R E C E N S I O N E
Recensione di Mario Grella
Non ci sarebbe molto da aggiungere alle parole di Marco Colonna che accompagnano questo nuovo, suggestivo album intitolato Terra, ed uscito per l’etichetta The New Ethic Society: “Costruire un villaggio. La materia principale per costruire un villaggio non è il fango o la pietra, la roccia o il legno, ma lo spirito che crea le relazioni fra i suoi singoli abitanti.” Invece poi da dire di cose ce ne sarebbero moltissime oppure nessuna, poiché qui il suono dice già tutto il necessario, non di meno e non di più. Però per chi come me non ha altri strumenti a disposizione, se non la parola (il più delle volte scritta, non parlata), non resta che cimentarsi in questo difficilissimo compito di descrivere una costruzione sonora estremamente delicata, col timore di poterne rovinare l’intima essenzialità. Come in ogni rito tribale che si rispetti, anche la descrizione di questa Terra, incomincia con una danza, anzi con Dance, primo pezzo dell’album giocato su un fitto dialogo tra il clarinetto basso di Marco Colonna e il delicato suono di un tamburello con campanelli. Si può fare musica con così poco? E, si badi bene, non un solo pezzo, ma un intero album? Si può.

Marco Colonna costruisce spesso la sua musica “per via di levare”, per usare un modo di dire che fu caro a Michelangelo Buonarroti, quasi che il fondamento della musica fosse costituito da un’anima essenziale e tutto ciò che gli sta intorno fosse un elemento di disturbo. Heart(H)beat, il pezzo che segue, ne dà la conferma: attorno all’avvitarsi profondo del suono del clarinetto, un delicato e ripetuto ritmo, quasi ossessivo ci porta e ci fa sprofondare nelle viscere della terra, quelle viscere da cui tutto ha sempre avuto inizio. Mi piacerebbe definire la musica di Marco Colonna come un jazz “placentico” e in fondo non si tratterebbe affatto di una boutade, visto anche Franco Fornari, uno dei padri della psicanalisi italiana, in un celebre testo “Musica e psicanalisi”, teorizzò la nascita della musica, proprio nella situazione intrauterina del feto che conosce le prime “emozioni” ascoltando il battito del cuore della madre. Ecco io credo che questo disco di Marco Colonna sia quanto di più vicino a quella situazione: silenzi profondi che circondano suoni essenziali, grevi e lievi, preziosi e solitari. Lo si sente bene ascoltando Breathing il respiro delle cose che nascono e che muovono verso la vita. Non cambia natura il sound, nemmeno con Warrior Chants, ma cambia solo l’intenzionalità: la preparazione alla guerra (o alla lotta?), rende il clarinetto basso di Colonna ancora più profondo, adatto alla solenne inquietudine di un canto di guerra. La guerra fa parte della vita dell’uomo, sin dalla sua comparsa sulla terra e, in un disco così legato al principio delle cose, non solo ha una sua giustificazione, ma anche una sua drammatica necessità. Magnificamente ipnotica anche Slow Passages, con quel “disturbo”, stridente e dissonante che “pizzica” amabilmente la ripetizione di poche note che si succedono, accompagnate dai sonagli che scandiscono il tempo. Quali sono i passaggi che ci racconta il brano? Mi piace immaginarli come percorsi migratori di popoli che si spostano, di soglie da superare in quel perpetuo movimento dell’uomo e della sua anima. E il finale? Lo immaginavo proprio così, come in Not Only One, col suono che si diffonde dal clarinetto basso, senza altre distrazioni.
Una riflessione sonora che basta a se stessa (anche nel titolo) e che potrebbe riassumere tutta la poetica musicale di questo grande musicista. Musica da introiettare, che non permette e non concede distrazioni, ma solo grandi e suggestive meditazioni.
Marco Colonna: Clarinetto basso, Percussioni
Tracklist:
01. Dance
02. Heart(h)beat
03. Imaginari Forest
04. Breathing
05. Warriors Chant
06. Slow Passages
07. Not Only One
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