I N T E R V I S T A


Articolo di Luca Franceschini

Ci è voluta una pandemia per far tornare in studio Giorgio Canali prima del previsto. L’ex C.S.I. non è mai stato particolarmente ansioso di dare un seguito ai suoi lavori e ultimamente si era preso un po’ più di tempo del solito, se pensiamo che “Undici canzoni di merda con la pioggia dentro”, uscito a ottobre 2018, era arrivato a sette anni di distanza da “Rojo”, se si accetta di non considerare “Perle ai porci”, che era sostanzialmente un disco di cover, seppur rilette in maniera totalmente personale. Ma a marzo, col lockdown come unica e triste prospettiva sul reale e i suoi Rossofuoco sparsi in ogni angolo d’Italia e anche non (il chitarrista Stewie Dal Col si trovava a Miami), scrivere e registrare nuove canzoni è stata una scelta più o meno obbligata. Ed è stata tale la prolificità, che alla fine è venuto fuori un monstre da 20 canzoni per 80 minuti di musica. Un lavoro inusuale per gli standard odierni, capace di mettere a dura prova l’ascoltatore ma allo stesso tempo sorprendentemente valido, un flusso di melodie, parole e suggestioni che sembrano scaturire spontanee e inarrestabili ma che sono anche totalmente a fuoco, frutto di un’ispirazione che da tempo non ricordavamo così alta. È il disco migliore di Giorgio Canali e i Rossofuoco? Difficile dirlo al momento ma senza dubbio è quello dove l’artista romagnolo ha messo dentro tutto se stesso, dalle riflessioni sulla politica al vissuto personale, col fuoco dentro e con l’irruenza di chi, superati i sessant’anni, avverte di essere approdato alle soglie di una nuova maturità. Ma “Venti” (qui la nostra recensione) è anche un disco perfetto per raccontare il nostro tempo, per fare il punto su un anno che non vediamo l’ora di lasciarci alle spalle ma che ha anche inesorabilmente evidenziato il pozzo fetido nel quale come civiltà occidentale stiamo ormai rischiando di sprofondare. Un disco che rimarrà anche quando sarà finito il virus, perché giudizi così taglienti e inesorabili serviranno per raccontare anche il futuro, se non cambierà qualcosa a breve. Ho raggiunto Giorgio per telefono a due anni di distanza dalla nostra ultima chiacchierata e l’ho trovato in gran forma, disponibile e desideroso di raccontare un disco di cui, lo si capisce bene, anche lui è totalmente entusiasta…

Ti faccio i complimenti perché hai fatto veramente un disco splendido, probabilmente il più importante della tua carriera. Ed è anche strano sentirvi suonare così bene, andare così tanto insieme quando in realtà poi avete suonato a distanza…

Di sicuro è suonato più insieme perché di solito quando registriamo improvvisiamo, registriamo quello che facciamo, riascoltiamo e cerchiamo di ricreare quello che abbiamo fatto, inserendolo nella struttura tipica di una canzone: parte A, parte B, ponte, ritornello, ecc. Questo ovviamente senza click, solo suonando insieme. Questo disco quindi è più coeso soprattutto perché l’abbiamo registrato a click, le cose a distanza le puoi fare solo così, altrimenti poi devi passare un sacco di tempo a sistemare le imprecisioni!

Il fatto che sia suonato meglio dipende da questo e anche dal fatto che quando improvvisi e poi subito dopo rifai, l’effetto non è mai lo stesso, qui abbiamo avuto la possibilità di studiare meglio le parti. Poi ci sono sempre quattro o cinque pezzi che sono fatti un po’ alla vecchia maniera, senza click, ma sono strutture semplici, ballate lente, quindi ci siamo potuti prendere qualche libertà. Poi, sul fatto che sia il nostro album migliore, ne sono convinto anch’io; che sia il più bello della mia carriera invece direi di no, perché il più bello sarà il prossimo (ride NDA)! Comunque sono veramente stupito che questo mi sia venuto ancora meglio di “Undici canzoni di merda”…

Nel senso che?

