R E C E N S I O N E
Recensione di Riccardo Talamazzi
Non vorrei che le dichiarazioni di profonda stima verso Ornette Coleman e il titolo Mock the Border (Ridicolizza il Confine) del contrabbassista francese Jeremy Lirola, fossero intesi come elementi fuorvianti e pregiudiziali nell’ascolto di questo album. Perché Coleman, a sei anni dalla propria morte, continua a provocare esantemi allergici a molti amanti del jazz. Il “free”, infatti, secondo alcuni è stato come una meteora, un proiettile vagante senza direzione esplicita. In realtà, per quello che riguarda proprio Mock the Border, non c’è nulla da temere. Nessuna armolodia turberà il pacifico sonno dei puristi e oggi la musica di Lirola sfiora solamente l’universo colemaniano, trovando un perfetto accordo tra le escursioni del free e la musica tonale. Lirola, al suo secondo disco da titolare, sempre per la sorprendente etichetta La Buissonne, comprende come il tema del confine da superare sia già stato affrontato tra i ’60 e i ’70. Arrivati al limite occorre saper voltarsi indietro e procedere semmai in parallelo lungo la frontiera, ritornare di qualche passo, soffermarsi in certe aree trascurate dalla troppa fretta di novità. Insomma cercare qualcos’altro che non sia solo un sistema non-armonico, un “vietato vietare” come unica, vera rivoluzione del futuro. In questo lavoro la ricerca integrativa proposta da Lirola, cioè guardare avanti senza dimenticare la lezione del passato, trova livelli di interessante profondità, frammenti poetici gettati lungo il sentiero, qualcosa che insomma non faccia mai smarrire la strada percorsa. Non è un lavoro semplice, l’album di Lirola, in alcuni momenti sembra che la musica prenda a testate il presente, in altre che vi sia addirittura uno sguardo al passato carico d’una certa nostalgia.

E ci viene il sospetto che il limite accennato dal titolo del disco possa essere anche altro, ad esempio quello segnato dal linguaggio verbale. Ciò che le parole non possono dire, perché bloccate dalla loro stessa natura, dal timore di un banale errore ostativo o da un qualsiasi fraintendimento. Oltre il “limite” dei vocaboli c’è un altro universo, infatti, quello dei suoni in cui i fenomeni che vi accadono hanno forme differenti. Mock the Border si avvale, oltre che del contrabbasso dello stesso Lirola, del sax di Denis Guivarc’h e della batteria di Nicolas Larmignat – già presenti entrambi nel precedente lavoro Uptown Desire – e dal piano di Maxime Sanchez.
L’inizio è fulminante di bellezza, con l’intro Mock the lines e il sax carezzevole sopra le note lunari del rhodes, in un tempo notturno e sospeso. Living symbols sembra incamminarsi sulla stessa falsariga fin qui indicata, con il contrabbasso al posto del sax che si propone in schemi di scale avvolgenti. Ma dopo un minuto circa dall’inizio, il brano ingrana la quarta, il ritmo accelera fino a consentire l’entrata del sassofono che cambia faccia rispetto al movimento precedente. Il piglio sonoro ricorda quello di un gruppo fusion, con un piano che si allontana per un certo tratto consentendo il lavoro a trio con basso-batteria e sax. Quando lo stesso piano rientra nei giochi lo fa con un assolo ben condotto ma tutto sommato abbastanza tradizionale. Insomma, per il momento siamo ancora all’interno di tutti i confini possibili. Danced Border si presenta con una curiosa ritmica, quasi una marcetta, e il brano è terreno di caccia per il piano di Sanchez che conduce un assolo per oltre la metà della lunghezza del pezzo, per poi venire doppiato dal sax nel finale. Sensitive border è aperto dal contrabbasso che si muove agilmente su una base ammorbidita da una scansione ritmica molto regolare e dal pianoforte decisamente delicato. Una piccola fregola velatamente romantica in questo disco, capace però di regalare poco più di tre minuti di rasserenante emotività. Arriviamo a Ghost Dance dunque, e qui i nodi vengono al pettine. Il titolo rimanda all’omonima “danza” composta da Max Roach nel ’96 ma è proprio qui, in questo brano di una decina di minuti circa che si testano le possibilità del lavoro di Lerola. Su questo filo di lana che ci avvicina ai famosi confini tracciati da Coleman, la progressione è circospetta, un passo per volta. All’inizio il contrabbasso e la batteria tengono ben ancorato lo sviluppo musicale con una ritmica oserei dire rassicurante ma è il piano, che per primo, si spinge in là. Sanchez abbandona le strade più prevedibili e si butta nei sentieri laterali, dove il sax lo segue spingendosi al di qua e al di là del limite tonale. Non è mai un balzo definitivo verso il territorio straniero ma più che altro un cammino in equilibrio tra due mondi. Si conferma l’impressione già accennata precedentemente, cioè che Lirola & C. siano alla ricerca di una strada parallela che si muova lungo il confine e accenni a qualche passo di danza a cavallo della barriera che divide il mainstream dall’avanguardia. Una terza via, insomma, che appare come un’evocazione medianica in Red, dove l’improvvisazione cerca i suoi spazi in un iperrealismo quasi allucinatorio.

Black sembra cercare di recuperare un ritmo più consono, una percussività esuberante su cui sax e piano rhodes tentano di costruirsi un profilo free pieno di note tensive con un finale che s’avvicina al mood di Coleman nei suoi momenti migliori. White non ha alcuna intenzione di scendere dalla giostra su cui si sta girando, l’atmosfera diventa però più asciutta e urbana, ascoltiamo perfino un breve colloquio a due, contrabbasso e batteria. Si continua con un unisono tra rhodes e sax fino al termine. Yellow è un altro breve intermezzo con accordi di piano un po’ bluesy. Questo è il segnale del ritorno, l’allontanamento da ogni tensione fin qui evidenziata. Il brano che segue sembra essere, almeno nelle sue fasi iniziali, il più lineare di tutto il disco, Essai Eternel. L’andamento è quasi inaspettatamente classicheggiante, con un sax che sembra improvvisamente altro da sé e che viene punteggiato da accordi di piano senza particolari voicings, come se si trattasse di accompagnare il tema di una canzone dall’andamento malinconico. Ma dopo un paio di minuti abbondanti succede che la batteria irrompe con discrezione in una serie di percussioni più ritmate che trascinano con sé anche gli altri strumenti. Si passa così da una consonanza quasi romantica ad una serie reiterata di suoni ossessivi e dissonanti. Brano davvero emblematico. Si chiude l’album con la ripresa del buon pezzo iniziale, Mock the end lines, leggermente più prolungato rispetto alla traccia introduttiva.
Lirola dimostra di essere una sorta di satellite errante, con questo disco, muovendosi a cavallo di confini che ora oltrepassa ed ora no ma vincolando la propria ricerca ad una curiosità che non può far altro che portare a riflessive meditazioni sul futuro del jazz. La sua visione a volte si sfoca, altre volte pare più lucida di un esegesi filosofica. Questo è il suo cammino personale, in definitiva, ed è il rischio che coraggiosamente si è accollato sia nel seguire la linea di confine e sia, talora, anche nell’oltrepassarla.
Tracklist:
01. Mock the Lines
02. Living Symbols
03. Danced Border
04. Sensitive Border
05. Ghost Dance
06. Red
07. Black
08. White
09. Yellow
10. Essai Eternel
11. Mock the End Lines
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