R E C E N S I O N E


Recensione di Riccardo Talamazzi

Ci troviamo di fronte ad un progetto veramente ambizioso. Si cerca di tradurre in un unico linguaggio musicale le ansie, i limiti, i sotterfugi e le dolorose speranze di quei topi che a rigor di metafora rappresentano noi tutti, chiusi in un labirinto organizzato dal potere e dal profitto. Corroborati dal pensiero della filosofia e della sociologia contemporanea ci rendiamo forse conto di quanto la nostra società sia stata resa liquida, cioè instabile e che il nostro destino sia quello di adattarci continuamente – oggi è di moda la parola “resilienza” – al ritmo predeterminato e guidato dalle direttive del Capitale. Come in un Labirinto dei topi, appunto, ci si muove a tentativi, attratti dal cibo strategicamente posizionato in modo da ostacolarci, sviati dall’ansia del consumo, nel trovare una via d’uscita alternativa. L’arte racconta, l’arte denuncia, l’arte quindi preconizza. Ma come trasformare, in questa contingenza, il turbamento socio-psicologico in note musicali? La strada seguita da Francesca Remigi e dai suoi cinque compagni di viaggio dell’Archipélagos non è certo delle più semplici. 

Il sestetto così organizzato si appella a numerose variabili, non facilmente e completamente assimilabili. Si tratta di jazz contemporaneo, spesso spigoloso e irto di discontinuità, che si affida all’intuito e agli schemi strutturali della Remigi, valente compositrice nonché batterista del gruppo da lei creato. L’etichetta di jazz progressive che ho letto qui e là attribuita a musica come questa mi provoca un fastidioso prurito orticarioide e quindi non ne farò ulteriore menzione. Occorre però puntualizzare che, in questo suo primo disco, coadiuvata da un insieme di musicisti di tutto rispetto, la stessa Remigi esordisce con una sicurezza invidiabile a valle di un progetto che, come prima accennato, è tale da far tremare i polsi anche a ben più navigati musicisti. Si oscilla tra una serie di dinamiche decisamente free a qualche momento più meditativo ma non si può sfuggire alla tensione latente e spesso manifesta che scorre attraverso tutto questo lavoro. Resta da chiedersi se questa sia la strada giusta e se e perché si punti a queste atmosfere un po’ troppo ansiogene: la speranza è che i topi che danno l’imprimatur a questo progetto abbiano una minor capacità di risorse reattive degli esseri umani…
Nella sequenza di brani che andiamo ad approcciare l’inizio quantomeno drammatico de Il labirinto dei topi è caratterizzato da una serie di accordi di piano che cadenzano un certo andamento funereo su cui s’innestano i fiati che delineano tensione e claustrofobia. Gomorra, probabilmente ispirato dal testo di Roberto Saviano, nonostante l’apertura incalzante e il parlato un po’ troppo invadente evidenzia un accompagnamento ritmico estremamente efficace di basso e batteria che rende bene l’allerta psicologica e l’abitudine di camminare sul filo quando si vive in certi quartieri cittadini difficili. Però c’è speranza di riscatto nella coda finale, con il sognante cantato di Claire Parsons sostenuto dal pianoforte. Il brano seguente, Scherzo, è uno di quelli che preferisco, con i primi minuti in cui pare esserci Robert Wyatt che sbircia dal buco della serratura. Note liquide di piano, un fiato che dà il giusto colore, i sussurri vocali che rimandano ad un’ipnosi collettiva per poi interrompersi con un paio di squilli di tromba che ci avvertono della fine della ricreazione. Buon insieme strumentale, suono serrato e sostanzioso. Pretenzioso l’Intermezzo che ci offre solo l’occasione di progredire con l’ottimo Tiger study nel quale abbiamo la prova del livello tecnico della batteria della Remigi, impegnata in una ritmica complessa ed avvolgente, con il clarinetto di Calcagno che corre su scale ripide senza perdere contatto col gruppo e con un bel assolo di piano nell’ultima parte. Forse questo è il brano più “tradizionale” dell’intero disco e, per me, il frammento migliore. Con The shooting, con tanto di mitragliate e voce di commento, una sorta di coro greco che compare spesso lungo l’arco di questo lavoro, si racconta la strage di Las Vegas avvenuta nel 2017, sessanta morti a causa della follia di un tale che da una finestra di un grattacielo sparò a caso sulla folla. Gli ultimi due brani sono dedicati a due pianisti che la Remigi considera come maestri, Vijay Yier e Tigran Hamasayan, anche se onestamente, tra le note degli stessi pezzi non riesco a trovare sufficienti agganci con i due, in modo particolare con il secondo. Che dire? Plauso senza dubbio alcuno per il livello tecnico e culturale, musicalmente parlando, di tutti gli strumentisti che qui doverosamente ricordo: la lussemburghese Claire Parsons alla voce ed effetti vocali, il nostro Federico Calcagno al clarinetto basso, la tromba austriaca di Niran Dasika, il pianoforte del francese Simon Groppe ed il contrabbasso dell’olandese Ramon van Markenstein. Su tutti, lasciatemelo dire, la coraggiosissima Francesca Remigi che ha scelto, come lavoro d’esordio, una faticosa strada che più in salita non si poteva.

Tracklist:
01. Il labirinto dei topi
02. Gomorra
03. Scherzo 
04. Intermezzo
05. Tiger study 
06. The shooting
07. To Vijay
08. Be bear aware