R E C E N S I O N E


Recensione di Stefania D’Egidio

Noi italiani siamo un popolo che si divide su tutto e non è una novità, la storia ce lo insegna, quasi fosse insito nel nostro DNA sindacare e litigare: i social non hanno fatto altro che amplificare il fenomeno e portare al “tutti contro tutti”, dando voce a schiere di frustrati, invidiosi e odiatori seriali che, di volta in volta, spostano le loro attenzioni su questo o quell’altro. Una settimana si vomita sui poteri forti o su Big Pharma, la successiva tocca al personale sanitario o agli artisti di Sanremo. Quest’anno è stato il turno di Achille Lauro e, appunto, dei Måneskin: confesso che ho sorriso anch’io nel vedere il loro post su Instagram in cui dichiaravano di “andare a fare la storia”, ma dal sorridere al riempirli di insulti ce ne corre, apriti cielo quando poi hanno trionfato con Zitti e Buoni, gente che urlava addirittura allo scandalo, io stessa mi sono dovuta ricredere, tifavo per l’accoppiata Dimartino-Colapesce, per il fatto che il loro brano mi sembrava più in linea con la tradizione, ma quando l’indomani ho appreso della loro vittoria, mi sono detta che qualcosa di storico era successo per davvero, un brano rock al posto delle solite litanie neomelodiche. L’uscita di Teatro d’Ira – Vol.I il 19 marzo ha scatenato poi una mezza sommossa popolare: “che cazzo c’entrano con il rock?/sono delle fighette parioline/stanno al rock come la fica sta a Malgioglio”, questo il tono dei commenti letti su internet, anche da parte di addetti del settore che dovrebbero mantenere, a mio parere, un certo contegno, insomma, chiunque si è sentito in diritto di inveire contro questi ragazzi, assurgendo al ruolo di critico musicale o esperto di rock.

Mi sono chiesta allora cosa desse dei Måneskin tanto fastidio agli italiani, che sono giovani e belli? non sarà un caso, ma tanti di quelli che sputano loro addosso ormai hanno una certa, come si suol dire; che sono famosi? questo mi fa pensare che avesse ragione uno dei miei scrittori preferiti quando diceva che “l’invidia è la religione dei mediocri”. Qualcuno dice siano stati costruiti a tavolino, ma per arrivare sui grandi palcoscenici, fatta qualche eccezione, bisogna per forza di cose avere un management e uno staff tecnico dalle spalle grandi, altri lamentano siano stati lanciati da un talent show, ma guardiamoci attorno, il mondo adesso gira così, non solo il mercato discografico, viviamo un’epoca in cui la gente si divide tra l’ostentazione e il voyeurismo e il concetto di gavetta non è più quello dei Led Zeppelin o dei Black Sabbath, dei piccoli locali fumosi di periferia, ci si gioca il successo a colpi di condivisioni e di like. Non hanno inventato nulla di nuovo? e cosa c’è rimasto ormai da inventare? in sessant’anni di rock’n’roll le scale sono state girate e rigirate, abbiamo esplorato le galassie dei sintetizzatori, degli effetti speciali, delle pedaliere lunghe come bus, delle luci stratosferiche dei concerti dei Pink Floyd, i ritmi veloci del punk, i suoni crudi del grunge, cos’altro dobbiamo tirar fuori? Rassegnamoci: il meglio è già passato, non possiamo far altro che reinterpretarlo, dargli qualche sfumatura diversa, rielaborarlo, ma, se come me, avete passato l’infanzia davanti a una piccola radio Grundig, in ogni canzone che ascoltate troverete un rimando a note già sentite, se non addirittura dei piccoli plagi. Perdonatemi la digressione, torno subito ai Måneskin: i ragazzi suonano e anche piuttosto bene, hanno l’ardore che solo la gioventù può avere, una presenza scenica che in pochi possono vantare, Damiano ha un timbro di voce perfetto e, soprattutto, è intonato, dote rara di questi tempi, visto che quasi tutti ricorrono a quell’insopportabile strumento del demonio che è l’autotune (mi parte l’embolo appena lo sento). Se spesso, scorrendo le playlist, si ha la sensazione di ascoltare gente che dovrebbe fare altro nella vita, i quattro danno invece l’impressione di essere nati per stare sul palco e, al di là di ogni possibile considerazione, i numeri sono tutti a loro favore: dal 2017 ad oggi hanno collezionato 16 dischi di platino e 6 dischi d’oro, arrivati secondi a X-Factor e vinto un Sanremo, fatto sold out per ben 70 date in Italia e all’estero, quindi le chiacchiere stanno a zero!

Scritto interamente da loro (non male per dei ventenni), l’album è stato registrato in presa diretta al Mulino Recording Studio di Acquapendente per ricreare l’atmosfera dell’analogico anni ’70, il Vol.I sta ad indicare un lavoro in divenire, che fa presagire un seguito, magari anche live visto che le prime quattro date dal vivo a Roma e Milano, appena annunciate, sono andate sold out. Otto brani, di cui due in inglese, I Wanna Be Your Slave, tormentone dancereccio con un riff ossessivo alla fratelli White, e For Your Love, il brano che più esalta le doti canore del frontman, in cui la donna diventa metafora di musica. Ad eccezione di Coraline e Vent’anni, due ballad in piena regola, gli altri pezzi sono una bella scarica elettrica sia sul versante partiture che testi: dal punto di vista strumentale, infatti, sono una bomba con riff da manuale, assoli e arpeggi nudi e crudi, una sezione ritmica che va avanti come una rompighiaccio a propulsione nucleare, una voce da cavallo di pura razza, adatta al metallo, ma anche al rap e al soul. I temi cari al rock ci sono tutti: lo scontro generazionale (è sempre un noi contro voi), la voglia di emergere e di distinguersi da tutti gli altri, le ansie e l’inquietudine della giovane età, la lotta contro gli stereotipi e l’omologazione, la rabbia catartica che porta ad una rinascita, attraverso l’arte, e un linguaggio colorito che non disdegna i francesismi, in Zitti e Buoni, ma anche in Lividi sui Gomiti e In Nome del Padre. In barba a tutte le critiche Damiano, Victoria, Thomas ed Ethan suonano già come se fossero artisti navigati e hanno tutta la vita davanti, se non si lasceranno travolgere dal peso schiacciante del successo, potranno solo migliorare.

Voto: 10/10

Tracklist:
01. Zitti e Buoni
02. Coraline
03. Lividi sui Gomiti
04. I Wanna Be Your Slave
05. In Nome del Padre
06. For Your Love
07. La paura del Buio
08. Vent’anni