R E C E N S I O N E


Recensione di Elena Colombo

La pandemia di Covid-19 ha avuto un forte impatto sul mondo della musica, e non solo per quanto riguarda l’impossibilità di svolgere concerti. È cambiato anche il modo di fare musica. Non sto parlando del vostro vicino stonato che cantava “Fratelli d’Italia” dal suo balcone, ma di un collettivo musicale internazionale – gli Stargaze – che, data l’impossibilità di viaggiare, ha dovuto ripensare completamente il proprio modo di comporre e registrare i brani. Il risultato è il nuovo album One, presentato il 25 novembre 2022 dalla Trasgressive Records.
Prima di avventurarci in questo album innovativo, è opportuno presentarne i protagonisti. Il collettivo Stargaze è stato fondato una decina di anni fa tra Berlino e Amsterdam dal direttore d’orchestra tedesco André de Ridder. I musicisti che ne fanno parte provengono da diverse parti del mondo, perciò, a causa della pandemia, sono stati improvvisamente costretti a lavorare da remoto. Una grande novità per un ensemble così numerosa, abituata a suonare insieme in un contesto orchestrale. La produzione artistica degli Stargaze, però, non si è mai limitata a un solo genere musicale: One va oltre i confini della musica classica e moderna, sperimentando – o forse sarebbe più opportuno dire giocando – con i suoni dei diversi strumenti.

I brani che compongono One sono stati appositamente pensati perché tutti i membri dell’orchestra potessero registrarli separatamente: i compositori sono stati scelti per la loro capacità di «pensare alle partiture come qualcosa che potesse essere elaborato in seguito e manipolato», come ha affermato de Ridder. Registrato all’inizio del 2021, l’album si compone di cinque pezzi molto diversi, accomunati solo dal fatto di essere stati registrati a distanza.

Il primo brano, Metaphor, composto da Greg Saunier, inizia con una piacevole melodia di archi a cui ben presto si aggiungono gli altri strumenti, generando così accostamenti inaspettati e giocosi, che sembrano rappresentare coerentemente la figura retorica menzionata nel titolo. Che cos’è infatti una metafora, se non un rapporto analogico inatteso, che sorprende ma al contempo chiarisce il vero significato della parola? A metà brano, l’ingresso del pianoforte sembra invece suggerire un ritorno alla calma, data la ripetitività degli accordi che preludono il finale. A questo punto, mi sarei aspettata un crescendo con il ritorno dell’orchestra. Ancora una volta, invece, il brano sorprende, con una conclusione quasi improvvisa, che lascia nell’ascoltatore un certo senso di incompletezza.
L’inizio allegro di Voicecream, il secondo componimento di One, di Arone Dyer, mi ricorda la gioia della neve d’inverno; ben presto, però, l’aggiunta di toni sempre più cupi trasforma gradualmente l’atmosfera, aumentando il turbamento dell’ascoltatore. Indubbiamente, la cifra caratterizzante di questo componimento è l’imprevedibilità.
Se questi primi due brani sono caratterizzati da un inizio melodico che muta di tono con l’aggiunta di vari strumenti, Vacancy, di Tyondai Braxton, sovverte questa presunta regolarità con un attacco disturbante, a cui seguono suoni dissonanti, quasi fastidiosi, che si alternano per tutto il brano. Certamente si tratta della composizione più avvincente dell’intera raccolta, e forse anche la più ambiziosa. La mia impressione è che lo squillante xilofono che ritorna in modo irregolare voglia quasi provocare l’ascoltatore, sfidando tutte le regole dell’armonia. Una sezione in particolare mi ha colpito, perché è composta dalla sequenza dei suoni dei singoli strumenti, che procedono uno alla volta, sovrapponendosi solo parzialmente, come se avessero il timore di rubare la scena al proprio vicino. Gli strumenti sembrano inseguirsi, ricercando un’armonia che torna in un brevissimo momento di regolarità nella seconda metà del brano. Inutile dire che questa regolarità si conclude molto presto, per lasciare il posto a nuove sperimentazioni. Come Metaphor, anche qui la chiusa è improvvisa e lascia un senso di incompletezza.

Segue Recollection Pulse #3 di Nik Colk Void, un pezzo caratterizzato da una forte ritmicità, che accentua la differenza rispetto al brano immediatamente precedente. Il ritmo costituisce una costante di sottofondo che diventa progressivamente più incalzante soprattutto da metà brano, quando si sovrappongono suoni di numerosi strumenti che prima erano solo timidamente accennati. Il pezzo, con i suoi 9 minuti e 40 secondi, è anche il più lungo di tutta la raccolta.
L’album si conclude con Descend, composto da Aart Strootman. L’atmosfera onirica data dei suoni dei campanelli nella parte iniziale sembra davvero costituire una discesa leggera e piacevole dopo le avventurose composizioni precedenti. Tra tutti credo sia il brano più armonioso, e quindi anche il meno innovativo, ma la brusca interruzione nella parte conclusiva ci ricorda che dagli Stargaze non ci si può mai attendere nulla di banale.


Neppure la copertina dell’album rientra nell’ordinario. Il disegno originale, intitolato The Necklace, è stato realizzato a inchiostro dall’artista Gaia Fugazza nel 2019 e raffigura cinque persone sedute su alcune sedie, disposte a formare un cerchio. Incuriosita dalla copertina, ho contattato l’autrice, che mi ha spiegato che il disegno a inchiostro è ispirato a una visione onirica raccontata da una persona durante un incontro di condivisione di sogni, descritto in un articolo di Alice Kentridge. Nel disegno, la figura centrale indossa una collana, composta dai seni delle altre partecipanti. L’artista ha voluto rappresentare attraverso le sedie la sensazione di disagio che possono aver provato le partecipanti, vedendo parti del proprio corpo dissociate da sé. Le sedie sono uno strumento di costrizione che la società impone, un elemento che imprigiona i singoli, sia nella sua opera, sia nella società. Per esempio i bambini, seduti nelle classi, non solo non hanno la libertà di muoversi ma anche il loro corpo viene annullato dai banchi e le sedie, che nascondono gambe e parte del busto, separando nettamente mente e corpo. Credo che il motivo per cui gli Stargaze abbiano voluto quest’opera come copertina del proprio album sia dovuto al fatto che anche le loro composizioni vogliono liberarsi dagli schemi, dalle “sedie” imposte dagli altri, per sperimentare con la musica senza porsi limiti.

Tracklist:
01. Metaphor
02. Voicecream
03. Vacancy
04. Recollection Pulse #3
05. Descend


Photo © Reiner Pfisterer