I N T E R V I S T A
Articolo di Luca Franceschini
Ci sarebbero tante riflessioni da fare, su un titolo come Canzoni che durano solo un momento, che marca i dieci anni di carriera di Alberto Bianco e lo fa in un periodo storico di assoluta transizione per la musica registrata, coi singoli che stanno prendendo sempre più il posto degli album, il cd ormai sparito, il vinile che avanza ma solo per ritagliarsi una nicchia privilegiata in quella riserva indiana in cui si sono volontariamente rinchiusi gli amanti del supporto fisico. Il cantautore torinese raggiunge il traguardo del quinto disco in studio e lo fa con il suo lavoro più maturo e consapevole, canzoni che sono il frutto di una perizia a livello di scrittura che ha ormai raggiunto livelli altissimi, una produzione (ad opera di Tiziano Lamberti) che valorizza ed equilibra ogni elemento in gioco. Come se non bastasse, c’è un trittico di featuring prestigiosi di nomi il cui valore e la cui importanza non deve minimamente essere specificata: Colapesce (in Mattanza), Dente (Morsa) e i Selton (Saremo giovani). Il frutto naturale della carriera di un artista che, oltre a portare avanti il suo personale discorso, è sempre stato inserito in una comunità creativa di colleghi, con cui non ha mai avuto timore di mettere in comune risorse: che si trattasse di produrre Manuale di distruzione a Levante, far parte della band di Niccolò Fabi per due interi tour, o chiedere l’aiuto di amici come GNUT, Luca Carocci e Andrea Bonomo per la scrittura di alcuni pezzi di questo disco. E proprio Niccolò Fabi sarà protagonista di un’ulteriore novità relativa a questo album: nella versione fisica (ma uscirà anche in digitale) di Canzoni che durano solo un momento ci sarà Fantastico, che vede la partecipazione esclusiva del cantautore romano. Un brano meraviglioso, che concretizza anche dal punto di vista compositivo un sodalizio che in questi anni è stato importante e decisivo per entrambi. Abbiamo raggiunto Alberto (simpatico e disponibilissimo) al telefono per una chiacchierata che ha toccato parecchi aspetti del suo lavoro, senza tralasciare qualche interessante considerazione sullo stato attuale del settore musicale, in un momento in cui la ripartenza dell’attività live sembra essere ancora appesa a un filo.
Com’è stato il processo creativo per questo disco?
Il tutto nasce da un inizio di produzione in grande solitudine, ovviamente per scelta. Il precedente infatti l’avevo realizzato con la mia backing band, la solita con cui ho condiviso tantissimi concerti, e con un produttore che ci guidava durante le registrazioni. La scrittura era sempre la mia ma c’era più un’impostazione di squadra, diciamo. Poi è successo che durante il tour, durato un anno e mezzo, mi sono confrontato coi ragazzi della band, che fanno parte del progetto a tutti gli effetti (anche perché io, da eterno insicuro, amo sempre avere qualcuno che mi aiuti nella fase di produzione e realizzazione) e abbiamo deciso insieme che era ora di misurare il punto a cui ero arrivato come musicista. Per cui mi sono messo a scrivere e ho tirato fuori tantissime strumentali, tanto che ad un certo punto l’idea è stata addirittura di tirare fuori un Ep di questo tipo.
Strana questa cosa…
Era un periodo in cui non avevo molti stimoli dal punto di vista dei testi e sai, quando si fa musica uno ha la necessità di esprimersi ma non sempre il testo arricchisce. Ero entrato un po’ nell’ordine mentale di fare un disco strumentale ma poi si è sbloccato qualcosa, è venuta fuori la malattia del cantautore che deve sempre riempire di parole la musica (ride NDA) e sono uscite canzoni più tradizionali. Resta il fatto che la scrittura qui è stata diversa rispetto alle altre volte, dove voce, chitarra, parole e musica venivano fuori più o meno nello stesso momento. A questo giro avevo in mente che cosa fare ma ci ho messo un bel po’ a trovare le parole che stessero bene con quelle musiche lì. Anche fatto di avere una parte della mia attività che prevede di suonare con altri, per esempio con Niccolò, mi permette di dilatare un po’ i tempi; in più c’è stata anche una pandemia in mezzo…
Tra le altre cose…
Eh appunto (ride NDA)! Però tutto questo mi ha permesso di andare davvero a fondo del processo creativo, chiudere e riaprire i pezzi più volte, lavorare a differenti versioni dello stesso brano… in questo modo sono potuto arrivare dal produttore del disco, Tiziano Lamberti, con le idee abbastanza chiare; lui le ha rimesse un po’ in ordine per cui è stato anche un modo diverso di lavorare col produttore….
