I N T E R V I S T A


Articolo di Luca Franceschini

Francesca Morello arriva al terzo disco del progetto R.Y.F. operando un radicale cambio di pelle: la scarna semplicità acustica che caratterizzava l’esordio “Love Songs for Freaks & Dead Souls” e il successivo “Shameful Tomboy”, ha lasciato il posto ad un vestito più spesso, fatto di elettronica, Drum Machine, chitarre distorte ed una buona dose di oscurità Post Punk, sull’onda di artisti come Soft Moon e Peaches, ma anche un certo disagio danzereccio in stile Fever Ray.
“Everything Burns” è più o meno direttamente scaturito da “Tutto brucia”, l’opera teatrale dei Motus ispirata alla rilettura sartriana delle “Troiane” di Euripide, di cui Francesca ha curato gran parte della colonna sonora. “Cassandra” e “Pocket Full of Ashes”, due degli episodi più significativi del nuovo lavoro, sono nate da qui ma si sono poi trasformate, contribuendo a dare forma definitiva ad un lotto di canzoni che sono indubbiamente le cose migliori mai uscite sotto il monicker R.Y.F.
Quando la chiamo al telefono per farmi raccontare di più di questo disco, Francesca si trova a Roma, dove il cast di “Tutto brucia”, di cui anche lei fa parte, sta affrontando le prime rappresentazioni. Naturale dunque che il discorso prenda da qui il suo avvio.

Siccome il disco ha preso le mosse dallo spettacolo teatrale “Tutto brucia”, per il quale tu hai scritto le musiche, comincerei col chiederti come sta andando, visto che avete debuttato a Roma pochi giorni fa e tu sei parte integrante del cast…
Andremo avanti fino al 23, da giovedì a domenica, abbiamo ancora altre dieci repliche davanti a noi (ride NDA)! La prima è stata super emozionante, poi man mano che si va avanti le cose si assopiscono: non tanto l’essere lì, che è sempre molto bello e profondo, soprattutto per la connessione che c’è con Silvia (Calderoni NDA) e Stefania (Tansini NDA), quanto tutte quelle paranoie dal punto di vista tecnico o tutta la tensione della prima; probabilmente loro non hanno questi problemi visto che, essendo artiste molto note, hanno già tantissime rappresentazioni nel curriculum; per me invece era la prima volta in teatro ed è stato strano, direi piacevolmente pauroso…

Il pubblico sta rispondendo bene?
La gente è entusiasta, mi sembra che ci sia un’ottima risposta. Ovviamente non posso dare giudizi su quello che faccio io, comunque sono molto felice: nelle prime date c’è stata un po’ di paura ma credo che da adesso in avanti riusciremo veramente a divertirci!

Il tuo ruolo è molto particolare perché hai scritto le musiche ma sei anche sul palco per tutto il tempo a suonare e ci sono dei momenti in cui interagisci direttamente con le attrici…  
Credo che loro volessero qualcuno che rimanesse in scena. L’anno scorso hanno lanciato un’audizione perché cercavano un musicista, un sound designer e un performer, sempre per questo spettacolo. Quando ho deciso di partecipare stavo iniziando a lavorare con la musica elettronica e, pur non rispondendo esattamente al profilo indicato, gli ho mandato un paio di brani di prova. Loro mi conoscevano già come musicista perché avevano usato una mia canzone per un altro loro lavoro. Così è successo che hanno operato una selezione di musicisti e sono stata scelta. Abbiamo poi fatto questo workshop assieme ai performer e agli altri musicisti che avevano scelto e già l’idea era quella di mettere tutti in scena. Ho usato tantissima chitarra e tanta voce, probabilmente loro si sono innamorati di questa cosa, a Silvia soprattutto piaceva che io accompagnassi lo spettacolo passo dopo passo, mentre invece Demetrio Cecchitelli, che è l’altro musicista è stato scelto con me, si è occupato di tutto il Sound Landscape, anche se poi due tracce le abbiamo sviluppate insieme io e lui. È stato quindi un lavoro corale a partire da grandi improvvisazioni, quindi quest’idea del coinvolgermi all’interno della scena è nata in modo molto naturale.

Non ci sono molti dialoghi nel corso del dramma e le tue canzoni costituiscono spesso il filo della narrazione, non sono una semplice colonna sonora…
Da tempo suono da sola ma è stato naturale lavorare con Stefania e con Silvia: il fatto di avere a che fare con persone così ispirate e ispiranti mi ha aiutato molto, in pratica si è trattato solo di seguire il mood di quello che stava succedendo, è stata una cosa molto spontanea. Ho ricevuto spunti per i testi e mi hanno aiutato molto ad inserirmi dentro questa tragedia, ad immergermi in essa; è stato un grande lavoro, un enorme dispendio di energie ma l’abbiamo fatto tutte e tre insieme, ognuna ha sostenuto l’altra, ci siamo bilanciate e regolate a vicenda.

