I N T E R V I S T A
Articolo di Luca Franceschini
Mantova non è esattamente il posto che ti aspetteresti come centro di incubazione di una scena musicale fervente, eppure a quanto pare le cose stanno in modo diverso. Neanche due anni dopo aver parlato coi submeet tocca ad un altro giovane act esordire sulla lunga distanza con un disco. Gli a/lpaca sono in quattro (Christian Bindelli alla voce e alla chitarra, Andrea Verrastro al basso, Andrea Fantuzzi alle tastiere e Andrea Sordi alla batteria) e sembrano ben poco interessati a Trap, Hip Pop e affini. Il loro suono prende le mosse dalla psichedelia e dal Kraut Rock, guarda a numi tutelari come Can e Soft Machine ma appare più immediatamente debitore alle declinazioni contemporanee che ne fanno The Oh Sees e King Gizzard & The Lizard Wizard, questi ultimi forse l’influenza più evidente ad un ascolto superficiale. Ma in Make It Better si respira anche l’aria dei Club europei, con il Beat spesso in primo piano, oltre ad una certa ruvidezza delle chitarre ad evocare, neanche troppo casualmente, la scena Garage Punk. Un esordio decisamente valido, a certificare come nel nostro paese, al di là delle mode sonore di questi ultimi anni, esistano anche realtà che non hanno nulla da invidiare a quanto succede in Europa. Abbiamo raggiunto al telefono Christian Bindelli per farci raccontare qualcosa di più
Come prima cosa direi che potreste presentarvi e raccontare i vostri primi passi, prima di arrivare a “Make It Better”: se non sbaglio avete operato anche qualche cambio di formazione, mi pare che foste in tre agli inizi, o sbaglio?
Questo progetto nasce alla fine del 2017 e siamo sempre stati in quattro; probabilmente quello che ti ha confuso è che circa un anno fa è uscito un membro e ne è entrato un altro. Con la prima formazione abbiamo fatto un Ep, In the Electric Fields, che è uscito nel 2018, registrato da Marco Degli Esposti (che si è occupato anche del mixaggio di Make It Better NDA). Abbiamo suonato un po’ ma poi per divergenze personali e artistiche il batterista è uscito dal gruppo ed è rientrato un nostro amico con cui suonavamo da ragazzini. Da lì in avanti abbiamo fatto uscire un mini Ep, Nerve/Acting Clever e ci siamo poi dedicati alla scrittura del disco.
Com’è andata la lavorazione?
Lo abbiamo registrato tra il 2019 e il luglio del 2020: in realtà l’idea iniziale era quella di fare un altro Ep ma poi abbiamo deciso che eravamo stanchi di fare robe brevi, avevamo voglia di fare un album. Abbiamo quindi speso i successivi mesi a comporre canzoni, poi siamo dovuti rimanere in casa per colpa del lockdown ma appena ci siamo potuti ritrovare abbiamo messo a posto le ultime cose e l’abbiamo completato a luglio. I mesi successivi li abbiamo passati tra il missaggio e tutto quel fardello di incombenze che comporta registrare un disco.
Mi incuriosisce il fatto che “Make It Better” sia uscito per tre diverse etichette, di cui due straniere (cosa in realtà non sorprendente, dato il genere che fate): mi spieghi cos’è accaduto?
A giugno avevamo pronti quattro pezzi registrati a novembre e che nel frattempo avevamo mixato. Abbiamo deciso di inviarli a varie etichette per vedere se ce ne fosse qualcuna interessata: We Were Never Being Boring la conoscevamo già, altre le abbiamo scoperte cercando in giro tra quelle che potevano essere consone al nostro genere. Abbiamo inviato qualche mail e tre di loro (oltre a WWNBB, la tedesca Sulatron Records e l’inglese Sour Grapes NDA) ci hanno risposto positivamente, dicendo che erano interessate. Hanno aspettato che finissimo di registrare l’album per cui sono stati anche pazienti, non hanno voluto subito il prodotto finito, si sono accontentati di una demo che abbiamo inviato nel frattempo, giusto per far capire come fossero i pezzi. Dopodiché ci siamo messi d’accordo sulle mansioni: Sulatron ha fatto i cd e i vinili, ne ha dati una parte a WWNBB che li venderà, poi lei si occuperà anche della parte digitale, quindi Spotify, Bandcamp e i video su YouTube; Sour Grapes invece ha fatto le cassette…
Un ottimo lavoro di squadra, direi…
Siamo riusciti ad incastrare tutto, siamo stati fortunati! Anche perché al momento non ci sono molte etichette disposte a far stampare i vinili, viste anche le circostanze. Temevamo di dover spendere un sacco di soldi per farlo noi e quindi direi che siamo soddisfatti. Oltretutto ci hanno fatto anche cd e cassette, che non erano nei nostri piani originari, siamo davvero molto soddisfatti.
