I N T E R V I S T A


Articolo di Luca Franceschini

Nell’agosto del 2017, trovandomi in vacanza a pochi chilometri da Grosseto e avendo saputo che gli Abiku erano nel pieno delle registrazioni del nuovo disco, chiamai Giacomo, cantante e paroliere del gruppo, e mi misi d’accordo per andarli a trovare. Passammo il pomeriggio insieme, ascoltai qualche canzone nuova ancora in versione rough mix, dopodiché li intervistai. Era ancora molto presto: non c’era né un titolo, né una data di uscita e neppure piani precisi di investimento a lungo termine con etichette e uffici stampa. Il mondo della musica stava cambiando, loro se n’erano resi conto e non volevano compiere scelte precipitose. Ragion per cui, al momento di pubblicare il pezzo, mi chiesero cortesemente di aspettare che venisse definita una strategia di lancio. Quello che nessuno di noi immaginava, è che ci sarebbe voluto più di un anno perché questo tanto sospirato disco potesse vedere la luce. Finalmente ci siamo: abbiamo un titolo (“Montecarlo”), un singolo (“Internet”, presentato in anteprima su Ondarock il 24 gennaio) e un’etichetta, la sempre ottima Costello’s, che dopo aver pubblicato il precedente La vita segreta (quando ancora si chiamava Sherpa Records) ha scelto di prolungare la partnership. Avremo tempo per parlarvi del disco (che abbiamo nel frattempo ascoltato interamente) e di fare ancora due chiacchiere con loro, giusto per aggiornaci un po’. Intanto però, ci sembrava bello riproporre quell’intervista di due estati fa, perfetta fotografia di un gruppo che, terminata una fase importante della propria carriera, stava pazientemente cercando di ridefinire le proprie coordinate.

Questa intervista nasce da un’occasione fortuita. Ad agosto ero in vacanza in Toscana, in provincia di Livorno ma non poi così distante da Grosseto. E a Grosseto, come si ricorderà probabilmente chi li ha seguiti, ci sono gli Abiku, vale a dire, una delle più interessanti realtà italiane degli ultimi anni. Il loro La vita segreta, uscito nel 2014, è stato per il sottoscritto un evento inaspettato, una di quelle scoperte musicali che segnano in modo indelebile i percorsi di ascolto. Giovanissimi ma con un talento per la scrittura e l’arrangiamento delle canzoni davvero fuori dal comune, hanno saputo evolvere il modello del pur ottimo Technicolor, realizzando un lavoro importante, coniugando alla perfezione la grande tradizione del nostro cantautorato con soluzioni e stilemi più smaccatamente Pop.

Lo hanno portato in giro in lungo e in largo negli anni successivi, riscuotendo un successo importante, che non li ha fatti esplodere commercialmente ma che ne ha senza dubbio aumentato le quotazioni. Adesso si sono fermati, si sono ritirati nella loro città e qui, nella tranquillità di quel luogo dove “non succede mai niente” (per citare il titolo di una delle loro canzoni più note) hanno iniziato a dare forma al prossimo disco. Che sono poi andati a registrare a Milano, sotto la regia dell’ottimo Matteo Cantaluppi, in quello stesso Mono Studio dove negli ultimi anni sono nati alcuni dei lavori di maggior successo del panorama nostrano. Il disco non è finito, non c’è un titolo, non c’è una scaletta precisa né tantomeno si conosce una data di uscita. Eppure, preso da sana curiosità e approfittando della vicinanza, sono andato a trovarli e ho chiesto loro di poter ascoltare qualcosa. E così ci siamo incontrati in centro a Grosseto, abbiamo mangiato un ottimo fritto misto in riva al mare e ci siamo poi trasferiti nella vicina Castiglione della Pescaia dove, in cima alla rocca che sovrasta il borgo medievale, accompagnato da un paesaggio degno di nota, ho ascoltato quattro pezzi da quello che diventerà il loro terzo album. I cambiamenti, per quel che mi è dato modo di capire, ci sono e neppure pochi. Preferisco non svelare nulla (qualche cosa, comunque, la si capirà dall’intervista che segue) ma ci tengo a dire che, pur con una formula quasi totalmente rinnovata, le canzoni che ho ascoltato sono bellissime e testimoniano lo stato di forma di un gruppo che, siamo sicuri, ci regalerà un altro grande lavoro. C’è una canzone, in particolare, che ha davvero tutte le potenzialità per diventare un singolo importante. Ma non voglio dire di più, per ora…

