R E C E N S I O N E


Recensione di Riccardo Talamazzi

Alcuni tra i titoli che compaiono in questo disco di Emiliano D’Auria (In- equilibrio) suggeriscono qualcosa che ha a che fare con l’attenzione, il non cadere nel vuoto, il mantenimento di una certa stabilità. Per un musicista potrebbe significare che non si voglia perdere il filo del discorso, che la musica dovrebbe saper districarsi tra momenti di tranquillità ad altri più dinamici. Insomma, come giustamente alludono D’Auria e colleghi in questo lavoro, l’importante è mantenere l’equilibrio. Ma quel trattino frapposto da “In” ed “Equilibrio” accende qualche riflessione ulteriore. Nella lingua italiana questa preposizione allude a qualcosa che è contenuto in altro, oppure esprime un senso di negazione. L’equilibrio potrebbe quindi essere un ingrediente necessario in questa musica, oppure qualcosa da trascendere, lasciando libero il pensiero e l’estro di creare senza confini obbligati. Da qualsiasi parte si valutino queste considerazioni il risultato finale è un lavoro decisamente melodico, interessante e vitale, in cui si percepisce una sotterranea corrente pulsionale che vorrebbe acrobaticamente camminare sul filo ma nel contempo togliersi la soddisfazione di piroettare in aria senza rete. La formazione messa in opera dal pianista D’Auria in questo suo quarto lavoro comprende Luca Aquino alla tromba, flicorno e trombone, Giacomo Ancillotto alla chitarra, Dario Miranda al contrabbasso ed Ermanno Baron alla batteria.

D’Auria e compagni pensano per immagini, alle volte sembra quasi di ascoltare la colonna sonora di un film sceneggiato dalla fantasia dei musicisti. Un lungometraggio che trascorre attraverso stati d’animo mutevoli, in bilico tra malinconia ed appunti di lieve ironia, come nel brano di apertura Le Cirque des Regardes, quasi una marcetta dal vago sapore felliniano. Il piano delinea la melodia sulla quale tromba, chitarra e percussioni s’allineano in una strana andatura claudicante con un bel solo di Aquino verso la parte conclusiva. Lazy Days segue la scaletta mantenendo fede, nel suo svolgersi, all’indolenza suggerita dal titolo. Si sviluppa qui, a piccoli felpati passi, un sentore d’umbratile introversione a cui cerca di adattarsi il suono caldo della tromba. Il pianoforte introduce il brano che segue, In-Equilibrio, che dà il titolo all’album. L’andamento molto melodico innescato dalla tastiera si mantiene anche con l’intervento della chitarra, un tocco alla Terje Rypdal che lavora su note allungate, piene di echi, ricavandosi uno spazio tra il tema proposto dalla tromba e il sostegno cantabile del piano. Termina il tutto con un suggestivo fischiettare che pare perdersi in una notturna lontananza. Restiamo sempre ancorati ad una struttura melodica di base con The Acrobat, anche se in questo caso i temi si muovono poco più speditamente e la batteria col contrabbasso fanno insieme un ottimo lavoro di sostegno. Poco convincente l’intervento del synt, a mio giudizio fuori contesto. La chitarra, invece, si limita ad un accompagnamento realizzato con discrezione e con poche, misurate sollecitazioni delle corde. Sergej colpisce per il suo intimismo, una splendida ballata introdotta da un dialogo di sottofondo tra l’archetto che sollecita il contrabbasso e il gioco calibrato dei piatti della batteria. Il piano scrive la linea melodica, molto cantabile, ripresa da Aquino con un soffio denso di espressività e raccoglimento. Un brano che sembra quasi un requiem, con quel suo carico di nostalgie e profonda affettività. Occorre aggiungere che gli strumentisti, soprattutto in questo brano, si relazionano con grande senso della misura ed…”equilibrio”, appunto.

Bando alle malinconie, sembrerebbe con Mindfulness. La musica accelera quel tanto che basta, acquisisce quasi una forma “fusion” come non si era ancora ascoltata. Il mood non è però ancora quello di un gruppo jazz-rock. Per arrivare a questo clima, o a qualcosa di similare, occorre attendere Losing Opinions. Una chitarra più nervosa e il Rhodes intrecciano serrate domande e risposte, lasciando spazio per un meritato assolo di batteria di Baron. Si cambia ancora con The Call of Water, un insolito brano tra improvvisazione, elettronica e assaggi di psichedelica traccia pinkfloydiana. Appare il trombone, ritorna il synth. L’ultimo brano, Nobody Lies Everybody Teases cerca di tirare le fila di tutto questo ragionar eterogeneo. Un arpeggio insistito di piano, la musica s’irrobustisce con la tromba che azzarda una timida fuga in avanti e la presenza di qualche effetto elettronico in chiusura.

Il motivo per me più affascinante di questo disco sta, manco a dirlo, nel senso della misura che scansiona gli interventi dei musicisti, attratti da opposte valenze progettuali. Si avverte la pressione sottotraccia ma anche l’autocontrollo di chi non vuole perdersi in una qualche velleitaria ricerca di confine. La sperimentazione, se c’è, non si fa notare più di tanto e probabilmente lo stesso D’Auria, compositore capace e pragmatico, avverte il pericolo che si corre nel farsi gestire dalla musica invece di saperla governare. L’amalgama è ottimo, la sapienza tecnica pure, la fantasia non manca. Un disco da consigliare senza indugio.

Tracklist:
01. Le Cirque des Regards
02. Lazy Days
03. In-Equilibrio
04. The Acrobat
05. Sergej
06. Mindfullness
07. Losing Opinions
08. The Call of Water

09. Nobody Lies, everybody Teases