R E C E N S I O N E
Recensione di Riccardo Talamazzi
Nato in Marocco da genitori europei, Jean-Marie Machado è un pianista che dimostra manifestamente le sue origini familiari. Di matrice classica ben avvertibile, frutto di un’educazione musicale tutta francese, Machado è compositore molto raffinato, di grande esperienza, con alle spalle più di una quindicina di uscite discografiche, in parte come titolare e parte come collaboratore. Ha suonato accanto a gente come Paul Motian, Paolo Fresu, David Liebman, ha scritto composizioni per orchestra e si è cimentato in progetti multidisciplinari che includono anche teatro e danza. In questa sua ultima prova, registrata in Provenza a Pernes-les-Fontaines nello studio La Buissonne, egli mira a sviluppare un discorso musicale già parzialmente avviato da artisti come il tunisino Anouar Brahem e il libanese Rabih Abou-Khalil. Sulla strada tracciata da questi musicisti viene, di fatto, costruita una composizione globale con un’impronta più occidentalizzata che vola su melodie e ritmiche ibride ricche di suggestioni arabo-meditarranee le quali si rapportano a forme jazzistiche ed acustiche più contemporanee. Il trio che accompagna Machado al piano, in questo Majakka, è composto dai sassofoni e dal flauto di Jean-Charles Richard, dal violoncello di Vincent Segal e dalle percussioni di Keyvan Chemirani.
La mescolanza di aromi mediterranei e continentali riesce particolarmente bene grazie all’estremo equilibrio delle composizioni e alla leggerezza delle melodie ma va segnalato anche l’evidente colore delle percussioni, sempre ad hoc, mai fuori luogo o pericolosamente prevaricanti. Il pianoforte, talora “preparato”, dialoga sia con i fiati sia col violoncello mantenendo un’attenzione particolare allo sviluppo delle melodie che spesso si allargano in ampi spazi descrittivi. C’è anche un ”convitato di pietra” in questo lavoro ed è il suono dell’oud che viene spesso evocato, fatto intendere tra le righe, a volte imitato dalle note del violoncello o dello stesso pianoforte, come se i musicisti pensassero attraverso la sua espressività. Tutto ciò sottolinea lo stato di grazia di questo ensemble, capace di immagini ricche di magnetismo evocativo, anche attraverso il richiamo di strumenti che non sono materialmente rintracciabili nell’incisione ma la cui presenza è spiritualmente partecipata. Il tocco pianistico di Machado è quasi angelico nella sua continua ricerca di simmetrie tra modernità e tradizione. La sua parola d’ordine è “moderazione”, cioè buona veggenza armonica e saggezza nel saper distribuire ed affidare le proprie partiture all’efficacia degli interventi dei suoi musicisti.
Si comincia la danza con Bolinha. Un preludio di violoncello e sax accoppiati apre la strada all’entrata in scena del piano che, insieme soprattutto al sassofono, sviluppa una garbata melodia a metà tra la scogliera mediterranea e l’eredità romantica mitteleuropea. Il violoncello viene a tratti pizzicato sulle corde gravi, simulando un effetto di contrabbasso nel bel mezzo del brano, durante la sua fase più improvvisata. Les pierres noires inizia con una serie di accordi alla tastiera quasi new-age ma è solo un’impressione iniziale perché poi tutto si orienta verso una struttura jazz-melodica che mi ha ricordato i primi Oregon. Molto buono e strutturato l’accompagnamento del piano sotto le escursioni del sax, mentre quando canta il violoncello la mano sinistra del pianista esegue una serie di note basse ribattute, creando una simulazione ritmica che permette allo strumento ad arco un avviluppo modale attorno allo stesso pianoforte. Si prosegue con Um vento leve, una brezza tenue che disegna una musica rarefatta introdotta da tre accordi di piano su cui s’appoggia il sax con una melodia suadente, accattivandosi l’attenzione dell’ascoltatore per la persuasiva venatura poetica della sua sonorità. Più notturna e velatamente cupa la seguente La lune dans la lumière in cui le note di piano si fanno più rarefatte ma è stupendo il violoncello che accende una tristezza indefinibile, ricca di ricordi e impressioni lontane nel tempo. Più velocizzata appare Gallop Impulse dove gaiezza e malinconia si alternano più che altrove. Il connubio melodico arabo-occidentale si rende evidente con sovrapposizioni di arie diverse in cui il piano regola spazi e territori dentro i quali le percussioni si mettono in mostra accelerando e/o rallentando i tempi di esecuzione. Anche Outra terra s’allinea con il clima spurio del brano precedente e qui i confini tra occidente e oriente si fanno ancora più incerti. Un po’ più slegata Emocao de alegria dove il sax, nella parte quasi finale, immagina di essere un oud inanellando una serie di frasi che potrebbero benissimo essere state pensate per uno strumento a corda. Tutto sommato questo è il brano che mi sembra più debole e frammentato dell’intero disco. Altra storia viene raccontata in La mer des pluies dove tocchiamo con mano la bellezza del piano solo di Machado che si muove tra un’idea forse ispirata da Gaspard de la nuit di Ravel e una sfumatura di Tigran Hamasyan. Grande brano, eseguito magnificamente, una cascata di note sensate che hanno la loro giusta collocazione e motivazione. Les yeux de Tangati ci trascina più verso est, verso l’India, con un flauto sognante che si fa seguire dalle percussioni, dal pizzicato del violoncello e infine dal ritorno del sax che improvvisa riportando l’atmosfera verso casa, supportato da un piano alla ricerca di emozioni tonali di scuola europea. Si chiude con Slow Bird, quasi cameristico, brano che s’allontana dal mondo nordafricano e mediterraneo alla ricerca di una maggior contemporaneità. Moderato spazio per l’improvvisazione, melodia sempre regina incontestabile, complessità compositiva e bellezza poetica come ultime note a piè pagina di questo brano conclusivo. Alla fine dell’ascolto dell’intero lavoro sono rimasto colpito dal suo incedere lirico, dalla solidità e competenza armonica, dall’interplay di tutti questi quattro musicisti al punto tale che se mi domandassero quali difetti potrei aver riscontrato in un disco come questo risponderei francamente “nessuno”. Non possiamo parlare di alcuna contaminazione ammiccante perché in questo caso l’onestà e il rigore compositivo emergono con profilo dignitoso e la fusione tra est ed ovest, qui ricercata, avviene all’ombra di una colta conciliazione tra generi.
Tracklist:
01 Bolinha
02 Les pierres noires
03 Um vento leve
04 La lune dans la lumière
05 Gallop impulse
06 Outra terra
07 Emocao de alegria
08 La mer des pluies
09 Les yeux de Tangati
10 Slow bird
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