L E T T U R E
Articolo di Stefania D’Egidio
Se avete voglia di riavvolgere il nastro della vostra vita, vi consiglio di leggere questo libro di Sascha Lange e Dennis Burmeister, in particolare se siete stati fans dei Depeche Mode o avete seguito con passione gli anni del post punk e della new wave. La macchina del tempo vi riporterà nella Germania dei primi anni ’80, nella Berlino divisa dal muro: da un lato la Repubblica Federale, dove la vita scorreva normalmente, come nel resto dell’Occidente, dall’altra la Repubblica Democratica, dove anche le cose più banali sembravano montagne da scalare, per via del pesante apparato burocratico e dei rigidi controlli della Stasi. Sembra quasi impossibile nell’epoca in cui tutto si può ottenere con un semplice click, ma allora reperire un disco dei propri idoli era difficile quasi quanto costruire una bomba atomica in casa, vuoi perché gli artisti internazionali erano guardati con diffidenza dal regime, vuoi per i costi proibitivi. Per acquistare un vinile bisognava recarsi in Ungheria e sborsare una somma equivalente a quella spesa per il viaggio e per tre giorni di vitto e alloggio in albergo, così ognuno si arrangiava come poteva, dal reclutare i parenti che vivevano dall’altra parte del muro, alle copie pirata che circolavano nelle scuole.
Tutto sommato i ragazzi della DDR non erano così diversi da noi pischelli italiani: anche da noi gli album arrivavano in ritardo rispetto alle uscite discografiche degli States e dell’Inghilterra, tanto che ci si attaccava alle stazioni radio per registrare su cassetta i nostri brani preferiti, sperando che lo speaker non ci parlasse sopra, e le copertine erano rigorosamente self made. Se poi avevi la fortuna di avere un mangianastri a doppia pista eri il ras del quartiere perché da te passavano tutte le cassette degli amici da duplicare. Come gli adolescenti crucchi avevamo le stanze tappezzate da poster e ritagli di giornale, solo che da noi le riviste circolavano liberamente (alzi la mano chi non ha mai acquistato un numero di Cioè per avere il poster dei Duran Duran o degli Wham!), loro erano costretti a fotografare le poche copie in giro. I concerti se li sognavano la notte, ma anche noi, a meno che non vivevi a Roma o a Milano, e che bello era girare per mercatini alla ricerca, non dico delle stesse scarpe o delle stesse giacche dei nostri beniamini, ma di qualcosa anche lontanamente simile. E’ vero, in DDR regnava il comunismo, da noi c’era la DC, ma, come si suol dire “tutto il mondo è paese”.
Il libro ripercorre in poco più di 180 pagine il sorgere dei primi fans club, il proliferare dei primi locali underground, la nascita dei sintetizzatori e della musica elettronica, il pullulare di band locali, la diffusione delle prime stazioni radio dedicate alla musica pop e tutto questo sotto l’occhio vigile del Grande Fratello. Tra i gruppi più apprezzati nel blocco orientale i Depeche Mode e i Cure, sia per i messaggi veicolati dalla loro musica, che per l’estetica: Dressed in Black era la parola d’ordine tra i giovani della DDR. Niente Dr.Martens? Nessun problema, si usavano le scarpe da lavoro. Le giacche di pelle costavano troppo? Ci si ingegnava adattando capi in similpelle e se oggi si fa la coda fuori dai negozi per l’ultimo modello di Play Station, allora la si faceva per una copia di Violator, magari partendo in motorino da Lipsia sotto una pioggia battente. C’era chi costruiva ciondoli in ottone, sottraendolo dalla fabbrica dove lavorava, e chi rubava i megafoni dalle stazioni ferroviarie solo perché erano sulla copertina di Music For The Masses. Un periodo di ristrettezze per chi viveva al di là del muro, ma allo stesso tempo di un bel fermento artistico e di grandi sogni. Lange e Burmeister raccontano quel periodo attraverso le parole dei protagonisti di allora, arricchite da testimonianze fotografiche, documenti dell’epoca e un cd con 15 brani di gruppi della DDR, tra cui Die Art, Die Vision, Ornament & Verbrechen e Kriminelle Tanzkapelle.
Voto: 10/10
Perché comprarlo? Se, come me, avete vissuto quegli anni vi farà ripensare con nostalgia a quel modo di vivere la musica; se, invece, siete dei millennials vi farà scoprire che c’è stata un’era in cui la musica era un piccolo tesoro da conquistare e da condividere, non on line, ma passandolo di mano in mano.
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