R E C E N S I O N E
Recensione di Riccardo Talamazzi
Occorre pensare ad un paziente lavoro di cesello per comprendere a fondo il nuovo album del Marcin Wasilewski Trio, En attendant. Perché quando si ricercano equilibri alchemici di questa levatura, pesi e contrappesi misurati al milligrammo e relazioni armoniose tra strumenti e musicisti, non si può fare a meno di pensare al grande lavoro preparatorio che si organizza, in questi casi, dietro le quinte. Nonostante questo nuovo disco sembri quasi nato fortuitamente con il trio che aspettava di registrare Arctic Riff (uscito nel 2020) insieme al sassofonista Joe Lovano, è stato proprio un ritardo nel volo del musicista americano che ha messo Wasilewski e compagni nell’occasione di provare una nuova esperienza d’insieme. Ma non si creda che En attendant possa nascere dal nulla o in una generica attitudine all’improvvisazione. Questo complesso di idee, estemporanee e non, tocca invece vette di altezze tali da fugare ogni dubbio sulla bontà della sua preparazione. L’ultima opera di Wasilewski – settima uscita per ECM ma solo la quinta del trio come gruppo a sé, è frutto di una pacata e riflessiva germinazione artistica, un vero e proprio colloquio fatto di sussurri e di verbi acustici tra il pianoforte di Wasilewski, il contrabbasso di Slawomir Kurkievicz e la batteria di Michal Miskievicz. Ci sono tre brani – In Motion part I, II e III – frutto di completa improvvisazione del trio ma ci sono anche rivisitazioni sia di brani classici e jazz – Bach e Carla Bley – nonché una traccia attribuita al solo leader e persino un ritratto di un famoso brano rock dei Doors. La storia di questo trio polacco è quasi completamente legata al destino del trombettista Tomasz Stanko – scomparso nel 2018 – un vero e proprio nume tutelare del jazz polacco e non solo. Fu lui, infatti, a far approdare il Wasilewski trio in ECM.

Due tra i brani proposti in En attendant sono già apparsi con la presenza di Lovano nel già citato Arctic Riff e questa volta vengono rieditati con la lettura asciutta tipica di questa formazione triadica: si tratta di Glimmer of hope e Vashkar. Musica valutata millimetricamente, una scrittura essenziale e una serie d’improvvisazioni altrettanto scarne garantiscono un ascolto quasi ascetico, un raccoglimento poetico tra rarefatte immagini sonore all’interno di un risonante canto dai colori soffusi. Insomma, si tratta di un approccio iniziatico verso un mondo in cui “less is more”, per cui ogni nota non viene licenziata senza un’opportuna ragion d’essere. In Motion part I si inizia proprio così, con delle gocce di raggi lunari che piovono sul pianoforte e un contrabbasso discorsivo impegnato in un vero e proprio dialogo – e non è tanto per dire – con queste luminescenze. Il ticchettio di rullante della batteria, condotto sommessamente, è come se si accodasse a questo brusio, fino al punto in cui si ha l’impressione che gli strumenti alzino il tono di voce. Ma è solo un’immagine fuggevole, tutto s’acquieta di lì a poco scivolando nella medesima suggestione iniziale. Il secondo brano è una rilettura della variazione Goldberg n.25 di Bach. Personalmente sono sempre stato dubbioso di fronte a queste operazioni e spesso mi chiedo il motivo per cui fior di musicisti s’impegnino in certi modelli di ibride trascrizioni. Anche in questo frangente, pur prendendo atto che tale interpretazione sia ben suonata, misurata, lontana da certe impudenze un po’ volgari che si ascoltano spesso, mi resta una domanda sospesa tra le labbra: ”a che pro?”. Perché aromatizzare una sonata che non ha niente da spartire col romanticismo aggiungendovi qualche languore ottocentesco che rimanda a Chopin? Va bene che sempre in Polonia siamo, comunque prendo atto e proseguo l’ascolto. Di ben altro si tratta nella riproposizione di Vashkar, brano della grandissima Carla Bley, che compare nel disco dell’ex marito Paul Bley Footloose, del 1963. La lettura di Wasilewski e del suo trio cerca di limare gli angoli acuti dell’originale, addolcendo il pianismo nervoso di Bley e ottenendo una versione molto gradevole, totalmente in linea con lo spirito di amabile indulgenza del gruppo polacco. Molto bello l’assolo di contrabbasso, le sue note sembrano parole rivestite di musica. Segue In Motion part II e si ritorna nell’ambito totalmente improvvisato. È la batteria, suonata con le piume, a decidere il solco iniziale di questo brano. Risponde il contrabbasso immerso in un’oscurità notturna, perfino il piano limita il suo intervento, attento a non modificare il clima potentemente riflessivo, e quando questo succede avviene con assoluta discrezione sopra innesti di frammenti di scale modali alternati a momenti decisamente più tonali. Glimmer of Hope è pura meraviglia, una sublime voce fragile che si esprime in un brano molto cantabile, rilucente di lirismo, in un gioco di piani che slittano continuamente tra la melodia tradizionale, comunque molto bella e l’accompagnamento quasi silenzioso del contrabbasso e della batteria. Qui è lecito parlare di romanticismo, anche perché la composizione è integralmente frutto di Wasilewski e il suo tocco pianistico non ha dimenticato le proprie tradizioni, con Chopin che compare tra le note come convitato di pietra. Ed eccoci ai Doors di Riders of the storm del loro famoso album L.A. Woman (1971). Wasilewski Trio non è nuovo a queste rivisitazioni pop-rock, già affrontarono in precedenza Hyperballad di Bjiork e Message in a bottle dei Police. Bisogna dire che questa prova mi pare molto ben riuscita nonostante il brano sia divenuto, con il loro trattamento, tutt’altra cosa che l’originale rock. Il trio jazz ha l’accortezza di rispettare certi importanti stacchi ritmici che appaiono presenti esattamente dove ce li aspettiamo, per cui la trasformazione di una cosa nell’altra avviene senza traumi. La terza parte di In Motion chiude in bellezza, laddove si era cominciato. Se l’improvvisazione è l’indiscussa anima del jazz il Wasilewski trio santifica le feste con questi esempi di interplay, in modo particolare con quest’ultimo frammento dove sembra recuperare quell’anima melodiosa che abita integralmente il proprio essere. L’eufonia di questi suoni si tiene lontana da melodie appiccicose e da cascami stilistici e ama distendersi in queste note toccanti, quasi ectoplasmiche, lontane anni luce dagli inquieti stridori di buona parte del jazz contemporaneo.
Tracklist:
01. In Motion (Part I)
02. Variation No.25 from: Goldberg Variations
03. Vashkar
04. In Motion (Part II)
05. Glimmer Of Hope
06. Riders On The Storm
07. In Motion (Part III)
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