R E C E N S I O N E


Recensione di Riccardo Talamazzi

C’è un ospite scomodo in questa musica. Un poltergeist imprevedibile che corre tra gli strumenti gettando un deciso, caotico scompiglio tra una ritmica fondamentalmente di matrice noise-rock e l’essenziale accoppiata di tromba e sax che invece ci rimanda dalle parti di certo jazz d’ispirazione free. Questo ospite tutt’altro che silenzioso è la chitarra di Manlio Maresca che più che un lavoro di cucitura tra le parti si organizza in una dinamica opposta, cioè gioca a slegare tutto quello che si può slegare, accentuando a volte quasi con maligna voluttà le distanze tra le economie e le direttive tra gli strumenti. Le note biografiche di Maresca ci raccontano di strette collaborazioni con Steve Albini, l’uomo che ha tratteggiato il profilo sonico di gruppi seminali americani come Pixies e Nirvana, e Steve Piccolo, bassista dei Lounge Lizards. Guarda caso due alfieri di due modalità espressive diverse che si sono sempre cercate, cadendo spesso l’una nell’orbita dell’altra.

Da una parte un rock spesso tracimante di rumore e dall’altra un jazz lunatico, imprevedibile, oscillante tra la voglia di tradizione e l’ansia di fuggire gli schemi più consueti. Forse il desiderio dello stesso Maresca è quello di creare un’insolita sintesi tra i due generi, rock e jazz, avvicinamento certo non originale nella storia della musica contemporanea, ma che in questo Noisy Games prende una forma strana, imprevedibile. Sintesi o diastasi? Cameratismo o botte da strada? A tratti si ha l’impressione che il gruppo di Maresca Manual for errors –nome sicuramente provocatorio ma che non può non richiamare alla mente i consigli sugli errori armonici volontari di un certo Thelonious Monk – più che una relazione strumentale cerchi tensioni volontarie, allontanamenti, respingimenti e riavvicinamenti temporanei ma sempre col recondito desiderio di rendere i rapporti tra i musicisti i più elastici possibili. Una trasposizione in ambito musicale del concetto sociologico di “famiglia aperta” dove gli impulsi rock e gli stilemi jazz prendono tra loro distanze autonome, pur mantenendosi uniti da una sotterranea stima reciproca. Maresca, con la sua chitarra spesso effettata che a me ricorda in parte quella di Nels Cline e per altra parte lo strumento di Fred Frith o del nostro Enrico Merlin, si appoggia a preziosissimi comprimari come Daniele Tittarelli al sax, Francesco Lento alla tromba, Matteo Bortone al basso e Ivan Liuzzo alla batteria. I brani si snodano tutti più o meno con le stesse metodiche polarità descritte, sempre squadernati con grandissima competenza tecnica. Basso e batteria s’avvitano in tempi dispari, complicati da continue pause, sincopi e riprese come in Der quintessenz der mittelmaessigkeit (La quintessenza della mediocrità), nome preso a prestito da un lavoro dei Neo del 2005 in cui Maresca ha militato ma che più di un titolo di un brano musicale pare un prolegomeno di trattato filosofico. Forse il momento più “lineare” è Sette dove un dialogo modulato tra la tromba e il sax sembra finalmente pacificato con gli accordi della chitarra di sottofondo, almeno fino alla prima metà del brano stesso dove riaffiora ma in modo più discreto e controllato, l’onnipresente inquietudine pervasiva di tutto il disco. Genau è invece uno di quei momenti eccessivamente dissociati che non raccolgono troppo il mio personale entusiasmo. In Stand by compare qualche noise elettronico in un inizio rockeggiante non privo di certo fascino e dove possiamo ascoltare un bel solo in sovrapposizione simultanea del sax e della tromba. Un po’ d’ironia nei titoli, grande padronanza strumentale, una tacca e forse più di sana follia ed un progetto obliquo nell’estetica ma linearmente sostanzioso nella forma. Un lavoro che certamente soddisferà i ricercatori più inquieti, lasciando magari un po’ freddi tutti gli altri.

Tracklist:
01. Anni ‘90
02. Acoustic Maldpanza 
03. Der Quintessenz der Mittelmaessigkeit 
04. Sette 
05. Horror Spices 
06. Genau 
07. Stand By 
08. A volte la vita è brutta ma prima o poi arriva sempre il momento peggiore