Nel senso che è nato un po’ così, senza rifletterci troppo: a marzo i matti ci hanno chiuso in casa e quindi ho pensato che mi sarei messo a scrivere qualcosa così, per vedere come fosse venuto. Man mano che uscivano i pezzi e andavamo avanti, ci siamo accorti che i risultati erano buoni, le canzoni si accumulavano e allora Stewie, che in quel momento stava a Miami, ha buttato lì: “Facciamo un doppio, dai!” e siccome il tempo c’era, ci siamo detti che non era una cattiva idea. Alla fine ci siamo fermati perché altrimenti saremmo arrivati a trenta canzoni, avremmo fatto un triplo album…

Quindi l’idea del disco doppio è stata sua?

Stewie è un po’ un mitomane (ride NDA), vorrebbe fare le cose sempre più in grande, sempre più eclatanti. Il doppio l’ha tirato fuori lui, sì, poi l’ho dovuto fermare, gli ho detto: “Guarda, gli Yes ci sono già stati, direi che in giro per il mondo di album tripli ce ne sono già troppi (ride NDA)!” Credo che abbiamo fatto bene a chiudere lì anche se, ad essere sincero, avremmo avuto la possibilità di andare avanti. Infatti alcune cose che ci sono avanzate le abbiamo tenute per alcune compilation successive all’uscita del disco…

Beh, ho ascoltato “Guernica”, il pezzo che hai registrato con Max Collini per il progetto “Her Dem Amade Me”, in memoria di Lorenzo Orsetti (ne ho parlato qui) Ti riferivi a quella?

Sì, quello era uno spunto, c’era solo il ritornello però, quando mi hanno chiesto di partecipare a questa cosa mi sono detto: “Cavoli, un testo così ci sta veramente da Dio!” e quindi ho chiesto a Max di scrivere una roba come sa scrivere lui, in modo tale da poter giustificare ancora di più un pezzo per quella compilation. Credo che sia uscito abbastanza bene…

Un’altra cosa che mi ha colpito è che in alcune delle nuove canzoni avete inserito tastiere e Synth…

Sai, negli anni ’80, ai tempi del Politrio eravamo in due ma ci chiamavano Politrio perché c’era una terza persona che era una specie di individuo alto un metro e mezzo e largo due metri che era sul palco con noi, un Expander e un Atari 1040 che faceva le sequenze (ride NDA)… è una cosa con cui ho sempre avuto a che fare, l’elettronica e il Midi in particolare, non è una novità per me e mettermi a buttare giù le mani a caso mi ha riportato un po’ a quegli anni lì, è stato divertente. Poi Stewie sa anche un po’ suonare il piano quindi ha inserito un paio di parti qua e là…

In effetti un brano come “Eravamo noi”, con quel Synth che entra nella seconda strofa, è veramente suggestivo perché quasi non te lo aspetti, sembra non c’entrare nulla con le atmosfere del brano invece poi vi si inserisce alla perfezione…

Sono tutte sequenze con cui avevo a che fare negli anni ’80 e mi sembrava giusto ritirarle fuori. D’altronde è la storia della mia vita, no?

Mi pare sia anche un lavoro molto più eterogeneo del solito, cosa abbastanza normale, con tutti questi pezzi. In particolare, avete recuperato certe sonorità più Classic Rock, canzoni come “Raptus”, “Circondanti” o “Viene avanti fischiando” danno all’insieme un feeling un po’ più aperto, fanno da contrasto alla cupezza dei testi…  

Sì, poi in realtà anche le robe più rock And roll che facciamo sono sempre molto tristi, scure, non ci vedo dentro molta solarità! È vero però che abbiamo giocato con le robe che ci piacciono. Stewie ha quel tipo di suono lì, dove da una parte c’è il suo viscerale amore per Neil Young che poi è anche il mio; dall’altra c’è il fatto di avere suonato nei Frigidaire Tango, che in Italia erano uno dei gruppi con il suono migliore, non ce n’era proprio per nessuno! Con queste premesse, è normale che certe sonorità vengano fuori. Luca (Martelli NDA) poi è un batterista molto rock And roll ma riesce ad essere anche dinamico e anche più soffice, se vuole. Marco (Greco NDA) infine è un bassista col plettro di quelli che fanno paura, ha imparato a suonare ascoltando i bassi di Maroccolo prima dei C.S.I, quelli potenti, col plettro, appunto. Tutte queste caratteristiche si sono incrociate, al punto che nel disco abbiamo inserito tutte le cose che ci piacevano di più.

