A R T E – M O S T R E
Articolo di Elena Colombo
Camminando per le calli di Venezia, cercando di farsi strada tra i turisti, un manifesto ha catturato la mia attenzione: è in bianco e nero, raffigura centinaia di piccioni che prendono il volo in piazza san Marco. La fotografia coglie perfettamente l’attimo vibrante in cui gli uccelli si librano verso l’alto, mentre sullo sfondo si intravedono le cupole della basilica. Osservandola, colpisce soprattutto la differenza tra i piccioni in primo piano e quelli che hanno già spiccato il volo, in un movimento vorticoso di ali.
“Inge Morath- Fotografare da Venezia” recita il manifesto. Incuriosita, decido di recarmi a palazzo Grimani, dove fino al 4 giugno 2023 è allestita la mostra. So poco di fotografia: prima di vedere questa mostra, Inge Morath per me era un nome sconosciuto. Ringrazio quindi la mia curiosità – e chiedo scusa per la mia ignoranza – che mi ha permesso di incontrare la prima fotogiornalista donna dell’agenzia Magnum Photos, fondata da nientepopodimeno che (è il caso di dirlo) il celebre Robert Capa.

Inge Morath, nata in Austria nel 1923, si è cimentata per la prima volta nella fotografia proprio a Venezia, dopo una carriera da traduttrice e giornalista. Era il 1951 e la Morath si trovava in Italia con Lionel Brich, suo primo marito e giornalista a sua volta. Vi era la necessità di scattare alcune fotografie per un reportage: la Morath chiamò Robert Capa per chiedergli di inviare qualcuno per farle. L’idea era impraticabile: fu allora che Capa le propose di scattarle lei stessa. Inge Morath comprò così una pellicola, che applicò alla macchina fotografica regalatale dalla madre, mai usata prima. Si mise dietro l’obbiettivo e la sua vita cambiò: la fotografia divenne il suo nuovo modo di esprimersi.
La mostra è un omaggio al particolare legame tra la città sull’acqua e la fotografa che ne ha colto le sfumature più realistiche. Inge Morath ha infatti ritratto la città lagunare nel secondo dopoguerra, un periodo in cui l’Italia cercava di rialzarsi, a fatica, da un momento storico che l’aveva segnata nel profondo. La Morath fotografò situazioni quotidiane, come alcune donne che cuciono vicino ai panni stesi, in un contesto unico come quello veneziano. Troviamo così immagini di bambini che giocano accanto a una figura leonina di dimensioni monumentali, una suora che cammina mentre una delle statue dei mori sembra osservarla dall’alto, ragazzine che vanno a scuola sullo sfondo di muri dipinti con immagini devozionali affiancate da un cero acceso. Passato e presente si mostrano in tutte le loro differenze, ma la fotografia della Morath riesce a farli convivere senza che si generi un contrasto netto. Il risultato sono immagini in bianco e nero che danno una sensazione di armonia, e talvolta di malinconia, come per la fotografia di un paio di scarpe da donna dimenticate accanto a una fontana.

Inge Morath è stata innanzitutto una viaggiatrice: nel corso della sua vita ha attraversato Europa, Nord America, Medio Oriente e Asia (Russia e Cina). Svolgeva il suo lavoro con passione e serietà, preparando i propri reportage con cura minuziosa. La mostra espone oltre duecento scatti della fotografa, i quali ripercorrono i suoi spostamenti per il mondo, accanto a citazioni di collaboratori e di lei stessa sul proprio mestiere. Inge Morath non amava stare ferma a lungo nello stesso posto: il secondo marito, Arthur Miller, a tal proposito affermò che “Inge inizia a fare i bagagli non appena vede una valigia”. Non le piaceva affrontare i viaggi superficialmente: per questo motivo si informava sulla storia, la cultura, le tradizioni e persino la lingua dei paesi di destinazione. Parlava infatti tedesco, inglese, francese, spagnolo, rumeno, russo e mandarino.
Inge Morath svolgeva il proprio mestiere in un ambiente prettamente maschile: ciononostante, riuscì ad affermarsi grazie alla bellezza dei suoi scatti, così delicati e insieme intensi. Le piaceva cogliere l’intimità dei propri soggetti, sia che si trattasse di lavoratrici senza nome, sia che fosse Audrey Hepburn. Nella mostra è presente anche una sezione dedicata ai ritratti di importanti personalità del Novecento, tra i quali l’attrice appena citata. Non mancano scatti di Marlyn Monroe, Pablo Picasso, Fidel Castro, Pablo Neruda, Andrej Dostoevskij, solo per citarne alcuni.

Come anticipato dall’immagine dei piccioni in piazza San Marco, non tutti i soggetti ritratti da Inge Morath sono umani: forse conoscerete la fotografia “A llama in Times Square”, dove la testa dell’animale spunta da un’automobile e fissa l’obiettivo, mettendosi quasi in posa. L’immagine che ne risulta sembra quasi surreale e fa sorridere chiunque la osservi. Insomma, a questa mostra ce n’è per tutti i gusti: caldamente consigliata a chi vuole lasciarsi stupire dalla bellezza della semplicità.

Foto © Fotohof archiv / Inge Morath Foundation / Magnum Photos
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