R E C E N S I O N E
Recensione di Riccardo Talamazzi
“Amare è ritrovarsi”, diceva Sigmund Freud ispirandosi ad un’antica citazione platonica. Ma la sua affermazione non aveva nulla da spartire con l’idealismo del filosofo ateniese, mirando piuttosto a sottolineare il rispecchiamento un po’ narcisistico delle persone che si amano, quando si riflettono pienamente una nell’altra. Questa sensazione di “ritrovamento” deve averla in qualche modo avvertita anche Eva Svensson, ripescando casualmente una registrazione casalinga effettuata in solitudine dal marito Esbjorn pochi mesi prima della sua morte accidentale, avvenuta quattordici anni fa. Un messaggio senza parole che viene dall’Altrove, nove brani di solo piano da leggersi con intelletto d’amore, cioè avendo l’accortezza di lasciarsi condurre, in questo strano e inaspettato re-incontro, dalla luce del cuore, piuttosto che dall’esegesi della ragione. Il fatto è che di Esbjorn Svensson come solista avevamo solo qualche istantanea raccolta qua e là, cito a memoria per esempio una parziale presenza in Behind the Stars da 301 (2012) pubblicato postumo, Evening in Atlantis da Seven Days of Falling (2003) o ancora Decade da Leucocyte (2008), anch’esso editato poco dopo la morte dell’autore. Questo perché il lavoro col suo trio – Dan Berglund al contrabbasso e Magnus Ostrom alla batteria – l’aveva da sempre assorbito si può dire totalmente, quasi che questa formazione rappresentasse una vera e propria estensione vitale e necessaria del suo stesso animo. Perciò, il ritrovamento di alcune incisioni domestiche, pubblicate da ACT con il titolo HOME.S, apre un capitolo aggiuntivo alla figura del carismatico pianista svedese. Esbjorn Svensson Trio, gruppo che frequentemente citiamo su Off Topic per il suo ruolo seminale, ha influenzato almeno una generazione di formazioni pianistiche triadiche, soprattutto quelle provenienti dal nord Europa ma non solo. Dopo aver arricchito una musica geneticamente vessillifera del bebop con spunti classici, elettronici, pop e rock e avendo avuto l’accortezza di filtrare tutto attraverso una sensibilità contemporanea, il gruppo ha masticato a lungo e ben digerito decenni di tradizione pianistica jazz che si sono sovrapposti agli elementi sopra menzionati. Questa raccolta di nove brani, originariamente senza nome – sono comunque qualcosa di più di una semplice annotazione musicale – sono stati poi in un secondo tempo titolati dalla stessa moglie dell’Autore con le prime rispettive nove lettere dell’alfabeto greco antico, una sorta di omaggio all’interesse per la cultura ellenica dimostrato in vita dal consorte. Cosa possiamo distillare, dunque, da queste tracce? Certamente esse mostrano gran parte del profilo intimo e personale di Svensson, un’aristocratica malinconia di fondo su cui si sovrappongono ricordi di un pianismo classico legato soprattutto al periodo barocco e romantico, riflessioni Jarrettiane, brevi flash new-age e tensioni dinamiche quasi progressive. Sappiamo che il pianista svedese non era solo un improvvisatore e probabilmente gran parte delle idee emergenti in questo disco provengono da forme precedentemente composte su partitura, anche se abbiamo spesso l’impressione che i suoi spunti vengano per lo più riarrangiati, in seconda battuta, in una dimensione creativa sperimentalmente estemporanea. Il sentimento che anima tutto questo si manifesta attraverso un percorso fortemente melodico che perdura per tutto l’album e il messaggio musicale che ne risulta, alfine, sembra provenire da una fenditura del Tempo, là dove un ordine spirituale superiore guidi il pianista attraverso un progressivo disvelamento di sé.