I testi invece sono molto cupi, in alcuni punti anche molto espliciti, non dev’essere stato facile scrivere certe cose…

Guarda, io negli anni ho capito una cosa: quando scrivevo in francese non avevo pudore, dicevo qualsiasi porcata mi venisse in mente e per i francesi funzionava tantissimo. In italiano invece avevo quel pudore strano, che dipende dal fatto che si capisce benissimo quello che stai dicendo per cui devi stare attento… penso di avere eliminato quel tipo di sensazione quando ho scritto “No Pasaran” per l’album bianco (il disco del 2004, che non aveva titolo ed era caratterizzato da una copertina bianca con un punto rosso vicino al logo NDA), una frase come “Cicciobombo ragioniere con tre buchi nel culo” è un qualcosa per cui il pudore te lo sei messo nel culo, proprio (ride NDA)! Ecco, da quel momento in poi ho capito che potevo scrivere in italiano così come scrivevo in francese.

Resta il fatto che in un pezzo come “Vodka per lo spirito santo”, che cita Mark Lanegan sia nel titolo sia nelle caratteristiche musicali, ti sei messo parecchio a nudo…

Non è così eccessiva, quella canzone. Poi lì c’è una citazione di “Juarez”, quel pezzo del suo primo disco fatto con l’harmonium e la voce, dove lui dice: “Fammi un altro pompino prima che sia troppo fatto” (“Give me another blowjob before I’m on the nod” NDA), un verso che ho preso pari pari e ho riutilizzato. Quel pezzo è spettacolare! Magari sarà un po’ meno spettacolare “Vodka per lo spirito santo”, però ogni tanto mi piace toccare quelle corde lì, utilizzare tonalità più basse con la voce… non mi piace sempre solo urlare, ecco!

Ci sono comunque dei testi molto intimi, si potrebbe dire che sia il tuo disco più personale?

Non lo so, secondo me sia “Nostra signora della dinamite” sia “Undici canzoni di merda” erano già due dischi molto personali e intimi. Forse qua c’è il fatto che sono semplicemente io e non un io infilato in qualche storia…

In che senso?

Nel senso che in questo momento sono mio! Che è l’equivalente di dire che sono single e che va bene così. Sono mio ed è sconcertante perché non è facile vivere da soli però allo stesso tempo… sai, io non sono mai riuscito a rimanere da solo per lungo tempo, riesco sempre ad incasinarmi in qualche storia d’amore (ride NDA) anche molto bella ma che prima o poi finisce. “Le storie d’amore finiscono male”, diceva qualcuno, no? Eh, niente è così! Adesso c’è questa cosa qua del “solo ma felice di esserlo” oppure del “triste di essere solo ma stra felice” che credo sia finita dentro nelle nuove canzoni…

Sei stato un po’ criticato per le tesi forti espresse in alcuni dei nuovi pezzi ma lasciami dire che in generale la tua posizione è condivisibile. Anzi, aggiungo che se le stesse cose le avessi dette con Salvini al governo, ti avrebbero salutato come un eroe…

Ci sta, ma il problema non è tanto chi comanda quanto chi si lascia comandare, è questa la cosa tragica! Fino a due anni fa una qualsiasi versione ufficiale, da qualunque parte arrivasse, era normalissimo prenderla con le molle, era normale che si volesse capire meglio, la gente era più cauta: “È veramente così che è successo? – si diceva – fammi capire bene!”. Adesso invece se uno dice: “Guarda, vorrei vederci chiaro…” ti danno del fascista, del negazionista e tutti gli -isti possibili e immaginabili! Pensa che mi sono beccato anche del terrapiattista (risate NDA)! Ma la mia posizione è sempre stata la stessa: odio la stupidità umana e durante questi mesi di pandemia mi sto sorprendendo di  quanto si possa arrivare ad essere stupidi, quando ci si caga addosso dalla paura!

In un certo senso stiamo assistendo allo stesso meccanismo che ha messo in moto qualunque dittatura: sfruttare le paure dei cittadini è sempre stata un’arma privilegiata per arrivare al potere…

Ma certo, lo diceva anche Göring durante il processo di Norimberga: aveva rilasciato un’intervista ad un giornalista inglese e gli aveva detto: “Si governa con la paura, quando la gente ha paura puoi farle fare quello che vuoi”. E non stiamo certo parlando di Machiavelli! Era Göring! (In realtà l’intervista in questione fu rilasciata ad uno psicologo americano, Gustav Mark Gilbert, che poi pubblicò tutto in un volume intitolato “Nuremberg Diary”. La citazione a cui si riferisce Giorgio è un po’ più complessa di così e il termine “paura” non vi compare. Detto questo, il concetto di fondo non è poi così diverso NDA).

