R E C E N S I O N E


Recensione di Riccardo Talamazzi

Naviganti e Sognatori lo siamo un po’ tutti. Potremmo estrapolare il titolo di questo suggestivo lavoro di Falomi, Turchet & Trabucco e appropriarcene, rivendicandone la  co-paternità. Non si può navigare, metaforicamente parlando, senza avere sogni da portare con sé in valigia. Né succede mai di sognare veramente senza desiderare per almeno un giorno di viaggiare, di partire, di lasciare il nostro vecchio mondo alle spalle. Non dimentichiamo poi che l’Italia è una penisola allungata sul mare e che dalle sue coste sono partiti migliaia di naviganti in cerca di avventura, di un lavoro, di ricchezze e di potere. O semplicemente coltivando il desiderio di vedere posti nuovi, spesso solo sognati, appunto. Si racconta, in questo disco, di tre città come Genova, Venezia e Trieste – ma c’è anche un importante riferimento a Napoli – che non hanno mai vissuto di aristocratici isolazionismi ma che al contrario si sono offerte al mare, cercando in questo una potente ragione di vita e uno stimolo per il futuro. Mare come prezioso alleato, quindi, ma anche come doloroso simbolo di lontananze e i brani che compongono Naviganti e Sognatori raccontano ogni cosa, desideri e addii, amori e dispiaceri. Tutto questo non solo attraverso nuove composizioni ma riproponendo anche canzoni popolari antiche che sul mare hanno a lungo viaggiato prima di diventare patrimonio di tutti. Questo disco è però tutt’altro che opera crepuscolare, sa emergere tra le dolcezze melodiche dei brani dimostrando una primaverile solarità fatta di profumi e chiarità. Luca Falomi, trentasettenne genovese, è giunto al suo terzo disco da titolare senza  tener conto della sua collaborazione con il gruppo Motus Laevus e della relativa uscita discografica – Y – del 2020. Ci troviamo dinnanzi a un chitarrista che ha un’ampia visione delle possibilità del suo strumento, ha studiato musica classica, jazz ed etnica e inoltre si è spesso impegnato come arrangiatore. Possiede un profondo senso melodico accoppiato a solide certezze armoniche e traina il gruppo con sicurezza attraverso questo allegorico viaggio per il Mediterraneo. 

Alessandro Turchet, friulano, è al contrabbasso, vanta collaborazioni con numerosi artisti e ha scritto anche colonne sonore per il cinema. Dimostra un’invidiabile sicurezza con l’archetto, cimento tutt’altro che facile, presumo, per i contrabbassisti. Max Trabucco è di Treviso e ha poco più di trent’anni, è alla batteria e alle percussioni ed ha due dischi alle spalle come titolare, nonché un curriculum di collaborazioni di tutto rispetto. Ospite d’eccezione è Daniele Di Bonaventura, ben conosciuto e apprezzato strumentista. Il suo bandoneon ha lasciato nella mia mente una traccia profonda col bellissimo Reminescenze, uscito quest’anno e inciso in coppia con Giovanni Guidi al pianoforte. Alcuni momenti di Naviganti… mi fanno ricordare l’avellinese Antonio Onorato, quando si cimenta all’acustica, ritrovando in questo trio a volte atmosfere analoghe caratterizzate da accostamenti similmente discreti e da una dolcezza un po’ nervosa, delicata e leggermente di maniera.