In che senso?
Tiziano è un po’ uno alla vecchia maniera, non è che ti trova il Beat e il suono; ha piuttosto una micro visione dell’oggetto, della musica in generale. Io credo che il produttore debba essere uno che conosce la musica, anche a livello teorico, sarebbe bello suonasse uno strumento (lui ad esempio è un pianista meraviglioso). Mi ha aiutato più nelle scelte stilistiche piuttosto che dirmi dove togliere un colpo di cassa o dettagli così. Questa cosa mi ha fatto sentire molto libero e soprattutto mi ha dato lo stimolo per dimostrare a me stesso cosa sarei stato in grado di fare. E questo mi ha fatto passare tantissimo tempo da solo nel mio laboratorio a fare, fare, e ancora fare, a caricare programmi craccati… (ride NDA) e anche affrontare lo studio di alcuni strumenti che avevo sempre un po’ suonicchiato ma a cui a questo giro mi sono dedicato davvero. Per dire: se c’era un giro di basso che mi piaceva, anziché farlo suonare a qualcun altro, mi mettevo lì con calma, me lo imparavo e lo suonavo.
È un disco nato in solitaria però il suono è molto pieno e, se si vanno a vedere i credits, si vede che ci hanno suonato sopra diverse persone…
Fisicamente sì, anche perché alle batterie, per esempio, non sono proprio arrivato (ride NDA)! Ho chiamato Filippo Cornaglia, con cui suono da tanti anni, che ha umanizzato, mettendo anche molto del suo, le batterie che avevo suonato nella pre produzione. Poi Tiziano ha suonato il piano, Matteo Giai il basso… ad un certo punto ho sentito che certe cose andavano umanizzate, per così dire, perché la scrittura è stata abbastanza computeristica. Poi avendo avuto la fortuna di aver collaborato con tanti cantautori, e il cantautore è uno che tende ad avere una certa visione del pezzo, quelli che hanno collaborato al disco hanno poi detto la loro riguardo a quel singolo brano…
Si sente, soprattutto con quello dei Selton…
Devo anche dire che la scelta è stata un po’ decisa dal punto a cui ero arrivato col pezzo. Nel caso di Saremo giovani, ad esempio, il brano aveva già quest’aria molto caraibica, c’era già questo incrocio di ritmiche, con le strofe un po’ cupe, un po’ “torinesi” e poi queste aperture molto colorate sui ritornelli. Un mio amico, Rhobbo (Roberto Bovolenta NDA), l’ex chitarrista de Gli Amici di Roland, che è un chitarrista molto bravo, della generazione appena prima della nostra, dopo che gli avevo fatto sentire delle canzoni mi ha detto: “Questo pezzo è molto figo e questa roba ritmica qua devi approfondirla” e allora ho pensato: “Chi è che tra i miei amici si occupa di questo tipo di sonorità?”. E allora mi è venuto naturale chiedere ai Selton.
Un titolo come “Canzoni che durano solo un momento” è molto interessante e si presta a diverse riflessioni, sul ruolo che le canzoni hanno nella società odierna, sul modo in cui oggi fruiamo della musica… allo stesso tempo mi pare anche un po’ provocatorio il fatto che te ne esca con un titolo del genere proprio nel momento in cui festeggi i dieci anni di carriera: voglio dire, credo che tu ormai abbia dimostrato ampiamente di essere qui per restare.
