R E C E N S I O N E


Recensione di Riccardo Talamazzi

Nella “Tempesta” di Shakespeare Ariel è il nome di uno spirito dell’aria. Nella religione ebraica Ariel è invece un angelo. Comunque sia l’aria pare essere l’elemento portante di questa entità, sotto tutte le possibili forme in cui si trovi. Per suonare l’armonica a bocca di aria ne occorre tanta, come per qualsiasi strumento a fiato. Il respiro, ciò che ci mantiene in vita, scorre nello strumento animandolo, insufflando parte di quella vitalità che possediamo, dandoci forse qualcosa di più che un’illusione demiurgica. Cioè la consapevolezza di poter essere creatori, a nostra volta, di un’arte come la musica. Ariel Bart è una giovane armonicista israeliana appena ventitreenne che ha concluso però la sua formazione professionale a New York, a tu per tu con jazzisti importanti tra cui alcuni suoi maestri come Aaron Parks e Anat Cohen, per esempio, o partecipando all’incisione di un album del contrabbassista William Parker e di un altro del batterista Andrew Cyrille. Ariel Bart è poco più che uno spiritello gentile, quindi, ma che conosce i segreti dell’armonica cromatica quasi come fosse una navigata artista certamente più matura degli anni che dimostra di avere. A dir la verità conosco pochissime donne che suonino l’armonica, diatonica o cromatica che sia. Mi vengono in mente solo due nomi. Il primo si riferisce ad una figlia d’arte come Karen Mantler – sua madre è Carla Bley con la quale condivide, oltre il dna musicale, una evidente somiglianza fisica – e il secondo nome riguarda Annie Raines, però maggiormente orientata verso il blues.

Trattando dell’armonica cromatica il nume di riferimento internazionale è ovviamente Toots Thielemans e, dopo tutto, mi sembra proprio quest’ultimo l’ispiratore più probabile per il modo di suonare della Bart. Non si deve comunque dimenticare che la nostra giovane armonicista è anche compositrice e autrice di tutti i brani di questo In Between, che pare essere, dalle note stampa che possiedo, il suo lavoro d’esordio come titolare. Quello che colpisce di primo acchito in un lavoro come questo è la formazione del gruppo che vede un classico trio jazz – piano, basso, batteria – associarsi ad un violoncello e a un’armonica a bocca e questo non può non stimolare una certa curiosità sia sulla tipologia di musica proposta sia sull’interplay che ne potrebbe conseguire. Al piano c’è Moshe Elmakias, coetaneo della Bart, al violoncello Mayu Shviru, al contrabbasso David Michaeli che proviene dalla scuderia ACT e alla batteria Amir Bar Akiva. La musica che si libera da questo album è molto melodica e risente, come era anche attendibile, del verbo rarefatto e lirico della musica modale tradizionale del medio oriente ma non sono escluse scorribande meno morbide nell’ambito del jazz stilisticamente più puro. Momenti quasi new-age che paiono colonne sonore di film immaginari s’alternano a frammenti cameristici e a spazi che ricordano suggestioni più nordiche, talora con quel modo di fare jazz essenziale e sentimentale allo stesso tempo, con un basso avvolgente e batteria scheletrica suonata prevalentemente sui piatti.

Il primo brano della raccolta è Spiritual wars che inizia subito con una scala frigia introdotta dal piano e che promuove il mood orientaleggiante dell’intero brano. È proprio l’armonica a bocca che aggiunge note più occidentali, con continui richiami e appoggi cromatici, cercando di costruire un ponte armonico tra due tradizioni culturali. L’impronta jazzistica prende il sopravvento verso la parte terminale della traccia ma le note iniziali della scala prima menzionata si ripetono, ora eseguite da uno strumento, ora dall’altro, a sancire il desiderio di una sintesi tra mondi lontani e apparentemente così diversi. Colors palette ha un andamento più moderno, principalmente jazz, in cui la Bart prima, Elmakias poi, con i rispettivi strumenti, evidenziano tutta la loro preparazione nel saper improvvisare. Stranger on the hill inizia con una semplice melodia tracciata dal piano in cui è ben avvertibile il controcanto e lo sviluppo dello stesso, organizzato dal violoncello. Poi l’armonica si fa morriconiana e questo è il segnale in cui inizia l’improvvisazione. Il tema originario viene abbandonato per poi, ovviamente essere ripreso nel gran finale e nell’ultima coda di chiusura. Memory of a child è brano tranquillo, evocativo di favole che raccontano gli enigmi dell’infanzia, con il contrabbasso che si evidenzia in un bell’assolo a precedere il convincente pianismo di Elmakias e l’abituale dinamica espressiva della Bart. Deep down ha un incipit che rammenta I love you Porgy ma è solo un appunto iniziale, un “post it “che sfugge nella memoria come un indecifrabile, lontano ricordo. The year after è un bel brano giocato quasi sottovoce dalle frasi, alle volte all’unisono, tra armonica e piano. Il contrabbasso legge bene l’atmosfera esibendosi in un delicato assolo dimostrando di non essere un semplice ballerino di fila ma di meritare attenzione per questi suoi momenti in quasi solitudine, prima che l’insieme strumentale prenda il sopravvento. Intro è solo violoncello alle prese con una melodia scarna, quasi un solitario canto che pesca molto nella tradizione medio orientale. Forse è il momento più spirituale dell’intero disco insieme al pezzo di chiusura In between, che dà il titolo all’album.

Questo disco racconta di un mondo nascosto, intimo, quello intravisto talora da certi musicisti quando sanno condursi al di là delle semplici apparenze dell’esistenza. Si rimane sorpresi innanzitutto dalla perizia strumentale della Bart, non facilmente riscontrabile in giovani poco più che ventenni. Ma la band tutta risponde oltre alle aspettative con una partecipazione globale intensa e tecnicamente eccellente. Ariel Bart tiene fede al suo eterico nome di battesimo cantandoci la promessa di una Bellezza che arriverà, prima o poi, di cui lei e compagni possono solo mostrare, per ora, i primi evidenti e speranzosi segnali.

Tracklist:
01. Spiritual Wars
02. Colors Palette 
03. Stranger on the Hill
04. Memory of a Child 
05. Deep Down
06. The Year After
07. Intro (feat. Mayu Shviro)
08. In Between