R E C E N S I O N E


Recensione di Mario Grella

Se si pensa a contrabbasso e sax si pensa al jazz e se si pensa al jazz, si pensa a contrabbasso e sax, strumenti iconici e quasi eponimici del jazz stesso. Ma non è mai un bene fidarsi troppo della consuetudine ed è invece molto benefico, essere curiosi, non avere pregiudizi e non fidarsi troppo delle etichette. Per corroborare questa teoria, basta mettersi all’ascolto di Some Red Some Yellow, ultimo lavoro discografico del grande contrabbassista Roberto Bonati, accompagnato in questa passeggiata nordica e di stampo “etno-jazz”, dal sassofonista norvegese Tor Yttredal. Una collaborazione tra i due musicisti iniziata nel 2013 e che è proseguita fino ad oggi, per la realizzazione di questo disco realizzato con il sostegno della University of Stavanger che ha condotto la ricerca artistica “Improvisation” della Faculty of Performing Arts. Il disco è quindi il frutto di una residenza di Tor Yttredal in Italia al festival ParmaJazz Frontiere. Nel comunicato stampa che accompagna il disco c’è una definizione che credo riassuma alla perfezione l’atmosfera che si respira qui, quella di “folklore immaginario”. Sì perché se è inequivocabile la vena folklorico-etnica, è anche vero che non si riesca a definire una area di provenienza di quel tipo di suono, di quelle armonie, di quegli accenti. Ed è bellissimo così.

Tuning che apre l’album con una inconsueta discrezione, ha già in sé moltissimi elementi e toni che si svilupperanno poi lungo tutto il lavoro. Va ricordato che oltre al dialogo tra contrabbasso e sax, alcuni brani sono arricchiti da minimali interventi dell’elettronica di John Derek Bishop, musicista norvegese di grande talento a cui occorre guardare con attenzione. Magnifica solennità in Incanto, seconda traccia, dove il sax di Tor Yttredal sembra un flauto e dove il contrabbasso è “sviolinato” da Roberto Bonati con una quasi ossessiva ripetizione su una minima variazione. Bar to Bar si apre invece con la levità sorprendente che ricorda certe composizioni di Jimmy Giuffre, brano accattivante dalla forte impronta jazz che è forse presente “in purezza” solo in questo brano. Some Red Some Yellow che dà il titolo all’album, è anch’essa intima, pacata ed evocativa, piena di silenzi reali ed immaginari. Saltimbanco allegra, spigliata e spensierata sembra strizzare l’occhio (anche nel titolo), alla musica di strada, ma rimanendo sempre affetta da una sana malinconia che ci parla di lontane musiche nomadi. Ma lontana da dove? Si sarebbe chiesto Joseph Roth. Ed effettivamente gli echi di questo disco ci portano lontano pur essendo tutti radicati nella nostra “memoria musicale”. Come accade in Night Village: un cielo stellato di Van Gogh o un oriente vicino o lontano? Poco importa, dove e come, è di quelle intimità dell’anima che queste rarefatte composizioni ci parlano. Così come ne La Venexiana, dove il fiato di Yttredal, sembra modularsi all’unisono al vibrare delle corde di Bonati; una Venezia che assomiglia molto di più a quella di Corto Maltese che non a quella di Antonio Vivaldi, se mi è concesso l’azzardo. Canto Antico che chiude l’album, sembra voler essere anche una dichiarazione d’intenti e d’amore verso quell’universo sonoro che si palesa solo a chi si predispone alla ricerca fuori e dentro se stessi, ove l’aggettivo “antico” sembra voler alludere ad una archeologia sonora, una ricerca verso ciò che si è sedimentato in noi, dopo secoli di musica che come una brace, cova sempre sotto la cenere. Silenzio, si ascolta…


Tracklist:
01. Tuning

02. Incanto
03. Bar to Bar
04. Some Red, Some Yellow
05. Saltimbanco
06. Invocatio
07. Bouncing
08. Question Marks
09. Strokes
10. Night Village
11. To Byte Who
12. Come pioggia nel mattino silente
13. La Venexiana
14. Seven by Seven
15. Canto Antico