Hai detto bene: c’è anche una provocazione all’interno di questo titolo. Vuol dire tante cose, più lo pronuncio e più mi vengono in mente dei significati. Il primo è sicuramente provocatorio: è strano il modo in cui la maggior parte delle persone fruisce della musica, come viene distribuita, come viene ascoltata. In questo momento il mezzo numero uno è Spotify, che fa uscire non so quanti pezzi ogni giorno, per cui gli ascoltatori sono bombardati da una roba dietro l’altra, è difficile soffermarsi su un singolo disco o su una singola traccia. C’è poi un altro significato, che rispecchia la realtà delle cose: ci si mette tanto a scrivere delle canzoni ma alla fine esse riflettono un determinato periodo, sono una fotografia di quello che era il musicista in quel lasso di tempo lì, durano un momento perché descrivono un periodo di tempo che ha un inizio e una fine. Poi c’è ovviamente anche la speranza che queste canzoni rimangano, magari legate ad un ricordo, ad un momento particolare della vita di chi le ascolta. In quel caso avranno vinto loro e diventeranno eterne.
Più che altro, la cosa che sorprende di questi ultimi anni è che anche dischi attorno a cui si crea un’aspettativa incredibile, che so “Tyron” di Slowthai o, per restare in Italia, Massimo Pericolo, dopo una settimana sono già vecchi, non se li fila più nessuno perché bisogna pensare alle uscite successive.
Succede questa roba qua, purtroppo, che i dischi durano da un venerdì all’altro. Oppure, per dirla meglio, i dischi durano quanto una canzone. E poi è cambiato tutto il meccanismo: sono dieci anni che suono e ogni volta che abbiamo pubblicato un disco, abbiamo dovuto adottare un metodo completamente diverso da quello precedente. Voglio dire, quando abbiamo fatto Nostalgina ti potevi beccare il video su YouTube oppure ti compravi il disco, quindi avevi anche una percezione di quello che eri riuscito a costruire. Il percorso di promozione durava mesi, c’era tutto il tempo per capire dove potevi arrivare e come. Per fortuna questo è un disco che si fa ascoltare facilmente, quindi stiamo riuscendo ad arrivare anche dove non eravamo arrivati nella prima settimana. È però molto complicato dover coordinare tutte le energie di una squadra in quella settimana lì, è un lavoro un po’ alienante, ecco.
Parlando delle canzoni, ho letto che il pezzo di apertura “Come se” è ispirato alla serie TV “Last Man on Earth” ma a leggere il testo sembra descrivere perfettamente quello che stiamo vivendo con la pandemia. Ora, non so quando esattamente tu l’abbia scritta…
Più di un anno fa, eravamo ancora ignari di quello che sarebbe successo.
Quindi è uno di quei pezzi che hanno assunto un significato profetico, per così dire…
Sì, diciamo che ha trovato una chiave di lettura un po’ ovvia, visto quello che è successo ma in realtà è una canzone che parla di quanto all’interno di una società malata ci si possa sentire abbandonati e completamente soli. È un brano senza tempo, racconta l’esperienza di una società che si lascia dei pezzi per strada senza preoccuparsi troppo, senza guardarsi indietro. Anche l’idea del video è interessante, non so se l’hai visto…
No, purtroppo non ancora.
È nato assieme al pezzo, ci sono io che passeggio per Torino e fotografo dei luoghi abbandonati ma quando tiro fuori la Polaroid si vede lo stesso luogo popolato di gente. Avrei potuto farlo anche cinque-sei anni fa, negli stessi luoghi, perché sono posti dove le istituzioni, chi decide, ha fatto in modo di abbandonarli, ha fatto sì che non ripartissero mai. Io volevo dire quella cosa lì ma adesso forse ha meno potere perché siamo tutti con questo sentimento di nostalgia, è facile leggerlo in un unico modo. Infatti prima di pubblicarlo, sia il video che il pezzo, ho avuto un po’ di timore perché non volevo passare come quello che ha scritto il pezzo sulla pandemia, quella è una retorica che mi sta abbastanza sui coglioni (ride NDA). Non ho ancora scritto niente in proposito e non ne ho la volontà, credo che si debba ancora metabolizzare quello che è successo, capirlo bene…
Quel che mi sembra di aver intuito è che, più che canzoni scritte apposta per la pandemia, ce ne sono state tante che hanno acquisito quel tipo di significato a posteriori…
È vero. Infatti non credo che questa pandemia abbia cambiato il modo di scrivere degli autori, bensì quello del pubblico di ascoltare.
