R E C E N S I O N E


Recensione di Riccardo Talamazzi

Non c’era bisogno di aspettare la loro ottava uscita discografica per capire che Tingvall Trio non sono certo un gruppo di alfieri dell’ortodossia jazz. Gli scaffali della loro cultura musicale sono riempiti da partiture classiche, pop, rock, folk, impilate una di fianco all’altra, anche se il jazz ne costituisce in qualche modo il motivo conduttore. Un trio come questo composto da un pianista svedese – Martin Tingvall – un contrabbassista cubano come Omar Rodriguez Calvo e il batterista tedesco Jurgen Spiegel, già si presenta come un chiasma di confluenze ritmiche e melodiche eterogenee per natura. Il Tingvall Trio piace un po’ a tutti e questo risulta evidente. Storcono il naso solo i puristi a oltranza ma tutto cambia e la musica come qualsiasi altra forma d’arte s’adegua allo spirito dei tempi. Il jazz, forse  più d’ogni altro, ha raccolto intorno a sé odori e sapori provenienti da ogni dove e in questi ultimi anni, diciamo grosso modo da una quindicina a questa parte, esso si è decisamente reso più appetibile ai gusti del grande pubblico. Ovviamente non c’è nulla di male nel cercare di raggiungere quanta più audience possibile, a patto di mantenere costantemente una buona qualità nella proposta musicale, effetto che il Tingvall Trio raggiunge agevolmente. In questo Dance, come il titolo suggerisce, si è cercato di raccogliere prevalentemente un insieme di suggestionilegate alla danza, facendo riferimento a Paesi lontani e differenti, come il Giappone, il Medio Oriente, la Spagna, Cuba.

Tra queste correlazioni con l’arte di Tersicore, il trio trova spazio anche per frammenti più in linea con il suo sentimento fondatore, cioè quel jazz molto melodico punteggiato da un certo romanticismo che ha fatto conoscere questo gruppo in tutto il mondo. L’album è piacevole, accattivante, leggero quanto basta perché possa far breccia presso un pubblico più incline ad un ascolto non troppo impegnativo. Tutto però non fila così liscio. In alcuni momenti si evidenziano luoghi comuni di cui, sinceramente, si poteva fare a meno. Paesaggi da cartolina, qualche calligrafia barocca e alle volte un metro melodico scontato. Comunque punteggio buono, nonostante ciò, anche per l’elegante perizia strumentale, l’interplay e l’equilibrio espressivo che da sempre ha caratterizzato questo gruppo. Veniamo dunque alla sequenza dei brani. Incomincia tutto Tokyo dance, con un approccio melodico giocato inizialmente sulla parte alta della tastiera per poi svilupparsi in un fraseggio piuttosto orecchiabile, ben sorretto dalla ritmica contrabbasso-batteria. Qualche giochetto un po’ ruffiano del piano ma comunque un andamento a tratti tumultuoso, decisamente coinvolgente. Arriviamo quindi a Dance, brano di respiro più largo rispetto al precedente, geograficamente meno localizzabile e forse per questo più intrigante nel suo incedere classico, con quei gran colpi di piatti che ne accentuano l’intrinseca luminosità. Inizia con il tom della batteria che sembra introdurre una danza tribale fino al punto in cui un obliquo accordo di pianoforte fa mutare la direzione verso l’approccio romantico che riconosciamo a Martin Tingvall come sua propria cifra stilistica. Spanish swing riecheggia la musica flamenca con un gran lavoro percussivo di Spiegel come se Albeniz si fosse proiettato quasi un secolo e mezzo avanti e chi lo sa, senza voler essere catacronici, se il grande compositore spagnolo oggi avrebbe mai scelto una modalità espressiva come questa…
La traccia che segue, Flotten, è quella più riconoscibile tra tutte le altre come più direttamente legata al modulo creativo del Tingvall Trio. Atmosfera tipicamente nordica, almeno per quello che riguarda la semantica espressiva di queste formazioni a trio norvegesi, svedesi, finlandesi e insomma con quell’impronta melodico-malinconica riconoscibile al primo ascolto. Riddaren è molto interessante perché sembra di ascoltare un canto popolare dell’est europeo mescolato ad una serie di scale blues che in parte ne modificano l’aspetto primitivo. Creazione originale e caratterizzata da una bella invenzione compositiva. Cuba sms che ve lo dico a fare, porta baracca e burattini sulle coste caraibiche, nella patria della musica salsa. Anche qui occorre rilevare, oltre alla bravura tecnica di Tingvall, il divertissment percussivo del batterista che, nel caso ce ne fossimo dimenticati, ci ricorda dove siamo e a che tipo di balli ci possiamo abbandonare. Arabic slow dance è il brano più debole, con una melodia scontatamente arabeggiante e le percussioni che rimandano alle immarcescibili carovane che transitano tra le dune desertiche. Puls riprende il discorso classicista ed è un altro dei brani migliori dell’album, bello e pieno di spessore, con la melodia del piano che intona una cantilena dal sapore antico di tradizione popolare. Lo sviluppo è molto buono, in bilico tra Michel Camilo e il pianismo romantico europeo dell’800 e si procede dentro e fuori dal jazz con estrema eleganza. Det Lilla è melodia affascinante e cantabile, punteggiata da opportune sincopi che realizzano un andamento ritmico al pianoforte d’intensa bellezza. Possiamo anche ascoltare un breve assolo di contrabbasso, caldo e avvolgente contrappuntato dai delicati arpeggi di Tingvall che in questo frangente dimostra tutto il suo tocco convinto. Con Ya man siamo strappati dalle dolcezze del brano precedente per finire nel mezzo di un reggae, solo divertente e poco più. Bolero, oltre che una danza spagnola, pare un curioso ibrido tra caratteri medio-orientali, cubani e slavi. Ben suonato e con una bella invenzione strutturale alla base. Sommarvisan (= canzone estiva) è fatta di chiaroscuri ricchi di contrasto, come quelle pellicole in bianco e nero girate da Bergman, dove la dolcezza della musica molto cantabile rimanda al ricordo di qualche immagine del posto magico delle fragole. Molto sentito e raccolto l’ultimo brano, In memory, dove Rodriguez impugna l’archetto per il suo contrabbasso. Un’elegia dove il piano di Tingvall cerca di essere il più personale possibile, pur rimanendo nell’ombra dei suoi amati classici, da Chopin a Bach. Del resto, per sua stessa ammissione, Martin Tingvall aveva inizialmente desiderato diventare un pianista classico e bisogna ammettere che è stato particolarmente bravo ad amalgamare una musica moderna come il jazz e il pop-rock con la storica tradizione pianistica di scuola europea. Probabilmente Tingvall deve molto a Bobo Stenson, altro pianista svedese di ottima fama, e qualcosa anche a Esbjorn Svensson, il compatriota più famoso prematuramente scomparso nel 2008. Dance avrebbe potuto essere un disco quasi perfetto, senza quelle sbavature di cui abbiamo accennato. Del resto, si sa, la perfezione è aliena a questo mondo.

Tracklist:
01. Tokyo Dance
02. Dance
03. Spanish Swing
04. Flotten
05. Riddaren
06. Cuban SMS
07. Arabic Slow Dance
08. Puls
09. Det Lilla
10. Ya Man
11. Bolero
12. Sommarvisan
13. In Memory