Terra e mare apre il discorso ed è subito chitarra classica, con qualche reminiscenza spagnoleggiante ma accompagnata in termini jazzistici, moderatamente swinganti, da una batteria morbida con un contrabbasso avvolgente, creando un tono pieno di serenità e languida malinconia. È il bandoneon di Di Bonaventura ad aprire Rotte mediterranee dove il clima si fa pensoso, più riflessivo, con qualche velatura di vago rimpianto e una melodia cantabile irradiata da un senso di solitudine. La nova gelosia – intesa come persiana d’una finestra – è una barcarola napoletana di autore anonimo composta presumibilmente nel ‘700 e “riesumata” originariamente da Roberto Murolo negli anni ’60, poi ripresa più di recente anche da Fabrizio De Andrè nel suo Nuvole del 1990. Questo pezzo è interessante perché si svincola da un pedissequo riproponimento canonico e dopo un’iniziale esposizione del tema melodico, con percussioni di sottofondo e basso battente, la chitarra viaggia con un bel calibrato assolo di acustica colorando d’un velo jazzato trasparente l’originale struttura melodica. Il brano, così arrangiato, sembra persino affacciarsi sul Maghreb e sulle coste nordafricane, piuttosto che sul golfo di Napoli. Con Le Vie del mondo compare la chitarra elettrica molto liquida di Falomi che sviluppa una linea fatta di poche note espressive e leggermente prolungate, tanto da dare l’impressione di una ballata western americana. Bello l’intervento di Turchet all’archetto, suonato cosi bene sul contrabbasso che mi sembra addirittura – o lo è veramente?? – un violoncello.

Nella Tredicesima ora ricompare il bandoneon e la batteria propone un accompagnamento simile a quello di Last train home di Pat Metheny. Il brano sembra però un’accorata rimembranza, la chitarra cambia di timbrica, dalla classica all’acustica con corde metalliche ad altri suoni che sembrano quelli d’un mandolino e tutto si riverbera in un duetto con Di Bonaventura a costituire uno tra i momenti più intensi dell’intero album. Arriviamo a Naviganti e Sognatori, il pezzo che intitola il disco. L’accompagnamento ritmico è una lenta bossa-nova che ridisegna la dimensione cosmopolita del trio – in fondo le coste e le città di mare hanno tutte qualcosa in comune. Poco importa la collocazione geografica, se navighiamo sognando. Potremmo trovarci a fantasticare su una rena brasiliana, anziché tra gli scogli della Liguria. In effetti la chitarra classica di Falomi e le percussioni si muovono in un’aria calda e sognante che invita a volare con la fantasia, ad entrate in uno strano dormiveglia dove l’immaginazione potrebbe non distinguersi più dalla realtà. Lanterna de Zena è anch’essa vecchia melodia marinara, con un inizio di bandoneon che ricorda la colonna sonora di Ultimo tango a Parigi – forse un omaggio? La melodia portante del brano è condotta inizialmente a due voci dalla strumento di Di Bonaventura con la chitarra a far d’accompagnamento. Poi quest’ultima esce dalla penombra, di nuovo a dialogare con il bandoneon. La dialettica tra i due strumenti è un valido motivo ricorrente di questo lavoro e ne abbiamo già accennato poc’anzi tratteggiando le linee essenziali de La Tredicesima ora. Nina d’amor me consumo è un altro motivo d’interesse per l’ascoltatore perché nonostante questo sia un brano popolare ottocentesco d’origine veneziana, probabilmente un canto dei gondolieri, viene qui trattato in modo personale, jazzificato senza per altro violentare il tema melodico. Abile è Falomi con la chitarra a saper creare qualcosa di diverso partendo dalla melodia, com’è altrettanto indovinato l’intervento di Turchet che trasforma con l’archetto l’intero brano iniziando dolcemente ma finendo poi nel finale per deformarlo e distorcerlo con note quasi rockkeggianti. Voi che son dos stelis è ancora una traccia che viene dalla tradizione friulana e forse è quella la cui identità popolare è meno scoperta, almeno nella versione di Falomi e compagni, che ne fanno quasi qualcosa di diverso, come fosse una loro creazione estemporanea, giocata in una soffusa, ipnotica lentezza.

Disco molto godibile, questo Naviganti e Sognatori. Per apprezzarlo veramente occorre lasciarsi letteralmente cullare dalle onde e farsi portare lontano, fidandosi della corrente e della forza del vento, e naturalmente dei tre marinai che conducono la nostra imbarcazione.

Tracklist:
01. Terra e mare
02. Rotte mediterranee
03. La nova gelosia
04. Le vie del mondo
05. La tredicesima ora
06. Naviganti e sognatori
07. Lanterna de zena
08. Nina d’amor me consumo
09. Voi che son dos stelis