“Proiettile” e “Gomma” sono i miei brani preferiti di questo disco, quelli dove emerge il lato più Pop della tua scrittura…
Proiettile è nata assieme a GNUT e a Luca Carocci, due miei amici cantautori molto bravi. Un giorno ho fatto sentire loro uno dei molti strumentali che avevo in canna, per cui avevo anche già scritto un testo. È un pezzo particolare, dal punto di vista armonico, viaggia tra minori e maggiori, ma guidato da loro è venuta fuori una melodia veramente bella, tanto che quando l’abbiamo trovata ci siamo tutti davvero gasati. È nata come canzone voce chitarra con un arpeggio in 3/4 e poi ad un certo punto nei miei esperimenti l’ho portata in 4/4 ma il cantato è rimasto terzinato, quindi anche in studio mi hanno messo più volte il dubbio che fosse troppo strana per poter arrivare, che rendesse un po’ troppo macchinoso l’ascolto, anche se ovviamente sapevamo tutti che non aveva le caratteristiche per diventare una hit! In realtà poi, producendola è venuta bene ed è una delle cose a cui tengo di più nel disco.
E invece “Gomma”?
Quella è una delle prime che ho scritto per il disco, assieme a Gazze ladre. Credo di avere una trentina di ritornelli per questa canzone (risate NDA), tanto che ad un certo punto ho mollato, mi sono fatto dare una mano da un amico (Andrea Bonomo NDA), un autore molto bravo, che mi ha aiutato molto. Anche quella ha diverse pause ritmiche, è un po’ strana. È quella che mi ha divertito di più dal punto di vista della produzione perché ha una ritmica che permette di giocarci dentro tantissimo e quindi mi sono dovuto un po’ trattenere dal non spezzarla in continuazione. Alla fine mi sono limitato a mettere alcuni accorgimenti, tipo quando dice “L’aria mi schiaffeggiava” e c’è quella specie di rumore simile a uno schiaffo… è una sorta di teatro canzone, diciamo!
È anche un brano imprevedibile: mentre lo ascolti ti chiedi sempre dove voglia andare a parare, che direzione voglia prendere…
È stata una mia decisione dall’inizio, di non pormi nessun limite tra un pezzo e l’altro ma neanche all’interno dello stesso pezzo: se mi fosse venuto in mente di svarionare, di andare da un’altra parte, chissenefrega, è musica, siamo musicisti non siamo cardiologi, se fai la cazzata non importa (ride NDA)! Faccio questo lavoro da un po’ e credo di avere sviluppato un gusto di cui mi posso abbastanza fidare, è divertente quando raggiungi quel tipo di consapevolezza. Che poi si incontri il gusto di tante persone o di poche, fa parte del rischio che ci si prende chi fa quel tipo di lavoro creativo, però il fatto di poter dire, anche se una parte è incasinata: “Ragazzi, a me piace di brutto!” è una gran bella sensazione!
All’inizio accennavi alla tua insicurezza ma poi, vedendo con quanti artisti importanti hai lavorato per questo disco mi verrebbe da dire che, al contrario, sei un tipo piuttosto deciso: non hai mai paura di metterti in gioco, di chiedere aiuto. Non è scontato, probabilmente un altro sarebbe stato più restio.
Non ho mai provato grossa gelosia per le mie cose perché nel momento in cui chiedo una mano, la sto chiedendo a qualcuno che so che andrà solo ad arricchire il mio lavoro. È come quando stai facendo una cosa bella e la vuoi condividere con qualcuno, come quando hai la macchina figa e chiedi ad un amico di farsi un giro con te. È la bellezza di fare questo mestiere, di avere incontrato negli anni così tante persone, così tanti professionisti incredibili, che se accettano di insegnarti qualcosa, è un’opportunità che va sfruttata! Dopotutto il mondo del Rap, della Trap, ci ha insegnato molto, no?
Loro in effetti hanno molto questa cultura del featuring. E la cosa che sorprende delle collaborazioni che ci sono qui, è che chi ha partecipato ha messo tutta la sua personalità al servizio della tua scrittura.
