R E C E N S I O N E


Recensione di Andrea Notarangelo

Il ritorno sulle scene dei dEUS è sempre una buona occasione per raccontare una storia. Nello specifico, la trama si svolge ad Anversa, città portuale di origine medievale, crocevia di commerci e di influenze tra le più disparate. È in questa cornice che muove i primi passi l’ensemble di Tom Barman, un musicista dai lineamenti specifici, ben marcati che è già nato vecchio. All’epoca quella band portò una ventata di freschezza nella musica così detta ‘alternative’, attraverso un misto di influenze che spaziavano dal buon Captain Beefheart, presente nella cura dei patchwork e della cacofonia, dalla voce profonda fino al midollo à la Leonard Cohen e da un’attitudine funk particolare che li fece definire in un primo momento dei “Red Hot Chili Peppers, solo un po’ più grunge”. Da qui si evince come le etichette andrebbero abolite per lasciar spazio all’ascolto e, proprio da questo sentire sincero, un orecchio vergine o semplicemente scevro da preconcetti, non potrà che percepire la bellezza e la genuinità di una proposta che ha saputo rinnovarsi di capitolo in capitolo. La recensione potrebbe concludersi qui. Acquistate l’album nelle sue forme, o rifugiatevi nel vostro negozio di dischi preferito e chiedete al proprietario di preparare la puntina e basta. Il viaggio sonoro che vi aspetta sarà ben ripagato.

Sia però ben chiaro, all’ascoltatore più esperto, che sono lontani i tempi di Worst Case Scenario (debutto del 1994), di In a Bar Under The Sea (per chi scrive il loro capolavoro) e The Ideal Crash (il capolavoro riconosciuto dagli altri che scrivono di musica). Questa band che da anni si è assestata in una formazione più ‘liquida’ stupisce l’ascoltatore attraverso una musica raffinata ma meno geniale. Come spiega bene il loro leader “Non vuoi ripeterti, seppur l’intento è quello di conservare un certo stile. Vuoi provare sempre cose nuove e recepire semplicemente ciò che sembra fresco in quel momento”.

La title track How To Replace It ci accoglie con una marcia di timpani come accompagnamento del profondo cantato di Barman, mentre in sordina una chitarra distorta si annuncia timida, prima di lasciar spazio al tappeto di tastiere. Difficile non trovare il fantasma di Nick Cave ad accoglierci dietro l’angolo, fino a quando la traccia s’interrompe bruscamente per cedere il passo a Must Have Been New e la sua chitarra gioiosa e psichedelica. Quest’ultima è probabilmente una delle migliori canzoni del disco e forse la più solare di una raccolta che non è mai completamente pessimista. Anzi, i nuovi pezzi suonano provocatori nel loro cercar d’infondere nell’ascoltatore la voglia di emozionarsi al primo ascolto, con la pretesa di tornarci su di nuovo in un lavoro di introspezione continuo. In 1989, quarta traccia del disco, ecco subentrare il Barman crooner che riveste i panni di Leonard Cohen per un cantato seducente, fumoso e che ben si sposa con la voce femminile di accompagnamento nella creazione di un prezioso quadretto di synth e batteria. Come dei prestigiatori provetti, i dEUS ripetono il trucco in Dream Is A Giver, canzone se possibile ancor più umbratile ma non meno emozionante. In Pirates ritroviamo i violini cari a Klaas Janzoons, fedele compagno di Barman sin dalla prima incarnazione della band. Nel pezzo, uno dei più sperimentali del lotto, Tom canta “È solo la tua paura di dare un colpo di straccio al passato, come se non fosse mai successo. Forse però alla fine è successo davvero, quell’inferno personale di nostalgia e si desidera che non ritorni più”.

Si tratta sicuramente di un disco incentrato sulla rottura, su sconvolgimenti drammatici e personali che culminano in Love Breaks Down, ballad elegante dove il piano dialoga a meraviglia con la batteria, mentre una chitarra si fa strada in sottofondo con accordi delicati che accompagnano il canto disperato alla luna. “Quando l’amore si rompe, è auspicabile non restare nei paraggi”, canta Tom Barman, come se fosse davvero possibile sottrarsi a qualcosa che ci riguarda tanto da vicino. Con Cadillac si torna a vedere spiragli di luce come un’alba non solo immaginata ma finalmente vissuta con la persona che abbiamo sempre desiderato avere al nostro fianco. Ed è in tracce apparentemente innocue come questa che esce fuori la genialità che ha contraddistinto i dEUS in tutta la loro carriera; quando infatti pensi di aver compreso qual è la direzione intrapresa dalla band, ecco venire stravolte le tue convinzioni da una chitarra solista che dialoga a meraviglia con un sitar, il quale compare e scompare come un incanto da ‘Mille e una notte’ per tutta la durata della canzone. La chiusura è lasciata a Le Blues Polaire, canzone interamente cantata in francese in aria soul e in perfetto stile Neville Brothers. Barman stesso descrive il suo incedere come un fiume che scorre e non possiamo che concordare con la sua immagine.

Questo pezzo, seppur con altro stile, ricorda l’effetto distorcente e ammaliante delle canzoni dei Noir Desir; personalmente ritengo che un marcato utilizzo del francese, loro lingua madre, darebbe un valore aggiunto e potrebbe appagare ulteriormente la loro fame di sperimentazione. Quella voglia che da sempre li ha contraddistinti e li ha condotti in un viaggio oltre i confini che li ha portati a planare sempre su lidi dolcemente sicuri.

Tracklist:
01. How To Replace It (5:30)
02. Must Have Been New (3:47)
03. Man Of The House (5:12)
04. 1989 (5:05)
05. Faux Bamboo (4:28)
06. Dream Is A Giver (4:35)
07. Pirates (4:42)
08. Simple Pleasures (3:32)
09. Never Get You High (3:37)
10. Why Think It Over (Cadillac) (5:07)
11. Love Breaks Down (3:42)
12. Le Blues Polaire (6:36)

Photo © Joris Casaer