Veniamo al disco, adesso: ho letto che la storia del suo concepimento è stata piuttosto curiosa…
Poco prima di questa audizione con Motus avevo composto due tracce, curate fino ad un certo punto, perché poi la cosa importante sarebbe stata l’improvvisazione che avremmo fatto tutti avanti assieme. Nel mentre, Chris Angiolini di Bronson Recordings mi ha detto che stava portando avanti delle residenze artistiche con vari musicisti e mi ha proposto di farne una con me. Sostanzialmente il fine di queste residenze era di produrre un disco e quindi mi ha chiesto se avessi già qualcosa di pronto. Io lì per lì ci sono rimasta, anche perché non avevo nulla di finito (ride NDA) però gli ho detto che stavo preparando questa cosa con Motus e che, tempo di fare l’audizione, mi sarei messa giù a scrivere. Il tutto sarebbe iniziato ai primi di novembre, avevo già “Cassandra” e il ritornello di “Pocket Full of Ashes”. Mi sono messa sotto, senza troppe riflessioni o meditazioni, come invece era successo con gli altri dischi, che erano stati molto pensati. Chris mi aveva anche chiesto, se ci fossi riuscita, di allontanarmi un po’ dalla mia comfort zone di cantautrice chitarra e voce, di farmi ispirare da artisti come i Moor Mother, con cui avevo fatto una data ai primi di febbraio del 2020, o come gli Special Interest, che a lui piacciono molto e che mi ha detto di andarmi ad ascoltare. L’elettronica mi è sempre piaciuta, ho sempre adorato Peaches o Fever Ray, certi suoni erano già nella mia testa. Ho cercato di tirar fuori tutto quello che avevo dentro, sono partita usando Synth e Drum Machine, arrivando alla residenza con cinque brani pronti, altri tre tirati fuori in quei giorni e il 13 dicembre avevo già finito di registrare (ride NDA)!

Hai fatto tutto da sola o ci sono degli altri musicisti con te?
Ho fatto tutto io, ho suonato tutti gli strumenti, poi Bruno Dorella, grande amico e musicista, che è stato il mio tutor durante la residenza, mi ha dato una mano, non tanto nella composizione vera e propria, quanto negli arrangiamenti: all’inizio tendevo a riempire un po’ troppo le tracce, pian piano mi ha fatto capire che anche togliere un po’ di cose va benissimo. È molto più esperto di me nelle registrazioni, insieme abbiamo allestito uno studio all’interno del Bronson, anche con Andrea Cola, che ha registrato concretamente il disco, e lì abbiamo fatto delle scelte precise su quali strumenti usare. Le Drum Machine le ho fatte io, poi c’è stato tutto il lavoro di missaggio e produzione da parte di Maurizio Baggio (che ha lavorato anche con Soft Moon e Boy Harsher NDA).

Il disco si apre con “Cassandra”, in una versione molto più dura di quella proposta in “Tutto brucia”. Mi piace tantissimo questo riff di apertura e questa atmosfera Post Punk molto scura; anche nello spettacolo, quando parte la Drum Machine, si ha proprio l’impressione che cambi qualcosa, che si introduca un fattore nuovo…
Cassandra è la matta, è colei che non viene ascoltata anche se conosce il futuro. La parte a cui ti riferisci è proprio quella in cui lei entra in scena: sono lì tutti tristi che piangono i morti e lei invece dice che bisogna danzare, che lei si sarebbe insediata nel letto del nemico e che avrebbe vendicato i suoi uccidendo i Greci. Io volevo dare quel tipo di atmosfera, un qualcosa che svoltasse, che desse il senso del ritmo e che facesse muovere il culo a tutti i costi. Volevo fare una cosa cupa ma anche molto groovy, quel tipo di canzoni che ti prendono e non ti mollano più. Facendo un giro con la chitarra, una mattina, mi è venuta immediatamente la prima frase: “Queen of the night inflame the stars” e da lì è uscito tutto senza problemi, mi sono immaginata quel rullo subito all’inizio e così via. Sono quelle cose che ti capitano…

“Everything Burns” è la traduzione letterale di “Tutto brucia” ma da quel che ho capito lo spettro dei temi dell’album è un po’ più vasto, giusto?
Avevo questa traccia composta per lo spettacolo, che alla fine ho deciso di inserire anche nel disco e che è diventata un testo sul body shaming. È come se questo mio partecipare alla rappresentazione, il fatto che ci fosse l’urgenza di togliere le mie barriere, è come se avessi sentito qualcosa dentro di me, come un fuoco. “Tutto brucia” non si riferisce solo allo spettacolo, è anche quello che mi stava succedendo, queste cose bellissime che stavo facendo. Poi sì, ci sono anche tutta una serie di cose orribili che esistono in questo mondo e che vorrei che bruciassero, molto spesso sono arrabbiata, però mi stanno succedendo delle cose bellissime, sto anche bruciando di felicità.

