R E C E N S I O N E
Recensione di Riccardo Talamazzi
Mi trovo spesso, in questi ultimi anni, a considerare la presenza di giovani musicisti sempre più preparati e creativi, soprattutto di casa nostra. Molti di loro in prima linea sul fronte dell’avanguardia, altri più vicini ad una certa forma armonica più classica e tradizionale. Tra questi ultimi anche Sade Mangiaracina, pianista trentacinquenne originaria di Castelvetrano. Vantando una solida preparazione tecnica sia classica che jazzistica la pianista siciliana si presenta con il suo secondo disco per l’etichetta Tǔk Music, casa di produzione musicale creata dal trombettista Paolo Fresu e attiva ormai da una decina d’anni. Mangiaracina, vuoi per il suo curriculum ricco di numerosi concerti in giro per il mondo e vuoi per gli svariati intrecci collaborativi, si gioca la carta di una musica fluida nei suoi fraseggi e aperta a disparate influenze. Si notano, nel suo sviluppo sonoro, abbondanti reminiscenze classiche, soprattutto in certi passaggi pianistici di impronta quasi romantica, mescolati con influenze jazzistiche a testimoniarne l’eclettismo compositivo.
La storia che si racconta in Madiba riguarda l’avventura umana di Nelson Mandela, tra lotta politica e rivendicazione dei diritti civili per la popolazione di colore, la galera ed infine la cessazione dell’apartheid con la propria consacrazione a presidente della repubblica sudafricana nel 1994. Madiba è, infatti, il nomignolo attribuito a Mandela, quasi una specie di titolo onorifico a sottolineare i meriti della sua missione politica, costatagli quasi trent’anni di prigionia e che non sono comunque bastati a fiaccare la sua sete di giustizia. Madiba è anche il titolo del brano di apertura che si preannuncia con qualche nota di archetto sul contrabbasso di Marco Bardoscia, presto seguito da accordi arpeggiati di pianoforte in tonalità minore, a testimonianza di un tema molto melodico sul quale, ad un certo punto, si ascoltano le parole registrate e scandite da Mandela stesso. Winnie, il brano che segue, dedicato alla discussa ex-moglie di Madiba, si mantiene anch’esso all’interno di un clima decisamente melodico, supportato dal delicato gioco percussivo del batterista Gianluca Brugnano e dalla trama complessa ma sempre sicura del contrabbasso. La terza traccia, Letter from a prison pt.1, inizia con un intro pianistico appoggiato sui ritardi e sulle pause, quasi alla Jarrett. Molto suadente la voce del contrabbasso, suonato con l’archetto, ad imitazione del canto umano. Per me è il brano migliore dell’intera raccolta, struggente di solitudine e di rimpianti. Destroying Pass Book si riferisce ad un documento personale imposto ai neri sudafricani, una specie di libretto di lavoro in cui venivano registrati anche gli spostamenti e che serviva a controllare e limitare la libertà personale dell’individuo. L’atmosfera sembra prendere, perlomeno all’inizio, un andamento più teso ma il piano disegna un tema quasi barocco evidenziando una volta in più come la Mangiaracina dimostri tutto il suo imprinting classico. Ancora il contrabbasso di Bardoscia in evidenza a farsi apprezzare nella sua piena sonorità, questa volta senza arco. Si continua con We have a dream, intenzionalmente più tumultuoso, dove finalmente si ascolta l’oud di Ziad Trabelsi che s’incrocia con una frase bachiana al piano creando un affascinante, curioso connubio tra generi. Molto bello e coraggioso, comunque, una di quelle soluzioni chimiche che se non ben titolate possono alfine risultare incerte – rischio che qui viene elegantemente evitato. Inaspettatamente in 27 years troviamo dei suoni di tastiera, a metà tra un organo e un Fender Rhodes, dall’andamento un po’ funky. Ancora l’oud s’inserisce in un contesto difficile sulla carta ma che poi finisce per amalgamarvisi con assoluta convinzione. Occorre dire che certi connubi, in questo disco, riescono proprio nel migliore dei modi! Si prosegue con Letter from a prison pt.2, più swingante rispetto alla pt.1. Si tratta di un brano molto misurato con un calibratissimo assolo di piano che colpisce per la sua elegante efficacia. La musica resta sempre in un convinto ambiente tonale, senza mai forzare la mano verso atmosfere più “libere”. Le scale sono sempre pulite alla ricerca interpretativa di un jazz dall’andamento lieve e delicato. Si chiude con Forgiveness, ed è il tempo del perdono. La musica però non ha mutamenti radicali e continua sulla sua strada melodica, certo con qualche sussulto ritmico ogni tanto, per esempio negli ostinati passaggi di accordi pianistici discendenti nel finale. Anche qui l’oud interviene ad aggiungere un assolo quasi in odore di flamenco. Globalmente, la cifra stilistica di questo lavoro si sviluppa con una certa morbidezza, senza creare mai eccessive tensioni. Tutto si svolge in modo elegantemente formale ma non banale, al cospetto di una bellezza che appare sempre discreta e mai sopra le righe. Un idillio, insomma, anche se qualche trasgressione armonica in più, tutto sommato, non avrebbe guastato.
Tracklist:
01_ Madiba
02_ Winnie
03_ Letter from a prison, pt. 1
04_ Destroying Pass Book
05_ We Have a Dream
06_ 27 Years
07_ Letter from a prison, pt. 2
08_ Forgiveness
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