R E C E N S I O N E


Articolo di Manuel Gala

Un album assolutamente da avere nel proprio bagaglio culturale, nel proprio bagaglio fisico, pronti per una destinazione ignota al genere umano. Stavolta inizierò a ritroso, come nel film Il curioso caso di Benjamin Button, perché è ciò che farete anche voi tutti, ascoltando questo indimenticabile capolavoro di Hozier. Il seguito dell’omonimo lavoro uscito nel 2014 si rivela un turbinio di emozioni pronte a sconvolgere l’animo dell’ascoltatore.

Wasteland, baby! è la voglia dell’artista di non essere ricordato solo per una canzone in tutto l’arco della carriera, ma la consapevolezza di poter entrare dritto nel cuore come una spada, attraverso la propria voce, calda e tenue, grezza e avvolgente, da cui non puoi fare a meno di dipendere.
Già, perché al nome Hozier tutti associano Take Me To Church, brano pluripremiato e ascoltato ovunque, che ha reso famoso l’artista. Ma qui c’è di più di un semplice singolo con cui tirare a campare per il resto della vita.
Il brano di apertura Nina Cried Power mette in evidenza le qualità canore e l’intensità delle interpretazioni che ci accompagneranno in tutto il cammino di questo album. Il tempo scandito da un battito di mani, la collaborazione con la voce di Mavis Staples, un hammond che fa da sfondo ad un coro gospel, la combinazione perfetta.
Si prosegue con Almost (sweet music), la dolce musica che esce dal riff acustico e semplice di questo brano, dove ancora una volta la portata principale rimane la voce incantevole di Andrew (aka Andrew-Hozier Byrne) e dove la magia delle note si fonde in tutto e per tutto con le piacevoli sensazioni di pace interiore.

C’è profumo di dolcezza e gocce di rock raffinato che arrivano dalla cupa Irlanda, e Hozier cerca di trasmetterci la profondità del suo essere interiore, tramite pezzi sensazionali come No Plan, un capolavoro da brividi. La chitarra è di quelle sensuali, non copre mai la voce di Andrew e riesce veramente a trasportati come in una fuga d’amore, una love story fatta di passione ed emozione senza calcoli, senza un piano preciso.
Scorre via come una tazza di tè davanti alla finestra in un rigido inverno o un calice di rosso al rientro da una giornata devastante; la sequenza di brani proposti dal ragazzo di Bray nato nel 1990 è ciò che vorresti ascoltare dopo una brutta giornata per ritrovare la calma.

E allora pezzi come To Noise Making (sing) e Shrike sono un toccasana per riportare il giusto equilibrio interiore, lontano da code infinite in autostrada e da montagne di documenti da archiviare.
L’avventura si conclude con due brani particolari come Dinner & Diatribes, una vera e propria richiesta d’amore a gran voce (“that’s the kind of love i want it”), ed il finale in sordina, nel suo stile inconfondibile, con la canzone che dà il titolo all’album.
Hozier non stupisce ma si rivela una grande conferma. La classe non è acqua e non si compra; la si ha nelle vene e nella mano che scrive sublimi e ricercate melodie, e lui ci è riuscito!