R E C E N S I O N E


Recensione di Andrea Notarangelo

I Dream Syndicate sono un caso più unico che raro di coerenza. In un’epoca di revival e reunion, loro rappresentano l’eccezione alla regola e per questo occorre spendere qualche parola. La band di Steve Wynn fu in passato fiera rappresentante del Paisley Underground, un sottogenere losangelino nato all’inizio degli Anni ’80 che accomunava un discreto numero di band. I tratti distintivi erano la psichedelia sixities e il recupero della strumentazione base rock. In un’epoca di post new wave con sound farciti di synth e tastiere, questi gruppi riuscirono a produrre dei piccoli gioiellini musicali oltre a un culto tenuto in vita da un sottobosco di estimatori che amavano chitarre, assoli imbastarditi col blues e Lou Reed. In quegli anni i Dream Syndicate fecero uscire una manciata di Ep e quattro dischi interessanti, dei quali, almeno due capolavori (il primo The Days Of Wine And Roses del 1982 e il secondo, Medicine Show del 1984), poi lo scioglimento e un parziale oblio. Nel 2017 ecco riaprirsi una nuova fase. Steve Wynn rimette in piedi la band e non lo fa per girare il mondo e portar lustro alla gloria dei tempi che furono. Il gruppo è di nuovo in attività, modifica il proprio suono senza però tradire la psichedelia e così facendo consente a noi ascoltatori di ritrovarci oggi tra le mani il quarto disco del nuovo corso del Sindacato del sogno.

Ultraviolet Battle Hymns and True Confessions si apre con una tastiera impazzita che sfuma piano piano negli accordi portanti di chitarra. Eccoli. Sono tornati tra distorsioni ed atmosfere lisergiche. Wynn è in forma smagliante e ci accoglie con un timbro vocale rinnovato. Una delle novità del nuovo corso interessa proprio la voce, più sognante, più passionale e con un tratto loureediano decisamente meno marcato. Intendiamoci, l’ispirazione Velvet Underground resta sempre presente, ma annacquata in un mare di effetti e dalla personalità dei musicisti coinvolti nel progetto. Where I’ll Stand è un’introduzione fantastica, ma è dal minuto 3:40 che diventa imperdibile. A seguire ecco Damian, canzone scelta come biglietto da visita di questo nuovo viaggio e definita “una lucentezza cotta dal sole californiano con un senso del male tipicamente newyorkese e un’atmosfera alla Steely Dan”. Ci ritroviamo in queste coordinate, anche se l’incedere è un po’ monocorde e da un’idea di tipicità piuttosto che di novità. Rassicurante e senza il brivido.

Meglio la successiva Beyond Control, nella quale la chitarra funge da collettore per tutta una serie di giochi sonori presenti intorno. Un basso marcato ma mai invadente, una chitarra solista che sputa psichedelie liquide e una batteria tribale che concorre nel creare un effetto straniante. Il brano dimostra che il rock avrà sempre qualcosa da dire nonostante gli accordi finiti e la strumentazione classica. Beyond Control è la prova che nella musica, cambiare l’ordine degli addendi porta a un cambiamento del risultato. Lo spirito di Lou Reed ritorna, seppur senza invadenza, nella successiva The Chronicles of You e dona al disco un pregio più che un difetto. Un plauso particolare va all’assolo di chitarra e all’atmosfera che assume tinte desertiche. Trying to Get Over, ci riporta invece alla freschezza e ai fasti del mitico Live At The Raji’s, il disco live fatto uscire a fine della prima parte della carriera e che segnò summa e apice di un suono appassionato, coinvolgente e travolgente. La band ha tutte le carte in regola per restare attiva. La canzone infatti fa venire voglia di ascoltarli dal vivo per appurare la potenza degli incroci di chitarra presenti e per farsi trasportare ancora una volta in quegli indimenticabili Anni ’80 tornati prepotentemente di moda. La realtà però ci dice altro. All’epoca la band non rappresentava la Moda e loro erano solo un gruppo che ripescava a piene mani negli Anni ’60, seppur con un certo stile. La chiusura del disco con Straight Lines è un colpo da maestro, con una lotta tra organo e chitarre che decreta solo vincitori ai punti. Ironia della sorte, in questa storia vince il compromesso e una band senza tempo è in grado ancora una volta di mettere d’accordo i figli con i padri. 

   

Tracklist:
01. Where I’ll Stand
02. Damian
03. Beyond Control
04. The Chronicles of You
05. Hard to Say Goodbye
06. Every Time You Come Around
07. Trying to Get Over
08. Lesson Number One
09. My Lazy Mind
10. Straight Lines

Photo © Chris Sikich