Qui di seguito il resoconto della chiacchierata “ufficiale” che dopo l’ascolto ho fatto con Giacomo Amaddii Barbagli (voce, chitarra e principale compositore), Edoardo Lenzi (tastiere e Synth), Lorenzo Falomi (chitarra) e Stefano Campagna (batteria). La bassista Virna Angelini purtroppo ha lasciato la band lo scorso anno, come mi hanno spiegato i quattro, dopo che avevo chiesto come mai non fosse anche lei lì con noi. Le risposte che leggerete sono ricavate dalla sintesi di tutto quel che i quattro hanno di volta in volta detto. È dunque tutto il gruppo a parlare, tranne dove indicato diversamente.

Mi sembra doveroso partire dall’inizio. Come si è arrivati ai pezzi che ho ascoltato? Immagino che ci sia in giro anche altra roba…

Abbiamo registrato un sacco di demo ma non tutti sono pezzi veri e propri, alcuni sono rimasti al livello di idee abbozzate. Abbiamo lavorato tanto, diciamo che abbiamo messo insieme circa 20-25 idee nel giro di due anni. Da qui, ne abbiamo poi ricavato sei pezzi completi, che abbiamo registrato al Mono Studio con Matteo Cantaluppi. Adesso stiamo cercando il modo migliore per chiudere il disco e molto probabilmente lo faremo nel nostro studio, a Grosseto. Non sappiamo ancora quanti metterne esattamente, però l’idea è di fare una cosa più breve dell’altra volta, con non più di mezz’ora di materiale.

Molto poco, quindi…

È vero ma siamo diventati perfezionisti, pretendiamo un certo standard qualitativo e normalmente è difficile riuscire a produrre più di 40 minuti di musica davvero interessante. Di conseguenza, operiamo una dura selezione, tendiamo a scegliere il meglio di quello che facciamo.

Sarà un ritorno interessante anche perché, nel frattempo, non è che ci siano state chissà quali occasioni per sentire parlare di voi…siete rimasti molto nell’ombra e adesso state per uscire con un disco che sarà decisamente diverso da quel che facevate prima. Sarebbe bello poter entrare più nel dettaglio e capire che cosa è successo in questo ultimo periodo…

In realtà niente di speciale: anche noi abbiamo smesso di sentire parlare di noi! Cosa dire? Era una cosa sincera quando ti abbiamo detto che ci eravamo stufati di suonare i pezzi de La vita segreta! Nel tempo, progressivamente, abbiamo aperto i nostri orizzonti di ascolto, e se prima quando scrivevamo quel disco, si ascoltava musica con una sezione ritmica più rock, adesso un po’ quelle cose ci hanno stufato e ci ha stufato anche quel disco lì, pur essendone molto contenti, ovviamente; però sai tornando indietro a guardare quello che hai fatto, trovi anche tante cose che non vanno e che magari desidereresti cambiare. C’era quindi voglia di fare qualcosa di diverso ma è stato un percorso arzigogolato, che ha seguito varie direzioni. A tentativi, e per certi versi si è andati anche un po’ a caso, abbiamo messo insieme più elementi, da questi è scaturito un certo sound per cui siamo partiti da qui. Ci sono stati dei cambiamenti, lavorando sugli stessi pezzi per più tempo: alcuni di quelli che hai ascoltato, per esempio, all’inizio avevano sonorità diverse, Faraone al Luna Park era molto più anni ‘70 c’era il clavinet, il tempo shuffle… Però poi, quando abbiamo raggiunto uno stile che ci soddisfaceva di più abbiamo cambiato ed è pure finita che abbiamo buttato via anche tantissimi pezzi che magari avevano anche qualcosa di interessante ma che non quadravano in questa idea di fondo che avevamo cominciato ad elaborare.

