R E C E N S I O N E
Recensione di Andrea Notarangelo
L’Iguana è tornato e lascia il segno. Non giriamoci attorno, qui non si tratta di prendere un nome altisonante e scrivere due righe di conferma, ma di celebrare una delle uscite più interessanti di questo 2023. E siamo solo ai primi di Gennaio. Iggy Pop con Every Loser, suo diciannovesimo album solista, ci propone un ossimoro. Abbiamo nelle nostre orecchie un disco tanto fresco quanto conservatore nel celebrare le proprie radici. Com’è possibile tutto ciò? Semplice. L’artista ci mette la sua grinta, il suo piglio e quella voce manifesto che non invecchia mai a dispetto di un’attitudine punk che vorrebbe vedere i suoi protagonisti morire (metaforicamente), giovani. A far da cornice a questo quadro astratto, abbiamo oggi una formazione di tutto rispetto; l’Iguana infatti si fa accompagnare in questa nuova avventura da Duff McKagan (Guns n’Roses, Velvet Revolver, ecc…), al basso, Chad Smith (Red Hot Chili Peppers), alla batteria e Josh Klinghoffer (storico sostituto di John Frusciate nei Red Hot), alla chitarra.

L’apertura è col botto. Frenzy ci accoglie in tutta la sua potenza e il suo impatto deflagrante e non può rimandarci agli Stooges, storica e aggressiva ragione sociale che Iggy ha condiviso con i fratelli Asheton e Dave Alexander. Si cambia subito registro con Strung Out Johnny, seconda traccia nella quale nei crediti, oltre agli artisti sopra citati compare Andrew Watt, che è anche produttore dell’album. La voce di Pop abbandona la veste acida e grezza per assumere connotati gotici vicini per attitudine a band come ad esempio i Mission. In merito a Watt è bene spendere qualche parola: il produttore rappresenta da circa una decina d’anni una sorta di Re Mida che trasforma in oro tutto ciò che tocca (collaborazioni con Post Malone, Lana Del Rey, Blink 182 e soprattuto con Miley Cyrus, Eddie Vedder, Ed Sheeran e Ozzy Osbourne). Per chi scrive, infatti, la scelta del suo coinvolgimento è stata tanto rischiosa quanto vincente, perché un’artista blasonato come Iggy Pop avrebbe potuto perdere la propria “anima” in funzione delle richieste di un’industria musicale che desidera qualcosa di artificioso e patinato. Per nostra fortuna ciò non è accaduto e la produzione ha amplificato e nobilitato il messaggio del musicista. Ritengo sia doveroso dirlo perché è da questi dettagli che si può riconoscere un buon prodotto nel momento in cui ognuno contribuisce con il proprio talento dosando gli interventi. L’opera risulta immediata ma non per forza aggressiva dall’inizio alla fine. New Atlantis, ad esempio, parte in sordina attraverso un piglio molto loureediano, senza negarsi delle aperture solari ma non banali. Modern Day Ripoff ci riporta invece a quel rock robusto anni ’80 edulcorato però da derive pacchiane hair metal. La successiva Morning Show presenta un nuovo cambio di mood, con un Iggy Pop decisamente più riflessivo. Sfido chiunque a non immaginarselo immerso nella contemplazione di un’alba mentre tira le somme sulla sua carriera e su tutte le bizzarrie a cui ha assistito fino ad oggi. Neo Punk già dal titolo è una dichiarazione d’intenti, ma risulta triste che di questi strumenti se ne riappropri un musicista pieno di esperienza che ha già dato molto alla storia del rock e non vengano invece sfruttati da band emergenti per incanalare un messaggio di controcultura. Menzione speciale va per il drumming a cura di Travis Barker, un uomo, anzi una macchina, che non ha bisogno di presentazioni: lui dietro alle pelli, grazie al suo contributo, sa rendere interessante un progetto scanzonato e senza tante pretese quali sono appunto i Blink 182. Se in All the Way Down sentite qualche piccolo rimando a Seattle, soprattutto in epoca post grunge, non preoccupatevi, è del tutto normale grazie alla presenza nella traccia di Stone Gossard dei Pearl Jam. L’Iguana per l’occasione cambia ancora timbro e non nascondo che sarebbe stato apprezzabile, proprio in questa canzone, ascoltarlo in duetto con Billy Idol. Ascoltare per credere. L’album giunge al termine con due canzoni che portano nei crediti la firma di Taylor Hawkins, il compianto batterista dei Foo Fighters. In Comments è presente anche l’intervento di Eric Avery (Jane’s Addiction e Garbage), per una traccia godibile e inaspettata. I due musicisti fanno la differenza su un pezzo, altrimenti lineare e senza poche scosse, ma nel quale la batteria cadenzata di Hawkins dialoga magistralmente con il basso ‘gommoso’ di Avery. The Regency è un ottimo brano di chiusura, un inno contro l’ipocrisia cesellato da quel Fuck the regency up ribadito e cantato con un sentimento di liberazione crescente.
Every Loser è una summa perfetta di ciò che è stato, con la speranza che per le nuove generazioni di musicisti suoni più come ispirazione che non come un commiato definitivo da questa forma canzone.
Tracklist:
01. Frenzy (3:01)
02. Strung Out Johnny (4:14)
03. New Atlantis (4:08)
04. Modern Day Ripoff (3:29)
05. Morning Show (3:47)
06. The News For Andy (Interlude) (0:55)
07. Neo Punk (2:15)
08. All The Way Down (4:29)
09. Comments (3:54)
10. My Animus (Interlude) (1:03)
11. The Regency (5:42)
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