Anche voi preferite ormai il vinile al cd? Noto che quest’ultimo formato è sempre più screditato, non solo perché diversi artisti non li stampano più ma anche perché il booklet e la confezione in generale sono di volta in volta più scarni. Ma sarà poi così reale questa rinascita del vinile?
Io personalmente non sono un consumatore di vinili perché non ho mai avuto il giradischi, purtroppo. A livello di packaging, di prodotto da avere, però, lo preferisco di gran lunga al cd. Per carità, esistono dei cd fatti bene, il nostro ad esempio è bello da guardare, sembra un po’ un vinile in miniatura quindi siamo contenti. Però ormai il cd lo abbiamo abbandonato, soprattutto da quando si può ascoltare tutto in streaming. Se dovessi fare un ascolto più fisico, sceglierei il vinile, è un prodotto che può essere interessante da avere, crea una connessione più forte con l’artista. Poi non sono un esperto, però mi piace tenerne a casa alcuni anche se non ho il giradischi. Il cd invece trovo che abbia un impatto minore a livello visivo, artistico.
Quello che colpisce di “Make It Better” è che, prima ancora della bontà delle singole canzoni, è che è un disco molto d’impatto. Il filtro delle chitarre, il modo con cui si incastrano con le tastiere, gli effetti sulle voci, è tutto davvero molto bello. Come costruite il vostro suono?
A livello di scrittura funziona che uno del gruppo ha un’idea, che può essere un riff o una sezione di un brano, e la porta in sala prove, dove la sviluppiamo tutti assieme. Spesso succede anche che ci troviamo a provare una parte, a ripeterla, ad improvvisarci sopra, a sperimentare con gli effetti… non è che abbiamo chissà quali pedaliere però sappiamo quali suoni ci piacciono e andiamo in quella direzione lì, mettendo qualche pedalino sulla tastiera, qualche pedalino su chitarra e basso. Sappiamo dove andare a parare, per via degli ascolti che facciamo, e che cosa necessita la musica che stiamo portando avanti. Poi ci registriamo col telefono, ascoltiamo quello che abbiamo fatto e così, idea dopo idea, si costruisce il pezzo. Mi fa piacere quello che hai detto, delle chitarre e delle tastiere che si incontrano: per noi è una cosa importante, la parte melodica non manca mai nelle nostre canzoni ma non perché ce la dobbiamo infilare per forza, ci piace e cerchiamo di metterla sempre. La voce viene usata più sulla parte ritmica, piuttosto che su quella melodica, per cui la melodia la affidiamo a tastiera e chitarra.
È comunque un disco molto ruvido…
Ma sai, non ci piacciono molto quelle derive del genere che ascoltiamo, per cui si va verso brani lunghissimi, pieni di Ambient, di atmosfere. Ci piace avere un impatto, ci piace la componente Punk, quindi vogliamo avere melodie catchy e riff potenti.
E il lavoro di produzione com’è stato? In che misura ha dato una nuova identità ai brani?
Non molto, per la verità. Tendenzialmente i pezzi sono venuti fuori abbastanza fedeli a come li suonavamo prima di entrare in studio, le idee erano già abbastanza chiare. Poi ovviamente nel momento in cui vai in studio, con determinati strumenti a disposizione e della gente che lavora con te e che ti dà una mano e propone delle idee, è inevitabile che qualcosa cambi: infatti alcune soluzioni di arrangiamento le abbiamo trovate lì. I giorni in studio in generale sono stati molto belli perché abbiamo potuto provare cose che non avevamo e confrontarci con Davide Chiari, che ci ha registrato. Quindi direi che siamo riusciti a dare ai pezzi quel quid in più che, suonando in sala prove solo noi quattro, inevitabilmente va perduto.