La cosa sconcertante è che si parla tanto del fatto che la musica debba avere un ruolo politico…

E poi però, se provi a dire qualcosa ti gridano: “Pensa a cantare!” Il gioco è quello, capito? Non è un caso che tutto quello che è dissenso, sui media moderni, dalla radio in poi, venga fatto passare come roba da matti e da stupidi. Ricordo un’intervista a Cossiga, quando gli chiesero come avessero fatto a sconfiggere la sinistra antagonista italiana, quella che simpatizzava in un certo senso con le Brigate Rosse e gli altri gruppi terroristici di quel tipo, lui disse: “È semplicissimo: li abbiamo fatti passare per delinquenti anche se non lo erano!”. È Francesco Cossiga, capito? Non era certo un personaggio libero, era un gran fascista e l’ha ammesso! Il gioco, ripeto, è sempre quello, far passare per deficienti o delinquenti quelli che la pensano in modo diverso da te…

Che tipo di scenario intravedi, arrivati a questo punto?

Io credo che questo governo non se ne andrà, perché non se ne vuole andare, e queste cose rimarranno. Anche perché finché resta un’emergenza, vera o presunta che sia, reale o gonfiata, questi non li muove nessuno, ti pare? Questo governo avrebbe avuto dodici giorni di vita, se non fosse venuta fuori questa pandemia e se non fosse stata cavalcata in questo modo. La stessa cosa però sta accadendo a livello mondiale: siamo a un millimetro da un nuovo 1929, da un nuovo crollo di tutta quanta l’economia, però è più facile dar la colpa al virus piuttosto che alle troiate che per trent’anni sono state fatte a Wall Street e negli altri centri del potere economico. Perché poi la gente va in giro coi fucili, lo abbiamo visto in America, i fucili ci mettono poco a comparire e non sono certo tutti nazisti, quelli che hanno imbracciato le armi, no? In giro c’è anche un sacco di gente normale che dice semplicemente che vorrebbe vederci chiaro…

Tornando a “Eravamo noi”, mi sembra anche un bel compendio di storia d’Italia, no?

È la storia che mi è girata attorno per sessant’anni, vista da uno che era sempre dieci anni più giovane di quelli che stanno facendo robe…

Infatti è bella questa immagine attorno a cui gira la canzone, dei “vecchi” che ad ogni strofa sono quelli che hanno dieci anni in più di te…

Se ti devo dire la verità, è un testo che viene fuori da un’idea che avevo già dall’album scorso. Così come è da un po’ che ho in testa di scrivere una canzone che si chiamerà “Novecento” e che racconterà quello che è successo nel mondo a livello mondiale, ignorando però completamente quello che è successo in Italia perché è del tutto irrilevante, fascismo compreso (ride NDA)! Questo è uno dei progetti che prima o poi riuscirò a mettere a punto, insomma. “Eravamo noi” è nata in maniera simile: avevo in testa una situazione e mi ero detto che prima o poi l’avrei trasformata in canzone. È nata così, con quel Synth anni ’80 di cui si parlava prima, che mi ha ricondotto al mio passato e mi ha fatto prendere lo spunto per cominciare a raccontare…

Probabilmente è una domanda banale ma: che effetto fa, arrivati alla tua età, guardarsi indietro e rievocare il passato?

Non è un grande problema, è più che altro un continuum, per me: da quando ho passato i vent’anni ho sempre avuto a che fare con della gente tra i venti e i trenta e quindi più invecchio e più mi sento dieci, venti, trenta, quarant’anni in più, non riesco a scindere le cose, mi sembra ieri un anno fa e mi sembrano due minuti prima di ieri vent’anni fa… forse ho un concetto del tempo un po’ elastico (ride NDA)…

Tornando al progetto “Her Dem Amade Me”, non pensi che la vicenda di Orso costituisca un punto di vista privilegiato per guardare e giudicare quello che sta accadendo? Voglio dire, è l’esempio di un essere umano che intuisce che l’orizzonte del mondo è più grande di quello che può avere in mente lui, e va a dare una mano ad un popolo a migliaia di chilometri di distanza…

Sono le nuove Brigate internazionali! Se pensi al ’37, ai tempi della guerra civile in Spagna, un sacco di gente è partita. Oggi se uno parte per gli stessi motivi, viene preso per matto e spesso, se per caso muore, quello che è il pensiero mainstream dice: “Se l’è andata a cercare!”. Ma in fondo è normale che sia così: non vedi in che tempi viviamo?