Tutte le canzoni che sono diventate collaborazioni avevano l’esigenza di essere prese in mano dalle persone che ho poi effettivamente chiamato. Ora, io adesso faccio il figo, però l’ho scoperto dopo che mi hanno mandato i loro contributi, non è che provavo a cantarmele con la voce loro (risate NDA)! Più che altro, sicuro della bravura e della personalità di questi personaggi ho mandato loro le parti. E quello che è successo è che erano perfette! Non è scontato, perché a volte può capitare che ti mandino qualcosa che non ti soddisfa pienamente…
Li hai lasciati liberi di scrivere quello che volevano, testi e musiche, o hai dato loro delle indicazioni?
Dipende dai casi. Ad esempio a Niccolò ho mandato il pezzo, lui mi ha detto che aveva anche provato a fare delle cose diverse però poi si era reso conto che andava bene così e si è limitato a cantarlo come l’avevo pensato. Solo che poi sai com’è Niccolò, quando apre bocca dà una tale intensità di interpretazione alle parole che di fatto già quello ti svolta il brano! Colapesce ha scritto la sua strofa anche perché mi interessava la sua visione sull’argomento del testo e quindi gli ho dato carta bianca. Con Dente invece il pezzo era già chiuso, ha cambiato solo alcune parole della seconda strofa perché non riusciva a sentirle sue e poi abbiamo scritto insieme quello Special in cui ci rispondiamo a vicenda. Coi Selton la seconda strofa l’abbiamo fatta insieme a Milano, nel loro studio e poi loro hanno aggiunto tutta la parte ritmica, come ti ho detto prima. Anche quella è stata una giornata meravigliosa perché vederli lavorare è incredibile. Più che altro, questa esperienza mi è servita anche per capire che abbiamo tutti un metodo di lavoro abbastanza simile…
Cioè?
Sai, quando vedi su Instagram i post dei tuoi colleghi che sono in studio con mixer pazzeschi, attrezzature fantastiche… ti rendi conto che l’esigenza di comunicare al proprio pubblico che si sta registrando e quindi scatta quel fenomeno da Social per cui si amplifica un po’ la narrazione. Poi invece ti accorgi che nella quotidianità tutti lavorano alla scrivania con un computer, con i programmi che non funzionano, le cuffie da una parte (risate NDA)… ma è giusto così: alla fine quello che conta è la creatività, più che i mezzi che hai a disposizione.
Come mai il pezzo con Niccolò Fabi uscirà dopo rispetto al resto della tracklist (l’annuncio della pubblicazione del brano è stato dato proprio il giorno di questa intervista NDA)?
Per esigenze discografiche e anche per darle un risalto un po’ diverso, è una cosa importantissima perché dopo tanti anni a suonare insieme è la prima volta che Niccolò partecipa ad una mia canzone e quindi volevo che non si perdesse nel calderone di quella famosa settimana di cui abbiamo detto prima ma che avesse il suo giusto spazio. I feat erano usciti prima, uno per volta, tranne quello con Colapesce perché dopo tutto quello che è successo con Sanremo, era complicato dargli una luce sua.
Beh, peraltro ti è andata bene, con lui…
(Ride NDA) Mah sì, da un lato bene, dall’altro forse avremmo potuto promuoverla in maniera più condivisa mentre invece così capisco benissimo la difficoltà di stare dietro a questo boom inaspettato che hanno avuto i ragazzi.
Una fetta consistente della tua attività la passi a collaborare con Niccolò Fabi, visto che fai parte stabilmente della sua band sin dal tour di “Una somma di piccole cose”. Che cosa ti ha dato e ti sta dando questa esperienza?
