R E C E N S I O N E


Recensione di Claudia Losini

Tre anni dopo l’omonimo disco, Dente torna a parlarci al cuore con Hotel Souvenir.
L’hotel, non luogo per eccellenza dedicato alla malinconia, all’amore e ai ricordi, diventa l’immaginario metaforico in cui Dente ci accoglie, facendoci entrare nelle sue stanze usurate, vuote, ricolme di pensieri stagnanti, illuminate dal tramonto, con la luce rotta, alcune con la moquette e altre con letti ancora disfatti.
Ogni canzone si affaccia a una di queste stanze, belle o brutte che siano, malandate o tenute bene, per illuminarle con un affettuoso ricordo, per pulirle dalla bruttura e darle una nuova vita. Mentre stavo scrivendo questa recensione, mi sono accorta che avevo digitato erroneamente il titolo del disco come “Hotel Solitudine”, perché di questo, anche, si parla.

Dente è sempre stato un maestro nel raccontare la vita intima, con delicatezza e un tocco di ironia. Pare che qui, in questo hotel di ricordi, si sia soffermato a riflettere sul passato, sulle scelte, sulle decisioni che prendi e per cui non potrai più tornare indietro, per cambiare tutto. Ma si parla soprattutto di consapevolezza. Quella che arriva a volte come una valanga che ti sommerge, perché pensiamo di essere per sempre giovani, ma poi un giorno ci svegliamo e siamo degli adulti, nella nostra stanza disordinata, e non capiamo bene se dobbiamo scappare, da quella stanza che è la nostra vita, oppure fermarci e riordinarla.
Diventare consapevoli del proprio percorso, imparare ad accettarlo, prendersi cura di sé e imparare anche a cambiare idea su se stessi.
Dente ci racconta diverse fasi che tutti abbiamo attraversato: dal voler cambiare lavoro e vita, al voler fuggire da noi stessi, dal non voler mai decidere a guardarsi indietro e fare la somma di 20 anni passati e chiedersi, cosa è cambiato?
Dente è un poeta della solitudine, della malinconia, ma anche dell’amore per se stessi.
Potrei passare ore a citare ogni suo verso, per farne una analisi testuale e metaforica.

In La vita fino a qui con i Post Nebbia, canta: “Ma cosa c’è cosa c’è che non va/ Cosa c’è di diverso da vent’anni fa/ È la stessa solitudine/ Le stesse nuvole / Che non si muovono mai/ Non si muovono mai.” È una sensazione strana, quella che si prova quando qualcuno canta esattamente i tuoi pensieri. Quei versi hanno riaperto una mia stanza di ricordi di provincia, quando rimanevo ore appoggiata al davanzale a fissare le nuvole e immaginare un futuro altrove. Quella sensazione non passerà mai. Proprio come dice Dente.
Un anno da dimenticare ci dice che, nonostante spendiamo tempo a cercare di dimenticare un brutto periodo, è meglio ricordarlo, perché ci lascerà sempre un insegnamento.
Discoteca solitudine, un brano che spicca per la sonorità totalmente diversa rispetto alle canzoni non solo del disco, ma di tutta la sua carriera, è l’inno degli innamorati non corrisposti, della solitudine e della voglia di condividerla.
Il disco si chiude con Un viaggio nel tempo, un bonario monito al proprio passato, un consiglio dato da chi ha vissuto giusto un poco di più per parlare al sè ragazzo e dirgli che forse, non è così tutto male. E parla a tutti noi che diamo per persi quegli anni Duemila che erano così giovani e pieni di speranza, ma poi sono finiti. E ci lascia con un finale pirandelliano: lo senti il suono della ferrovia?
Il fischio del treno per Pirandello era quel suono che ti destava dal torpore di una vita ordinaria e ti faceva ribellare alla tua realtà per crearne una nuova.
E voi lo sentite, il suono della ferrovia?

Tracklist:
01. Dieci anni fa
02. Cambiare idea
03. Allegria del tempo che passa
04. Discoteca solitudine
05. Un anno da dimenticare
06. Presidente
07. La vita fino a qui (feat. Post Nebbia)
08. L’abbraccio della venere
09. Il mondo con gli occhi (feat. Fulminacci, Giorgio Poi, Colapesce, VV, Ditonellapiaga, Dimartino)
10. Un viaggio nel tempo

Photo © Irene Trancossi

Cover Andrea Ucini