Avete lavorato molto sul ritmo, in linea con quello che si dice da un po’ di tempo a questa parte, soprattutto nell’ambito della musica Pop: che il ritornello sia ormai sparito a favore del Beat…
Ascoltando molta musica underground vediamo che ci sono tante forme, alcune hanno il ritornello altre no, comunque molte delle cose che ci piacciono vanno nella direzione in cui si muove l’album, quindi quel Post Punk diritto, basso e batteria che hanno questa ritmicità ossessiva, ecc. Ed è vero che nel nostro ambito queste caratteristiche sono più presenti. A noi però piace sempre cercare la canzone col ritornello perché se fatta bene è sempre interessante. Vero però che tante band che stanno uscendo adesso, tra Post Punk e psichedelia, vanno nella direzione che hai detto tu.
A proposito di questo: come gestite il rapporto con le influenze? Mi spiego: ormai è stato detto tutto, anche questa nuova ondata di band Post Punk, dagli Idles ai Fontaines DC, suona già sentita, se vogliamo, ma credo che l’importante sia avere belle canzoni e divertirsi, non credi? Tutto questo per dire che non penso sia un problema che si capisca così bene quali sono i vostri modelli…
Sappiamo quali sono le nostre influenze, non neghiamo di esserci innamorati di questo genere ascoltando i King Gizzard e i The Oh Sees, è inevitabile che questa cosa venga fuori. Abbiamo cercato di dare la nostra versione ma sappiamo che i rimandi si sentono, anche perché quando ascolti una band sconosciuta come la nostra, cerchi sempre di ricondurla a qualcosa di conosciuto, è inevitabile. Però è il nostro primo album e nonostante sappiamo che ci sono dei debiti, siamo comunque soddisfatti e siamo anche consapevoli che nelle cose che stiamo facendo ora e che speriamo di registrare a breve, ci sono indubbiamente delle differenze, certi confronti non saranno più così immediati. Quando suoni sempre le stesse cose per un bel po’, è inevitabile che si abbia voglia di andare avanti, di spingersi oltre. Sai, di mio cercherei sempre di fare qualcosa di nuovo, per lo meno di provarci, anche perché ormai, come hai detto tu, probabilmente è stato davvero detto tutto, nel rock. Cercheremo comunque sempre di scrivere dei pezzi solidi, dove ci sia tutto quello che ci piace, dalle melodie a tutti gli altri elementi di intrattenimento.
Avete scritto un pezzo intitolato “I Am Kevin Ayers”, direi che anche qui avete messo bene in chiaro da dove venite. Ma il testo di che cosa parla esattamente?
In realtà ha poco a che fare col testo, è più che altro una cosa nonsense. Ha più a che vedere con riferimenti ad altri gruppi, che in passato hanno intitolato delle canzoni allo stesso modo: ad esempio i Fall hanno chiamato un loro pezzo I Am Damo Suzuki (tra le altre cose è stato cantante dei Can NDA), mentre i Fat White Family, più recentemente, hanno scritto I Am Mark E. Smith (il cantante dei Fall NDA). Mi era piaciuta questa cosa, per cui dato che il pezzo aveva delle linee vocali piuttosto basse, unito al fatto che in quel periodo ascoltavo molto Kevin Ayers, i Sof Machine e quelle robe lì, mi è sembrato carino intitolarla in quel modo. Va detto anche che i nostri testi non sono così importanti: in generale abbiamo cercato di fare qualche cosa di coerente però di solito li scriviamo un po’ all’ultimo minuto perché ci interessa molto di più la musica e la voce; a livello melodico e ritmico, spesso adattiamo le parole a quello che la voce già fa, facendo aderire le parole alle linee vocali.
La prima traccia s’intitola “Beat Club”, due parole che sintetizzano molto bene lo spirito del disco e la visione che c’è dietro. Tra l’altro non vi sembra strano che solo da noi la cultura da club praticamente non esista e si parli ancora, genericamente, di “musica da discoteca”, trattandola genericamente con disprezzo?
Noi facciamo riferimento ai locali più o meno underground in cui vediamo i concerti e i dj set che ci piacciono: penso soprattutto al Covo a Bologna, al Cohen a Verona… sono posti dove andiamo a sentire musica dal vivo ma dove si fanno anche serate a tema in cui ballare, dal Post Punk al Garage… sono posti in cui per quattro o cinque ore non pensi a nient’altro se non a farti assorbire dalla musica, esperienze che ci sembrano lontanissime ormai (ride NDA). La stessa cosa succede quando suoni: sei lì, incontri gli amici… sono situazioni che apprezziamo tantissimo e che sono molto legate alla questione del ritmo, alla musica che ci piace suonare, di conseguenza abbiamo voluto parlarne nell’album. Ragionando su quello che a noi piace, è venuto fuori in maniera naturale senza cercare chissà quale messaggio: siamo giovani e vogliamo fare questo, sostanzialmente.