Alpha è uno scorcio iniziale che ci fa subito intravedere, al di là dello schermo apparente delle singole note, una labirintica bellezza, un suono proteiforme di forte impronta classica, introdotto da una serie di accordi impressionistici ma che paiono costruirsi anche su matrici culturali tardo-romantiche. Poi, qualche sporadica dissonanza fa si che l’anima della composizione si allontani dai crediti storici per arrivare sulla riva di un continente più moderno, dagli indubbi – e per un certo verso inaspettati – risvolti new-age. Tutto questo mentre Svensson incrementa progressivamente volume e dinamiche del suo piano. Beta è un’impressione inizialmente molto somigliante ad alpha, tanto è vero che Svensson sceglie d’iniziare con lo stesso accordo di Fa# minore, pur suonandolo un’ottava più sotto. Cresce l’introspezione, una radiografia quasi crudele di uno stato d’animo, un momento serotino centellinato in una melodia che progredisce diluita con l’andamento degli accordi stessi. Assolutamente tra i brani migliori dell’album, dotato di una componente crepuscolare di rimarchevole valore poetico, insomma un superbo manifesto pianistico allo stato dell’arte. Una prima riflessione, al di là dello spessore emotivo di questa musica, è che qui siamo quasi agli antipodi di quel jazz memorizzato con gli E.S.T, come se Svensson avesse cercato di svincolarsi per un momento dal suo status di artista affermato ed inquadrato in un certo genere per approdare ad un’isola di gozzaniana memoria – quella che nessuno riesce a trovare mai, per intenderci. Anche Gamma incomincia con gli stessi vapori romantici e interiorizzati fin qui mostrati nei primi due brani. L’andamento è lento, grave, meditativo, fino a quando accade qualcosa di diverso. Svensson si ricorda di essere un jazzista, anche se sui generis, e comincia una serie di improvvisazioni libere con la mano destra sulla sequenza di accordi che procedono sempre a passo lento. Appare persino un ombra di blues, nella trama di questa eloquente irruzione improvvisativa, uno splendido spessore tridimensionale che avvicina lo stile di questa esecuzione a quelle del primo Brad Mehldau, con calligrafie tracciate a metà fra musica classica di stampo romantico e nervose impennate di puri fraseggi jazzati. Delta non cessa di sorprenderci fin dal suo inizio. Questa traccia si presenta come una fuga bachiana, con diverse voci che s’incrociano e s’inseguono fino a quando un robusto accompagnamento della tastiera più bassa tende ad ancorare a terra la complessa struttura armonica. Al di là del magistero esecutivo dimostrato dal pianista, dopo qualche pulsazione ritmica reiterata sulle note più gravi, un’improvvisa e brillante scala ascendente rompe lo schema barocco e pone termine al brano dileguando le armonie in un’ombrosa tavolozza di colori freddi. Anche Epsilon, forse addirittura più del pezzo precedente, dichiara l’amore verso Bach e parte del seicento-settecento barocco. Ma pure qui l’impronta iniziale subisce una devianza verso periodi più moderni e andiamo a finire in un ipotetico tramite tra Romanticismo tedesco e Mussorgsky per poi immettersi nel grande fiume del jazz, ammiccando persino a qualche battuta swingante. Svensson crea un ponte estemporaneo che ci fa transitare da una sponda all’altra della Storia della Musica legando i suoi periodi in modo tale che quasi non ci si accorge del continuo slittamento tra uno e l’altro.
Zeta è un omaggio – simpaticamente spudorato – alla Moonlight Sonata N°14 di Beethoven. La tonalità è la stessa in Do# ma Svensson ha l’accortezza di riproporla in modo maggiore mantenendone però l’identica intenzione contemplativa. Romanticismo a catinelle e sensucht a iosa, con dei crescendo dinamici che avrebbero fatto la gioia del grande tedesco. Un brano da prendere così com’è, un esercizio di stile, se vogliamo, ma quasi un corpo estraneo all’interno della sequenza di HOME.S. È la volta poi di Eta che si presenta con uno spirito fresco, molto new-age, allineato con quelle selezioni stagionali composte da George Winston quarant’anni fa, ma con l’infusione di armonizzazioni meno lineari e profumate di un po’ di quel jazz che fu appena sfiorato dal pianista americano. Svensson infatti gira attorno ad un bordone impostato sulla tonica di Do ma uscendo spesso out of tune, a sprazzi di note e scale, rendendo il brano molto dinamico e mutevole. E dato che non tutto è come sembra, in questo album, la seconda parte del pezzo decolla vistosamente con la potenza di un boeing 747 per arricchirsi con una serie di modulazioni e cambi tonali, uscendo dalla rassicurante stasi modale winstoniana. Questa lunga porzione finale è di straordinaria bellezza e rigira il brano come un calzino, dimostrando tutta la modernità dell’Autore svedese, non solo dal punto di vista strettamente tecnico ma soprattutto per quel che riguarda il versante creativo. Si va a finire dalle parti di Jarrett o anche, perchè no, di Liszt, con una coda improvvisativa di notevole spessore emotivo, creando un sentimento d’agitazione febbrile che va poi a smorzarsi tra le acque finalmente calme di un approdo sottocosta. Theta torna tra le braccia di Bach e del contrappunto con il brano assolutamente più barocco della raccolta – prestate attenzione anche alla cadenza risolutiva in chiusura… Iota sembra quasi un secondo movimento aggiunto al primo ma tra le maglie di questo contrappunto risaltano grappoli di note appartenenti ai secoli che verranno, con improvvise dissonanze che scardinano le certezze classiche, entrando ed uscendo continuamente dagli schemi bachiani.
HOME.S è un viaggio avventuroso e personale che ci porta dai gelidi chiari di luna alle estati troppo brevi del Nord, portatore di un ricordo e di uno struggimento che brucia tuttora, considerando la perdita definitiva di questo musicista. In pieno clima romantico si percepisce un ardente desiderio dell’inesprimibile ma anche un ritorno al rigore delle leggi armoniche, con quell’insistere sulla “meccanica” di fughe e contrappunti. Il jazz qui appare e scompare, sostituendo la propria voracità occupazionista presente nella forma a trio con un atteggiamento picaresco, un mordi e fuggi, un puro desiderio infantile di cavalcare l’onda per vedere fin quando si possa restare a galla. Ascoltare questa musica per piano solo ci fa intuire che ci debba essere un equilibrio segreto tra il fluire del sentimento e il mondo che ci ospita, un mistero ermeneutico che solo l’Arte sa capire ed esprimere. Questo mistero, Esbjorn Svensson, forse era riuscito in parte a svelarlo.
Tracklist:
01. Alpha (4:01)
02. Beta (3:35)
03. Gamma (6:08)
04. Delta (2:48)
05. Epsilon (4:36)
06. Zeta (3:19)
07. Eta (7:06)
08. Theta (2:29)
09. Iota (2:20)
Photo © Katarina Grip Hook
Rispondi