Le contiamo sulla punta delle dita: 5 domande ai nostri artisti, il tempo di batter 5 et voilà, in 5 minuti le risposte.
I N T E R V I S T A
Articolo di E. Joshin Galani
Un progetto interessante quello del Batti 5 di oggi, tra elettronica e disincanto, l’amore per il surreale, il fiorire del declino: ecco Vinnie Marakas con la sua uscita discografica Giovane Cagliostro, il primo EP prodotto da Richard Floyd per Dischi Sotterranei. Questa la sua presentazione: “Performer eclettico, baro giocatore di dadi e operatore del sottosuolo… alchimista e mago metropolitano, il nome della sua Opera è scritto sul manto delle tigri. Secondo alcuni esegeti non sarebbe un uomo ma un essere demoniaco che da sempre attraversa i secoli…”
L’abbiamo incontrato in occasione dell’uscita del suo singolo Rrose Sélavy.

Tra le citazione identitarie di Rrose Sélavy – tuo secondo singolo – esce potente: “Io sono Franco Fanigliulo” mi piacerebbe saperne di più, ma molto di più!
È un artista che ammiro moltissimo, per l’ironia delle sue parole, per la teatralità delle sue performance. Si ispirava agli chansonniers francesi da un punto di vista melodico e gran parte le sue canzoni sono abitate da una sottile vena malinconica che mi ha sempre colpito. Credo sia uno dei tanti parolieri musicanti italiani che meriterebbero maggiore considerazione, come per esempio anche Piero Ciampi, Maria Monti, Enzo Maolucci e molti altri e molte altre…
Tornando a Fanigliulo, l’ho scoperto con “A me mi piace vivere alla grande”, pezzo incredibile scritto con il grande Daniele Pace degli Squallor, ma la citazione a cui ti riferisci in realtà è un omaggio a “L’artista”; una canzone bellissima che racconta con un’ironia a dir poco tagliente il concetto del ruolo di “artista” o “autore” nella contemporaneità.
“Io sono il grande, io sono l’artista, il divo, il mito / Io sono vestito di gloria, di fama, di teatralità / Sono nato e per questo un predestinato io sono sicuro / Sono maturo per trionfi futuri ed immortalità / Quello che inventerò è la verità / Gesti e frasi e incredibile capacità.”
Nonostante sia del ’79 direi che calza piuttosto bene ancora oggi.
Nel video di Rrose Sélavy l’ambientazione è una discoteca d’altri tempi e pesci ballanti… cosa ci raccontano?
Sì, l’abbiamo girato al Le Roi di Torino, storica sala da ballo degli anni ’60, progettata da Carlo Mollino.
Il periodo in cui abbiamo realizzato il videoclip, circa un anno fa, era il concetto stesso di discoteca, così come quello di “corpo danzante”, ad essere, come dire, d’altri tempi. Probabilmente ancora oggi è così. La canzone è ricca di riferimenti a figure del passato che in qualche modo sono sempre presenti, come ogni cosa d’altronde. Quindi a partire da questa idea, di un presente come luogo “infestato” dal ricordo malinconico e surreale di un passato pieno di lucine e colori, o forse di un futuro verosimile ma irrealizzabile, si è sviluppato tutto il video. Poi mi richiamava il Cabaret Voltaire dadaista degli anni ’20 del secolo scorso, ed essendo entrati violentemente negli anni ’20 di questo secolo mi sembrava perfetto.
I pesci, in tutta sincerità, io non li amo particolarmente, in quanto abbiamo avuto numerose divergenze in passato a causa di alcuni debiti di gioco che secondo loro non avrei pagato a un loro cugino anni fa alla Sala Macao di Pistoia. Diciamo che invitarli nel videoclip è stato un modo diplomatico per chiudere definitivamente questa storia dei 100kg di plancton scomparsi da quei magazzini.
I tuoi riferimenti sono lontani, anche musicalmente le sonorità elettroniche sono influenzate dalla disco anni ’70: È un’epoca in cui hai sostato molto nel tuo attraversare i secoli?
La disco in particolare è un’influenza che arriva più da Richard Floyd, producer e grande addestratore di testuggini acquatiche. Credo che comunque anche lui come me ci sia arrivato attraverso la french touch anni ’90/2000, o con i sample hip hop della golden era. Detto questo gli anni ’70 sono stati un’epoca florida per la sperimentazione musicale, dal prog al glam al punk, passando appunto per la nascita dell’elettronica. Lo fu per le arti visive, per il cinema, per la letteratura, per la politica. Ma furono anche degli anni complessi, di delusione e di disincanto, il sogno hippy degli anni ’60 era finito lasciando spazio ad un bad trip collettivo che sarebbe culminato prima nel nichilismo punk e poi nell’oscurità emotiva della new wave piuttosto che nella trepidazione nevrotica della disco 80’s.
Tutta questa materia vive il suo specchio fantasmico oggi, un’epoca apparentemente arida e svuotata di ogni credibilità. Un presente appunto “infestato” da ciò che poteva essere e che mai sarà. E proprio per questo fertile.
Cosa aspettarci dal tuo ep uscito il 25 febbraio Giovane Cagliostro?
Un’apologia della caduta, un cantico della decadenza, una scapigliata mistica del crollo degli idoli e delle frane culturali.
“Vinnie Marakas è profeta, imbroglione, sciamano, mentitore, poeta e impostore” si legge nella tua bio. Qual è la tua più riuscita alchimia?
Quella che ancora deve accadere.
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