L I V E – R E P O R T


Articolo di Luca Franceschini

Dopo una mezz’ora scarsa dall’inizio Sascha Ring si ferma per ringraziare brevemente il pubblico e trasmettere tutta la sua felicità per essere finalmente tornato dal vivo dopo due anni di stop forzato. In tutto questo tempo non si è neppure incontrato con la sua band per le prove, ragion per cui ricominciare, dice, non sarà così semplice. Si sono ritrovati qualche settimana fa e così, per non annoiarsi troppo a suonare sempre le solite cose, hanno scritto qualche brano nuovo. “Uno l’avete appena ascoltato – informa – probabilmente più tardi ne suoneremo un altro”. Cosa che puntualmente avviene, mettendo in risalto l’alta qualità di queste composizioni, che si muovono sulla falsariga degli ultimi lavori del produttore e compositore berlinese, lasciando crescere ulteriormente le aspettative per un disco che, lo ha anticipato lui in un’intervista a Repubblica di qualche giorno fa, dovrebbe essere ormai quasi pronto.
Quella del Balena Festival di Genova è la quarta di cinque date che Apparat sta tenendo nella nostra penisola (ci sono state anche Porto Recanati, Caserta, Firenze e nel momento in cui questo articolo verrà pubblicato, sarà passato anche da Cella Monte, in provincia di Alessandria), parte di un più lungo giro europeo che rappresenta di fatto un nuovo inizio, sia esso più o meno ufficiale.

Un po’ lo si vede anche osservando il pubblico all’interno della venue, posta sempre nella cornice suggestiva del Porto Antico, con una pregevole vista sul molo e sulle grandi navi da crociera che partono e approdano: ci sono le sedie ma i posti non sono numerati, le precauzioni vengono osservate ma se capita di alzarsi in piedi trascinati dal fluire della musica, nessuno obietta nulla, tanto che nel finale, pur nel rispetto del distanziamento, sono in tanti a ballare e a lasciarsi andare. L’ho già scritto altre volte e non mi stancherò di ripeterlo: nel momento in cui si introduce un Green Pass per accedere agli eventi, è poi più che ragionevole allentare il freno; anche perché, è un qualcosa che ho osservato pochi giorni fa anche al TOdays di Torino, il pubblico è tutto fuorché maleducato o irrispettoso, quello che chiede è semplicemente di potersi godere un concerto senza assilli vari. Del resto basta vedere cosa sta succedendo in altri paesi europei (in Germania ma soprattutto in Inghilterra, con le recenti esperienze di Reading e dell’End of the Road) per rendersi conto di come questa sia la strada giusta.


Il concerto è bellissimo, simile nell’intenzione e nell’impianto generale a quello visto due anni fa al Teatro Regio di Parma; da allora effettivamente poco o nulla è successo, se non la ripubblicazione di alcune colonne sonore realizzate nel corso degli anni (Sascha ha collaborato anche con il nostro Mario Martone, per i film Il giovane favoloso e Capri Revolution), l’ultimo lavoro in studio rimane sempre LP5 uscito nel marzo del 2019.
Apparat si presenta sul palco nella solita formazione a cinque, assieme al collaboratore di lunga data Philipp Thimm, che nel corso della serata passerà con disinvoltura dalla chitarra al violino. È un concerto interamente suonato, nonostante l’elemento elettronico giochi comunque un ruolo importante. Chitarra, basso, batteria, tastiere, strumenti ad arco e a fiato interagiscono in continuazione con Synth e sequenze, dando spesso nuova forma ai brani e offrendo una grande impressione di fluidità.

La scaletta bene o male è la stessa ascoltata durante l’ultimo tour, con qualche piccolissima variazione costituita dai due pezzi nuovi e dalla strumentale Dark Anthem; per il resto il copione è consolidato, con l’ossatura dello show composta dai pezzi di LP5, di cui una riuscitissima Dawan in apertura costituisce la perfetta dichiarazione d’intenti del set.
Nelle sapienti mani della band (saranno stati anche fermi due anni ma non lo si nota) le canzoni si arricchiscono di nuove sfumature, il continuo cambio dell’assetto strumentale e la diversa gestione delle atmosfere e dei crescendo che di volta in volta viene portata avanti è la chiave per comprendere la bellezza di cui veniamo inondati per i novanta minuti scarsi che dura lo spettacolo.
Da un’intensissima Ash/Black Veil, passando per le consolidate Heroist, Eq Break, Outlier e Laminar Flow, fino a concludere con gli spettacolari bis di Caronte (l’intervento degli archi qui è stato sublime) e Black Water, una marea montante di Synth e tastiere, che sale piano piano guidata e sostenuta dalla batteria, col pubblico che sottolinea il momento con un ritmico battimani, e poi cessa improvvisamente, lasciando il solo Sascha a rievocare la melodia portante sotto un leggero tappeto di tastiera.

Sarebbe già stato meraviglioso in circostanze normali: oggi come oggi un concerto così, di un artista di questo livello, arriva ancora di più come un regalo inaspettato di cui non si può far altro che ringraziare.

Photo © pluralevideo