Da musicista, entrare nelle canzoni di qualcun altro è un’esperienza privilegiata perché conosci proprio un altro mondo. Non mi era mai capitato prima di approfondire canzoni non mie in quella maniera lì, è stata una scuola davvero molto figa che per fortuna continuerà, visto che quest’estate faremo delle date insieme. Quello che mi ha impressionato è la lucidità che ha lui di tirare su uno spettacolo, il modo in cui coordina tutte le persone che ha attorno, dai musicisti, ai tecnici, al management, tutto quanto. Ha una visione completa del mondo musica e questo mi ha impressionato e mi ha fatto capire tante cose, perché in un progetto del genere, tutto rappresenta la visione dell’artista, è tutto coerente, unito. Questo mi ha svoltato nel modo di vedere me stesso come “capetto” di un progetto. E poi mi ha aiutato tantissimo nella scrittura dei brani…
Cioè?
Mi ricordo che nel 2013 avevo fatto un tour con Niccolò in apertura e lì il mio ruolo era interessante perché per la band di supporto non c’è mai un budget previsto dalla produzione. Per cui quando finivo di suonare andavo al banchetto a vendere le magliette perché tanto non avevo un cazzo da fare (ride NDA). E da lì mi sono beccato una ventina di concerti con lui e la band. Ascoltavo ed ogni sera mi fissavo un pezzo diverso, testo e musica, li sentivo bene. E sono tornato a casa da quell’esperienza con la certezza che in una canzone non ci può essere una frase, una nota che non abbia un peso.
Molto interessante…
Se ascolti la musica su cd o su Spotify ci puoi arrivare lo stesso però così, ogni sera in una città diversa, con gente diversa, ad ascoltare le stesse canzoni, è come se fosse un Master di una scuola di scrittura! E infatti mi ricordo che, tornato a casa, in un mese e mezzo ho scritto tutto Guardare per aria che è un album che ha davvero un valore particolare nella mia storia. Da un lato cerco sempre di trovare la mia originalità, però quell’esperienza lì di esprimere parole, emozioni con grande intensità, penso di averla imparata da lui e anche in tanti me lo hanno detto.
Per concludere, mi piacerebbe conoscere la tua opinione su come il settore musicale si è mosso e si sta muovendo quest’anno relativamente al problema delle chiusure: sei soddisfatto o ritieni che tutto sommato si potesse fare di più?
Dal nostro punto di vista sono successe delle cose molto belle, era da anni che ci aspettavamo che ci fosse questa unione tra musicisti, addetti ai lavori, tecnici e maestranze. Avevamo bisogno di movimenti che facessero da portavoce quindi direi che è stato molto bello. Poi è ovvio che il nostro settore è stato poco considerato dal governo, quello che mi ha spaventato fin dall’inizio è come ci fosse poca volontà di affrontare la questione, come quando a scuola avevi un compito difficile e ti trovavi a studiare dieci minuti prima solo perché avevi paura. Mi pare che sia andata un po’ così, poi la faccenda era senza dubbio complicata perché ai concerti succede tutto quello che non si può più fare, dagli assembramenti a tutto il resto, non c’è bisogno di specificare. Quindi capisco benissimo che non fosse facile, il gomitolo era difficile da sciogliere però se ci si fosse mossi prima, con un po’ più di coraggio, con un po’ più di intenzione, non si sarebbe arrivati come adesso, che siamo ai primi di maggio senza alcun tipo di risposte, con i tour appesi a un filo, calendari ipotetici e gente incazzata, gente che ha dovuto cambiare lavoro… mi sembra che la situazione sia abbastanza grave, insomma.
Prima parlavi di date estive…
La difficoltà di quest’estate sarà riuscire a far tutto, se le cose andranno come devono, perché si sono ammucchiati progetti che erano stati pensati nell’arco di due anni e che adesso invece andranno a finire tutti a luglio! L’estate scorsa, per assurdo, ho suonato tanto anche se non era in programma. Sono ripartito alla vecchia maniera, voce e chitarra ed è stato molto bello ripartire, prendere aria.
In un certo senso, potrebbe essere che quando si ripartirà, se si riuscirà ad uscire dalla bolla dei cachet lievitati e dei grossi nomi che monopolizzano il mercato, forse potrebbero esserci più opportunità per tutti…
Dal punto di vista artistico questa situazione è uno stimolo per riuscire a fare degli spettacoli belli con meno mezzi, tornare a fare la roba con il mucchietto di amplificatori e non con centomila schermi: è un qualcosa che penso possa avere il suo fascino!
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