Le contiamo sulla punta delle dita: 5 domande ai nostri artisti, il tempo di batter 5 et voilà, in 5 minuti le risposte.
I N T E R V I S T A
Articolo di E. Joshin Galani
I Diletta sono un duo nato nel 2019 da un’idea di Jonathan Tupputi (voce e chitarra) e Andrea Rossini (tastiere e arrangiamenti), con la collaborazione di Desirée Bargna ai cori e al violoncello. Il loro esordio è con l’ep Sacro Disordine prodotto da Luca Urbani (ex Soerba, con all’attivo collaborazioni fra cui Bluvertigo, Alice, Garbo e tanti altri). La loro musica è a metà tra l’indie-pop elettronico e il cantautorato più introspettivo.
Il loro ultimo singolo e video è Povera Città. Abbiamo fatto quattro chiacchere per saperne di più.
È uscito il vostro nuovo video di “Povera città”. Pare che amiate molto le persone! Nel video precedente “Capita”, i protagonisti sono i partecipanti alla campagna di crowdfunding per la registrazione del vostro primo ep “Sacro disordine”. In questa nuova clip storie parallele di due ragazzi, cosa rappresenta il finale?
Non ci avevamo pensato a questo aspetto filantropo. Dal nostro punto di vista la partecipazione ai due video è diversa. In “Capita” è corale, in “Povera città” vi è una dimensione intima, tanto che i due protagonisti hanno percorsi paralleli visivamente separati dallo split screen. Il finale è un omaggio all’intero EP. Nella grafica del CD abbiamo inserito una ragazza con una scatola sulla testa a simboleggiare il “Sacro Disordine” e ci piaceva lasciarne una traccia nel video. Nello stesso tempo ci siamo accorti che in questa scelta la ragazza poteva anche simboleggiare la terza protagonista: la città.
Perché l’appellativo di “povera”?
Nella canzone abbiamo immaginato una città alle prese con due anime innamorate e vaganti e in questo sforzo l’abbiamo pensata come una madre con i suoi innumerevoli figli. “Povera” è riferito a quello sforzo e a quella pazienza.

Il video di “Povera città” è girato a Milano; è da intendere come una dedica? La metropoli più vicina da raggiungere? O la rappresentazione del suo vivere?
La città più vicina a noi sarebbe Como, ma ci è venuto naturale ambientare il video a Milano che con la sua vitalità, le sue notti e le sue dimensioni incarnava perfettamente la città protagonista della canzone.
Che apporto ha dato Luca Urbani al vostro lavoro?
Luca è stato fondamentale, ha preso delle canzoni minimali, a tratti intimiste e gli ha dato una spinta elettro pop. Le ha vivacizzate, ma, e questo è l’aspetto per noi più interessante, senza snaturare il cuore malinconico dei brani. Luca ci ha aperto un mondo nuovo e lo ha fatto con una umiltà ed una umanità rare, soprattutto in un mondo pieno di gente che “se la tira”.
Il “font” del vostro logo e della copertina è quello di una vecchia Dymo, come mai questa scelta grafica?
Qui l’intuizione è di Chiara Galli, un’amica che ha curato tutta la grafica dell’Ep. A partire dal titolo “sacro disordine” abbiamo pensato al tema della scatola, come contenitore di caos e ricordi e come catalogare tutto ciò che vi è dentro se non con una Dymo?
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