Quindi, nonostante io abbia ascoltato solo quattro pezzi e nonostante non ci sia ancora la scaletta completa, possiamo già dire che questo sarà il suono del disco?

Sì, il disco suonerà così, ci teniamo a fare una cosa che abbia un suo senso, una sua atmosfera e quindi tutti i brani avranno in comune un certo tipo di omogeneità sonora.

Questo vuol dire che avremo a che fare con un disco più compatto di quello precedente. Che può essere un bene e un male: ne “La vita segreta”, per dire, avevo apprezzato molto questa varietà di spettri, il fatto che i singoli episodi fossero tutti così ben individualmente connotati. Qui si avverte subito un suono molto uniforme però anche questo potrebbe essere un marchio di fabbrica, potrebbe fornire un certo tipo di impronta…

È vero, e poi anche lavorare con Matteo ha avuto il suo ruolo. Intanto, ci ha aiutato a prendere sicurezza in queste scelte che avevamo fatto, dicendo che i provini suonavano bene, e ci ha dato anche diverse idee per arricchirli, ad esempio tutti questi layer di percussioni, questi beat, sono cose che ha aggiunto lui. Anche sulle chitarre lui e Lorenzo hanno lavorato insieme per tirare fuori uno stile differente; se senti, la chitarra è stata trattata in modo molto diverso. E poi anche a livello di strutture ci ha aiutato a razionalizzare meglio: allungare qui, togliere là… diciamo che è stato un produttore a tutti gli effetti.

Com’è che lo avete contattato?

Nel 2015 abbiamo suonato coi Thegiornalisti che ci hanno parlato benissimo di lui. In Italia, se ci pensi, non ci sono tanti produttori artistici che abbiano veramente un suono, un’identità. Ci piaceva l’idea di confrontarci con una personalità nel suo campo ed in effetti abbiamo avuto ragione: ci siamo divertiti molto a fare il disco con lui.

A questo punto mi sembra naturale chiederti, Lorenzo, come hai partecipato alla stesura del disco. Perché, se non vado errato, tu sei entrato in formazione quando “La vita segreta” era già uscito. Questa è dunque la prima volta che hai potuto dare il tuo contributo anche alla fase di scrittura…

All’inizio, all’epoca dei provini, non ho fatto un granché. Però quando abbiamo iniziato a prendere questa direzione, con la chitarra un po’ più funky, per così dire, ho partecipato di più. Mi piace molto quel tipo di chitarra e quindi penso di aver contribuito a fornire il mio modo di suonare; alla fine direi che ho suonato all’80% quello che mi piace. Ho cercato di essere più una percussione che una vera e propria chitarra e quando fai così non è che vengano fuori proprio delle note… a volte in realtà ci sono delle frasi scandite bene, super distorte, super armonizzate, però in genere il ruolo della chitarra è proprio più quello di una percussione. Ed è una cosa che mi piace molto, in verità. Il suono alla fine è sempre uno e anche questo può essere visto come un grosso punto di cambiamento rispetto al disco precedente: abbiamo cercato di ridurre il più possibile i suoni della chitarra. All’inizio eravamo partiti con un sacco di idee ma poi, a conti fatti, la chitarra ha un unico suono e viene usata solamente in tre modi diversi.

Sempre rifacendomi a queste mie prime impressioni di ascolto, mi sembra che i nuovi brani siano fortemente basati sul Synth. Edoardo, ci vuoi dire qualcosa in proposito?

Tutte le volte che abbiamo iniziato ad arrangiare i pezzi siamo partiti dallo stesso metodo, vale a dire un suono di Synth come base armonica. Come per la chitarra, abbiamo cercato di non avere troppe idee, di concentrarci su una sola, magari anche la più semplice.