“Normal Is Boring” mi sembra molto collegata alla title track, sia come testo che come sonorità: è così?
Certamente. C’è tutta una costruzione di stereotipi e di brutte abitudini che hanno le persone di etichettare quello che non capiscono, tutta una serie di norme assurde che pretendono di determinare ciò che è normale e ciò che non lo è. È assurdo che le persone si sentano in diritto di dire la propria anche quando non conoscono qualcosa, di essere aggressive, arroganti e violente quando non conoscono quello che hanno davanti. Il concetto è che la mia normalità può anche essere diversa dalla tua: sono le differenze che rendono speciali le persone, se fossimo tutti uguali sarebbe una noia fotonica! Mi fa ridere quando si parla di “cose naturali” e “cose non naturali”, quando la natura è il primo esempio di delirio, nel senso che non c’è niente di uguale, di stereotipato, è tutto diverso e colorato!

Ho trovato molto bella anche “My Sis”, con questa chitarra sporchissima e un piglio generale molto anni ’90
È venuta così. Avevo questo testo, un’urgenza di dire certe cose… quasi tutto quello che faccio non è programmato, esce fuori d’istinto. Io comunque vengo fuori da quella cosa lì: la mia adolescenza è stata segnata tantissimo dal Grunge, dal Punk e da tutta una serie di ascolti di rock alternativo più o meno pesante. Inevitabilmente dentro di me quella roba è rimasta. Avevo già il testo e leggendolo mi è venuto naturale tirare fuori questo beat che si trascina e questo cantato molto pesante. Credo che stare dentro questa società e dover stare dietro a tutte le regole sottintese che ti dà, soprattutto se si è una ragazza, una donna e si è fragili, sia veramente pesante. Sono circondata da amiche, di certi problemi parliamo fra di noi e sono cose importanti, che però spesso e volentieri non vengono dette. È uscito fuori così, da questa urgenza di parlare di argomenti che purtroppo sono scomodi. Vado molto d’istinto, tratto certe tematiche in modo molto rispettoso perché sono io la prima che ho voglia di farlo. Dopodiché non sono né una filosofa né un’insegnante di vita: descrivo semplicemente quello che vedo, nella speranza che se qualcuno stesse anche lui vivendo queste esperienze, possa trovare un aiuto in queste canzoni.

“Muzik” e “Pocket Full of Ashes” sono più vicine alle tue prime cose e hanno il compito di chiudere il disco in modo riflessivo, dopo un inizio così roboante… 
Mi piaceva fare una chiusa del genere: è come se all’inizio avessi fatto ascoltare una versione nuova di me e poi avessi voluto rassicurare gli ascoltatori sul fatto che alla fine sono sempre io (ride NDA)! “Pocket” ha un approccio simile a quello che facevo prima: suoni corposi, tappeto di voci e poi finalmente ho usato la mia farfisa (ride NDA)! Quando ho registrato i vecchi album pensavo alle canzoni in quel modo lì, ero da sola con la chitarra. Anche “Muzik” è molto scarna ma anche molto intensa, sono entrambe introdotte da un giro di chitarra però poi in quest’ultima Bruno mi ha dato una grande mano a renderla più dinamica, abbiamo preso gli accorgimenti giusti per farla diventare molto struggente. Proprio adesso sto preparando il live e, selezionando le parti da mettere, mi sono stupita di aver fatto certe cose, ho ritrovato alcune parti che non ricordavo neppure di aver messo (ride NDA)! Questo per dire che sono davvero felice e soddisfatta di quello che siamo riusciti a fare insieme!

Immagino che se avremo ancora dei concerti, tra qualche mese ti vedremo dal vivo: hai già in mente come funzionerà il tuo live?
Sarò da sola, almeno per il momento, poi vedremo cosa succederà più avanti. Suonerò la chitarra e il pad come tappeto sonoro, poi ci saranno delle basi e questi tre elementi si combineranno nei vari pezzi. Senza troppo complicarmi la vita, sono riuscita ad avere un risultato buono, ci sono un po’ di date fissate, vediamo anche cosa succederà con Motus perché comunque fino a dicembre saremo in giro, poi arriveranno altri spettacoli. Usciremo senz’altro anche dall’Italia, a febbraio per esempio saremo ad Amburgo, per cui l’idea è di fare lo stesso coi miei live: nel periodo in cui non sarò in giro con Motus, cercherò di suonare il più possibile