R E C E N S I O N E


Recensione di Nadia Cornetti

Letteralmente un esordio col botto. Non ci sono altri modi per iniziare a raccontarvi questo potente primo album degli Animaux Formidables, un duo avvolto da un alone di mistero (certamente inseguito con ferma volontà); ma poco importano le loro generalità – li chiameremo come piace a loro, Mrs Formidable (alle percussioni) e Mr Formidable (alla chitarra e alla voce) – quando la musica picchia così duro. Un duo, dicevamo, composto da un ragazzo e una ragazza dal volto coperto da un passamontagna nero in latex, con orecchie a punta, e con succinti abiti dark-glam. Estetica in parte già vista, a dire il vero, è inutile scacciarne il pensiero dalla mente, leviamocelo subito questo dente: i fantastici Sick Tamburo, tornano a bussare a più riprese nella mia testa, suggerendomi il superficiale accostamento che spero di dimenticare non appena inizierà il mio ascolto, ma solo per non terminare la partita con una sconfitta schiacciante dei nostri esordienti musicisti – il cuore gioca brutti scherzi, lo sappiamo tutti.

Messa da parte la mera estetica passiamo a quel che interessa tutti noi: la musica. Il primo album degli Animaux Formidables, We Are All Animals è uscito il 24 febbraio 2023, coraggiosamente autoprodotto e ottimamente registrato dalle sapienti mani – e orecchie – di Marco Fasolo (Jennifer Gentle, I Hate My Village). Non è facile dare una descrizione della musica realizzata da questi ragazzi: garage rock, noise, tante distorsioni ma anche tanta, tanta precisione, talmente tanta che ogni brano pare aver inglobato un metronomo, ciascuno con un ritmo proprio. Eppure non ci sono rifiniture, nessuna sovraincisione, pulizia o rimaneggiamenti nei pezzi dell’album: la sala registrazione è per We Are All Animals una sala prove in cui si è trattato di un “buona la prima”, risultato di un’urgenza comunicativa.

Il disco parte con il cattivissimo pezzo/manifesto omonimo dell’album, e subito capisco che pare nato per entrare nella testa e non lasciarla più: colpi decisi e un assolo distorto che si ripetono senza tregua, in un ossessivo martellare di batteria secca, cruda e riff sporchi ma precisi allo stesso tempo, e il messaggio non è da meno: “dobbiamo dimenticare tutto ciò che sappiamo, dopotutto siamo animali”, una delle più grandi verità a cui non siamo più soliti pensare. Segue Unfair, primo singolo estratto dall’album, che parte con una bellissima serie di accordi, per esplodere poi – al sopraggiungere di beat e voce – e urlare con rabbia la delusione nei confronti di un interlocutore sleale; e ancora Follow me, in cui – prendetemi per folle – ho letto un romantico per quanto violentissimo inno alla volontà di stare insieme perché “miglioriamo, ma solo insieme”, appunto. Ormai sono immersa nel definitissimo sound degli Animaux e, presa dal processo un po’ innato di dover accostare o classificare le novità che ascolto, ecco che rileggo in loro un pochino dei The White Stripes, a più riprese; più sporchi e più grezzi, tuttavia, e contemporaneamente pulitissimi nel loro alternare noise e brevissime pause di silenzio con una coordinazione davvero notevole, pratica che ottiene il risultato di accentuare la potenza dei pezzi (evidente un po’ in tutto il disco ma, se devo citare un brano in particolare, sicuramente è Dance Into the Void).

Come sarà ormai chiaro, il pattern ben definito dato dalla potente batteria è fondamentale nel sound del gruppo, ma sono altrettanto presenti parecchi spiazzanti cambi di direzione ritmica, che tolgono piacevolmente la prevedibilità a un lavoro nel quale l’urgenza di sperimentare – Fasolo docet – si sente eccome. La sperimentazione non tarpa le ali, però, al messaggio, che resta comunque focale: l’accusa all’umanità intera, di cui il singolo interlocutore (il “tu” cercato e invocato in quasi tutti i pezzi) si fa portavoce, è quella di snaturare la propria essenza animale, tradire i propri istinti per proseguire in un’esistenza schiacciata dalla società che noi stessi – ironia della sorte – abbiamo costruito.  L’apice del concept sfocia nella misantropia, che traspare senza alcun velo in Fortress of Solitude, che recita “chiunque sia qui, per favore, se ne vada!”: le parole disilluse di chi ha provato – ma non riesce più – a vedere un lato buono negli altri individui della propria specie, saranno certamente di conforto a tutta questa delusione. Stride non poco, dopo questo disperato desiderio di solitudine, il titolo del brano seguente, What a Pleasure!, sebbene non ci sia alcuna illusione o ritorno ad alcuna positività, che ormai è stata abbandonata irrimediabilmente: il tema focale qui è l’onestà, raccontata però come un controsenso, dal momento che l’interlocutore richiede di essere onesti ma non vuole sentire la verità poichè, in quel caso, impazzirebbe per la rabbia. Chiude questo album-manifesto Now I can see You, dove gli Animaux tornano a picchiare forte con suoni e parole e ci consegnano una riflessione da dove l’umanità non emerge molto bene, a dire il vero: è come se, arrivando al termine di un viaggio che è anche una terapia, la lucidità e la capacità di scorgere davvero l’essenza dell’interlocutore si palesassero, finalmente.

Non userò giri di parole per definire in maniera concisa l’ascolto che ho appena terminato: We Are All Animals non vi regalerà nessuna illusione, se è quello che state cercando, ma vi racconterà di una società che farebbe meglio a tornare sui propri passi, prima che sia troppo tardi, e avanza un’analisi sociale di quelle che mi piace percepire nei dischi. Soprattutto se, in aggiunta, è resa interessante da suoni convincenti, definiti, e con una direzione ben precisa, che posso solo augurare agli Animaux Formidables di riuscire a non smarrire mai.

Tracklist:
01. We are all animals
02. Unfair
03. Follow me
04. Do you mind?
05. Dance into the void
06. Just a Monday
07. Shake it
08. Fortress of solitude
09. What a pleasure
10. Now I can see you 

Photo © Patrycja Holuk