In effetti qui trovo una spontaneità melodica che anche prima era presente, anche se declinata all’interno di un lavoro senza dubbio più ricercato…

Beh ma a quel disco avevamo lavorato un sacco di tempo, lo abbiamo rifatto mille volte perché non eravamo mai soddisfatti, continuavamo a cambiare. Questa volta, per fare quei sei pezzi, siamo stati in studio solo una settimana: è stata una nostra scelta, quella di lavorare in modo più spontaneo, ma è anche vero che avevamo le idee molto più chiaro su come farlo.

Questo metodo di lavoro valorizza meglio l’impatto, i pezzi entrano subito…

E ti diciamo che per noi è il risultato giusto perché siamo un gruppo di musica pop e quindi ci interessa fare musica che risulti non banale ma immediata.

In tutto questo processo creativo, c’è qualche nome particolare a cui vi siete rifatti? Qualche influenza particolare che sapete individuare?

Lorenzo: Matteo per le chitarre mi ha consigliato i Phoenix, che per altro mi sono piaciuti parecchio. Poi per il resto ognuno ha fatto il suo…
Giacomo: io personalmente in questo periodo ho ascoltato tantissimo i Talking Heads però anche un sacco di altre cose, è difficile isolare. Se dovessi spendere un titolo ti direi Destroyer, il disco del 2011, “Kaputt”: c’è dentro un po’ di Revival anni ’80 affiancato al rock tradizionale, all’Ambient… veramente molto bello!
Edoardo: E poi sicuramente i Metronomy, che hanno ispirato molto le linee di basso.
Giacomo: Giusto, poi mentre arrangiavo la linea di basso di Faraone al Luna Park avevo in testa un pezzo Motown però adesso non ricordo il titolo…

Me lo raccontavate prima a pranzo però mi sembra comunque il caso di riprendere il discorso di Virna. Come mai ha deciso di lasciare la band?

Molto semplicemente, Virna si è trovata a dover fare una scelta perché la sua ricerca professionale le stava prendendo sempre più spazio ed energie. Ha partecipato alle prime sessioni di prove sui nuovi pezzi ma ha capito subito che non ce l’avrebbe fatta; a malincuore, quindi, si è trovata a dover ammettere che non aveva più tempo a disposizione da dedicare al progetto. Anche a noi è dispiaciuto, ovviamente, siamo ancora in ottimi rapporti ma non era più possibile lavorare con lei per come volevamo noi.

E mi dicevate che non avete in mente di trovare un sostituto, giusto?

Sicuramente sul palco qualcuno a suonare il basso ci sarà, però non credo che in futuro arriverà qualcuno in pianta stabile. Per quanto riguarda la fase creativa, funzioniamo noi quattro senza problemi.

Del resto oggi il mondo è davvero cambiato: si potrebbe quasi dire che le band non esistono più. Va molto più di moda l’artista che sta dietro al computer a inventare suoni… mi pare di capire che un po’ anche voi avete fatto così stavolta…

È una conseguenza del fatto che si può fare musica in casa senza il minimo problema, hai librerie piene di suoni che puoi mettere insieme da solo e poi la produzione ormai è un aspetto fondamentale del fare musica, arriva a toccare il modo stesso in cui si scrivono le canzoni. Ecco, forse per noi questo è stato il cambiamento fondamentale: che a partire da questo disco, la produzione è entrata nella scrittura. Prima si faceva tutto in sala prove, si arrivava con la chitarra acustica e gli altri arrangiavano al momento. Adesso non abbiamo più neppure la sala prove, ci si scambiano le idee e poi ognuno ci lavora. Beh, il fatto di non avere più la sala prove l’abbiamo fatto per risparmiare! Ci vediamo più come designer che scelgono i vari colori per i vari ambienti, anche noi facciamo molte prove per trovare il dettaglio giusto.

