi nell’Acqua, immancabile triade di ogni concerto, ne senti ineluttabilmente l’esigenza.

Altro intimo spazio recitato di fronte allo specchio, si racconta di fiori che parlano alle nuvole… e poi… Blue Monday, i New Order. Loro non potevano mancare in questo percorso a ritroso, se malauguratamente fossero stati esclusi, si sarebbero sicuramente insinuati come idea nella mente creativa di uno dei componenti del collettivo Benvegnù per farsi includere nel nuovo disco. Sì, perché anche se nati sulle ceneri dei Joy Division, in un certo senso con loro Ian ha continuato a vivere.
Viriamo nuovamente nella storia discografica personale, correva l’anno 2008 e La schiena ci riporta nell’universo dell’album Le Labbra. Da sempre questo brano risuona come un monito: “ma tu respira, guarda il cielo, guarda le stagioni passare, prendi posizione, viaggia, ricerca la tua parte migliore”, e da lì veniamo dolcemente attratti sulle vette spirituali di Hermann, con Avanzate, Ascoltate. Uno stato in cui l’anima si eleva, un momento di respiro della coscienza.

Piccola pausa prima di rientrare nel porto. Siamo qui, ancora in questa nave-teatro, così vivida di poesia, così piena di premure nell’accoglierci. I cuori sono sospesi a mezz’aria e se volgi lo sguardo al cielo, puoi vedere anche le stelle.
Il nostro sommo timoniere è di nuovo con noi, stiamo tornando a casa con Heaven, in compagnia dei Phychedelic Furs. Il faro si fa vicino vicino, e giunti al porto ci congediamo sulle note di Cerchi nell’Acqua.
Con il cuore colmo di gratitudine, paghi del viaggio, ringraziamo il collettivo Benvegnù per averci “trasmesso l’invisibile”.

“È compito degli artisti esplorare oltre ciò che è facilmente conoscibile, andare nel buio ad occhi aperti e brillare”. (Rebecca Solnit)
Un ringraziamento speciale e accorato a Stefano Fristachi per il suo prezioso supporto alle immagini sonore.










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