Mi pare che, indipendentemente dalle opinioni politiche, non ci sia più l’idea di vivere (e quindi anche morire) per qualcos’altro…

La frase che c’è in “Circondati”, con l’esponente di spicco che rende onore alla Resistenza “ma sia ben chiaro solo a quella di ottant’anni fa!” dice già tutto…

Nella recensione di “Venti” che ho appena scritto, ho citato quella litigata che hai fatto con Zamboni sul 25 aprile, quando stavate registrando il disco dei Post C.S.I. …

Non me la ricordo…

Ma sì, quella che avete raccontato nel documentario “Breviario partigiano”! Tu dicevi che il 25 aprile ormai era stato svuotato di significato…

Ah già, ma è perché io volevo festeggiare il 28, adesso mi ricordo! Io volevo festeggiare il 28 (il giorno in cui il corpo di Mussolini è stato appeso in Piazzale Loreto NDA) ma siccome lui è un puritano e non concepisce l’odio come sentimento possibile, allora abbiamo litigato. Io gli dicevo: “Ma cosa festeggiamo il 25 aprile, che non serve a un cazzo? Festeggiamo il 28, che è una bella ricorrenza!” e lui si era arrabbiato (risate NDA)!

Insomma, ne ho parlato solo per dire che tu certe cose le hai sempre dette…

Ma certo! In questo disco ci sono delle frasi che sembrano attualissime ma che in realtà vengono dagli anni Ottanta, quelle che mi rigirano in testa, che non sono mai uscite nelle canzoni ma che mi ricordo a memoria!  Sai, spesso vado a pescare nella mia scrittura col Politrio, nel senso che se una cosa mi è rimasta impressa per quarant’anni, allora forse vale la pena che venga utilizzata!

Non ha molto senso chiedertelo ma lo faccio lo stesso: ci sono speranze di vederti presto sul palco coi Rossofuoco?

Noi siamo molto ottimisti! Abbiamo fatto addirittura una prova generale di sei giorni mettendo in piedi tutta la roba nuova, con una piccola rinfrescata di un giorno o due dove abbiamo ripassato un po’ di materiale vecchio, quindi direi che siamo pronti per partire in tour! Lo so che può essere assurdo, probabilmente me ne pentirò ma per una volta che non sono pessimista a palla (risate NDA)… Abbiamo preparato una scaletta di venti pezzi e quindici di questi saranno tratti da “Venti”: ci sarà una bella fetta del disco nuovo, questa volta!

Mi sembra il minimo, con dei pezzi così forti…

Sì, saranno quindici su venti, poi ovviamente il resto saranno quei classici che non possiamo non fare se no ci picchiano (risate NDA)… speriamo di riuscirci, altrimenti vorrà dire che mi rimetterò a girare da solo…

In effetti quest’estate non ti abbiamo visto con la band…

Per forza! Come fa uno che ha un numero di ingressi limitato a 100-150, 200 al massimo, a permettersi un gruppo? Il cachet dei Rossofuoco è già molto basso di suo perché vogliamo essere competitivi ma con questi numeri è impossibile! Per dire, il sold out tanto conclamato che ho fatto a Milano a settembre, c’erano 118 persone, capito? Io da solo sul palco con 118 persone distanziate giù in platea. Capisci, un conto è pagare un cachet che è la metà meno della metà del cachet di un gruppo, un conto è pagare una band intera! Anche perché diciamocelo chiaramente: non esiste che i Rossofuoco vadano in giro con dei biglietti a trenta euro! È una cosa che nella mia testa non posso proprio concepire! Ma purtroppo, con un massimo di cento persone, per rientrare nei costi, alla fine il prezzo difficilmente potrebbe essere più basso…

In realtà sto cercando di essere ottimista anch’io, secondo me a breve vedremo qualche spiraglio di ripresa…

Il problema è che se finisce l’emergenza questi qua al governo saltano e di sicuro non vogliono saltare, quindi boh!