Ma suonate ancora insieme ogni tanto, immagino…

Sì, lo abbiamo fatto qualche settimana fa per preparare il concerto del Filofestival ed è stato interessante, c’è stato subito un altro approccio, anche se avevamo tutte le parti già pronte, sapevamo già cosa suonare. Abbiamo anche arrangiato i vecchi pezzi col canone di quelli nuovi, in modo tale da dare maggior coesione al live. Però anche qui, avevamo già le nostre parti pronte, registrate con dei provini e poi le abbiamo suonate in sala. In pratica abbiamo lavorato sui pezzi vecchi come se fossero nuovi!

Ecco giusto, il Filofestival a Grosseto. È stata la vostra prima uscita live dopo parecchi mesi… come avete deciso di partecipare?

Ci è arrivata una proposta di fare questo concerto, organizzato da un amico di vecchia data. Si tratta della prima edizione di un nuovo festival, in un posto dove però esistono già da tempo delle rassegne musicali. Inizialmente abbiamo rifiutato perché il disco non era finito, eravamo in una fase delicata e non avevamo tutto questo tempo da usare per preparare un live. Però poi il contesto era bello, si tratta davvero di un posto spettacolare, qui vicino a Grosseto e ci è venuta anche voglia di provare i pezzi nuovi, per capire come avrebbe reagito il pubblico. Alla fine è stato bello e ci è sembrato che anche alla gente sia piaciuto. Ci ha dato una bella sensazione di felicità, insomma.

Giacomo, ho paura che sia venuto il momento di parlare dei testi. Per “La vita segreta” avevi fatto un lavoro davvero molto ambizioso. Qui, ad un primo ascolto, mi sembra che i contenuti e le provocazioni non manchino, ma che sia tutto un po’ più esplicito…

Non saprei dirti di preciso. A questo giro mi sono dato come diktat di seguire il più possibile l’istinto. Infatti ho fatto cose anche inconsuete, tipo puntare la sveglia nel cuore della notte per segnarsi alcune cose, oppure ho fatto tutta una sorta di patchwork, per un certo periodo. I testi de La vita segreta avevano sicuramente un’impronta più narrativa, personale, di autoanalisi, cosa che ha forse anche contribuito ad appesantirmi, a farmi annoiare, perché alla fine sono cose pesanti e portare in giro quel materiale per cinquanta date non è semplice. Mi piace invece che questi nuovi testi siano più modernisti, non so…

Mi ha colpito in particolare il testo di Faraone al Luna Park. Sembra dedicata ad una tipologia di persona precisa, vero?

È una canzone allegorica, metaforica e prende di mira una particolare figura, sì. Mi dispiace perché non mi piace fare testi troppo moralisti, non era in programma scrivere una cosa così però l’ho proprio sputato, non ho potuto farne a meno. È l’idea di un nostro coetaneo che vive una vita molto agiata, che non si preoccupa di niente e che… ma non voglio spiegarlo troppo se no si perde!

Beh, detta così, non potremmo avere a che fare con lo stesso tema di cui cantavi in Dammi una mano Pakistan? Ovviamente declinato in modo diverso…

È interessante, può anche essere ma ti confesso che non ci ho pensato!

Quello in effetti è il nostro lavoro: analizzare i testi e rompere le balle con domande assurde… senti, siamo in dirittura d’arrivo: vi chiederei qualcosa delle tempistiche di uscita, se le avete già.

Le tempistiche sono in via di definizione, in questo momento non possiamo dire nulla di certo. Stiamo definendo bene cosa fare, come muoverci per la promozione perché poi nel frattempo è cambiato tutto: all’epoca de La vita segreta il mondo musicale era completamente diverso, questo è un momento di rivoluzione. È vero che sono passati solo tre anni ma ormai è il tempo di internet: sai che si dice che su internet il tempo passa come la vita dei cani, no? Per cui è come se quel disco fosse uscito 21 anni fa!