Direi che siete in linea con quel verso della title track che dice: “Sometimes I live the past but I know beat is my place”. Dopotutto fate musica che ha radici ben consolidate nel passato ma avete un tiro e un’attitudine del tutto contemporanei…
Ci accorgiamo del fatto che ci piace una musica datata, quando pensiamo alla parola “Beat” ci vengono in mente gli anni Sessanta, sarebbe stato un sogno suonare all’Ufo Club in quegli anni lì, abbiamo anche degli amici che fanno serate a tema dove ricreare quel tipo di atmosfera e ci siamo stati diverse volte. Immergersi in quel passato psichedelico è veramente bello però poi bisogna suonare sui palchi di adesso. Avremmo voluto farlo con quest’album ma immagino che ci sarà ugualmente tempo in futuro, prima o poi…
È evidente che l’Italia musicale guardi da tutt’altra parte ormai da molto tempo, sonorità come le vostre non sono proprio appannaggio delle giovani generazioni. Come vivete il fatto che i vostri coetanei non sono propriamente allineati alla vostra proposta?
Sono ormai diversi anni che abitiamo questo ambiente underground dove sembra che ci sia poco pubblico ma in realtà ce n’è parecchio, penso ad esempio all’Handmande Festival qui vicino a Mantova, dove suonano gruppi più che sconosciuti, eppure di gente se ne vede, anche giovani. Poi ci sono anche band italiane come Bee Bee Sea e Yonic South, che fanno il nostro genere e stanno facendo anche una bella carriera. Ovviamente noi non puntiamo al successo che può avere Calcutta o gente del genere, ci accontentiamo di molto meno, anche perché è difficile che accada il contrario. Prendi ad esempio i Toy, di Londra: vanno in giro in tutto il mondo, hanno una carriera che io sogno di poter fare però poi quando li vedi (noi siamo andati a Londra a vederli, li abbiamo incontrati) sono persone normalissime, che incontri nei bar e che hanno tutti un altro lavoro, oltre alla musica. Siamo molto tranquilli, su questo: vorremmo avere la possibilità di suonare perché, viste le etichette che ci stanno dando una mano, i vari Booking che potrebbero arrivare, siamo convinti che se non ci fosse stato il Covid, qualche data in Italia e all’estero l’avremmo fatta senz’altro.
In effetti il genere che fate vi aiuta: potenzialmente potreste suonare anche voi in tutto il mondo…
Sì, infatti stiamo avendo buone risposte da altri paesi, speriamo che già quest’estate o giù di lì si possa fare qualcosa…
Senti, com’è la scena lì da voi? Te lo chiedo perché normalmente non è che Mantova venga associata a chissà quale fermento musicale, eppure poco prima della pandemia avevo intervistato i submeet che immagino conosciate…
Sì certo, sono nostri amici.
Ecco, parlando con loro era venuto fuori che nella vostra città i gruppi validi non mancano…
Di gruppi buoni ce ne sono, anche i Bee Bee Sea, seppure più a nord di noi, vengono da Mantova, dopodiché purtroppo c’è poco a livello di locali, direi quasi zero. C’è l’Arci Tom, che è un bel posto, come location, però non è mai riuscito a tenere un livello costante di programmazione e anche le band mantovane non sono mai state valorizzate più di tanto. Più che altro la nostra fortuna è che siamo vicini ad altri posti: siamo a mezz’ora da Verona, a un’ora da Bologna, da Parma, Modena, Brescia… quindi andiamo sempre in questi posti qua.
Per concludere, una domanda stupida: su quattro di voi, tre si chiamano Andrea. Non è un po’ complesso a livello logistico?
Non ci pensiamo mai perché ci chiamiamo sempre in un altro modo, abbiamo tutti dei soprannomi, ci conosciamo da tanto tempo e non ce ne siamo mai resi conto, se non adesso, quando durante le interviste ce lo fanno notare, quindi ci siamo detti che forse dovremmo fare qualcosa a riguardo (ride NDA)! A Mantova del resto ci sono molti Andrea, ma come anche nel resto del nord Italia, immagino…
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