Come lo vedete, a riguardarlo oggi? A parte il fatto di esservi stancati di suonarlo, è andato come vi aspettavate?

A posteriori ti diremmo che abbiamo raccolto quel che il disco meritava. Abbiamo suonato tanto, abbiamo messo il naso fuori dalla provincia parecchie volte, ci siamo esibiti in tutti i tipi di situazione, abbiamo conosciuto tante persone, per esempio te, che prima non ci conoscevi e adesso ci conosci, e questa è una cosa molto positiva. Però per noi La vita segreta fa parte di un processo di crescita, facendolo abbiamo imparato parecchie cose per cui direi che il valore più grande che il disco ha per noi è che ci sentiamo migliorati, ci ha permesso di fare dei ragionamenti i quali, a loro volta, ci hanno condotto a fare delle scelte. Non si va all’università per imparare a fare musica leggera, ma è attraverso i dischi che si acquisisce consapevolezza. Direi dunque che La vita segreta ci ha fatto acquisire molta più consapevolezza, rispetto al primo disco. Poi come ti dicevamo, figurati, ascoltandolo ora cambieremmo tante cose ma nel complesso siamo felici!

Tra l’altro, se me lo consentite, questo disco potrebbe avere tutte le caratteristiche giuste per farvi fare un salto di qualità dal punto di vista del pubblico…

L’unica cosa che ha senso dire è che non c’è una regola. Le cose più di successo che sono capitate ultimamente hanno seguito meccanismi sempre diversi. Non so, bisogna avere senso, non so come dire, le belle canzoni (poi bisogna capire cosa vuol dire che una canzone è una bella canzone!), forse è meglio dire le buone canzoni, quelle devono esserci per forza, però non c’è un percorso standard, e neppure i Social sono poi la chiave di volta per esplodere commercialmente.

Ecco, appunto, i Social. Perché mi pare che voi li usiate molto poco, giusto?

Sì, li usiamo pochissimo e infatti siamo disperati perché non si sa come fare! Siamo in un momento in cui c’è poco da dire. Lavoriamo sulle nostre cose ma non siamo nel momento in cui dobbiamo presentarle, per cui… Ma poi è una cosa stancante, ti prende tempo. Abbiamo molto il problema della spontaneità: se non fai una cosa spontanea non funzionerà mai, non serve star lì a spremersi le meningi. Comunque alla fine faremo qualcosa, eh! Ma magari in una forma diversa, non sappiamo.

È un tema controverso ma secondo me non è sbagliato quello che dite. Dopotutto ci sono dei momenti in cui ho l’impressione che certe dinamiche promozionali siano più importanti della musica stessa. Voglio dire, basta guardare i Thegionalisti…

Sì, però uno come Tommaso Paradiso secondo noi è molto spontaneo. Si diverte a usare i Social, si sente a suo agio e quindi credo faccia bene a farlo. D’altronde poi ci sono anche altri che non li utilizzano tanto come lui e hanno successo lo stesso; come dicevamo prima, non c’è una regola.

Immagino che comunque vi vedremo girare ancora molto dal vivo, una volta che il disco sarà fuori…

Non vediamo l’ora! Se pensiamo a come ci siamo divertiti l’altra volta penso che sarà sempre meglio. Magari però faremo meno date, questa volta: è una musica che ha bisogno di un po’ più di spazio, sia come arrangiamenti che come luogo per suonare. Non vogliamo suonare in ogni situazione possibile e immaginabile, preferiamo selezionarle meglio; abbiamo paura a portare questo disco in posti troppo piccoli, abbiamo paura che non renda come dovrebbe.

Anche perché io non sono poi così convinto che il detto “suonare dappertutto basta che si suoni” valga sempre e comunque per tutti…

Il “suonare ovunque basta suonare” è una formula che abbiamo portato avanti in una fase della nostra vita, ci è servito in quel momento ma adesso non pensiamo ci serva più. Poi però bisognerà anche vedere come andrà il prossimo disco, che feedback ci sarà…