R E C E N S I O N E
Recensione di Riccardo Talamazzi
Possiamo veramente affermare che, nel caso del quarantenne sassofonista francese Emile Parisien, un festival jazz come quello di Marciac – su YouTube circolano molti concerti registrati nel corso degli anni in questa località dell’Occitania – sia stato un importante propulsore della sua attività professionale. Proprio in questa manifestazione Parisien ha avuto l’opportunità di testare le proprie capacità strumentali con partner di livello come Wynton Marsalis, Clark Terry, Bobby Hutcherson e altri ancora. Con questo suo nuovo album Louise egli celebra i dieci anni di sodalizio con ACT potendo contare alfine su una dozzina di dischi prodotti finora in carriera, tenendo conto anche di quelli pubblicati con altre etichette. Il sax dentro cui soffia Parisien è il soprano ma in questo caso non vale l’usuale paragone con Coltrane. Niente trascendenze, niente rabbia, Parisien si avvicina alle sonorità pulite di un Sidney Bechet anche se l’essenza musicale è molto diversa. Il nitore sonoro del suo strumento si mantiene costante anche nei momenti più concitati, conservando una particolare nuance luminosa ed una mercurialità personalissima nel passare tra i diversi stati emotivi proposti dalla sua musica. Nel caso di questo suo ultimo lavoro, Parisien ha organizzato una band che in realtà è un vero e proprio ponte culturale tra gli USA e l’Europa, distribuendo ruoli e tendenze tra personalità differenti che trovano in questo frangente l’occasione per creare una propositiva collaborazione. Ci sono quindi tre musicisti americani come lo straordinario batterista Nasheet Waits – un propellente ritmico alla Art Blackey ma calato ovviamente ai giorni nostri – la tromba vellutata di Theo Crocker – nipote del trombettista Doc Cheatham – e il contrabbasso di Joe Martin. I componenti europei, oltre allo stesso Parisien, sono il francese Manu Codjia alla chitarra elettrica e l’italiano – naturalizzato francese – Roberto Negro al pianoforte.

Il nome femminile dell’album Louise è dedicato alla scultrice parigina Louise Bourgeois, scomparsa da una decina d’anni dopo aver lavorato molto negli USA. L’ispirazione nei suoi riguardi è venuta a Parisien dopo aver visto una delle sue installazioni, caratterizzate da esposizioni in ampi spazi aperti di enormi e incombenti ragni metallici. Secondo l’autrice, che ebbe legami con la corrente surrealistica europea, questi inquietanti aracnidi avevano un significato simbolico materno alludendo alla tela, alla tessitura, alla protezione dai pericoli esterni. Secondo la psicoanalisi il senso può essere interpretato completamente capovolto, vedendo nella donna-ragno il simbolo castrante di chi tiene imprigionato l’essere amato in una struttura vischiosa fatta di eccessive attenzioni e soffocanti premure. Comunque sia la musica di questo album non si dimostra affatto appiccicosa conservando una pulsazione ritmica ben articolata e una solida corposità, controllata e composta anche nei rari momenti più anarcoidi.
Ed è proprio Louise il brano posto come apertura dell’album. È caratterizzato da una sottile linea di tensione iniziale rimarcata dalle note gravi del piano su cui sax e tromba tracciano due linee di riferimento melodico, quasi l’annuncio di un racconto sentimentale dal tono sognante, fino al momento in cui la batteria entra a scandire il tempo e a ricucire i legami con la realtà. Molto belli gli interventi in assolo della tromba di Crocker, trentaseienne musicista con sei album in carriera il cui ascolto potrebbe essere veramente una piacevole sorpresa per chi segue Off Topic… Madagascar è l’unica cover dell’album, composizione di Joe Zawinul tratta da un album live ’75 uscito l’anno dopo la sua morte – 2008 – ma il brano risale indietro nel tempo nella seconda metà dei ’70. Affrontato con una certa spregiudicatezza ma melodicamente simile all’originale, il pezzo ne conserva l’incalzo ritmico e offre la possibilità di ascoltare i preziosi assoli degli strumentisti. Dopo un iniziale assestamento della struttura ritmica di base e i bei sincroni tra sax e tromba cominciamo a partecipare all’esposizione in solo di Negro prima, di Parisien poi e di Crocker che precede Martin, quest’ultimo una vera e propria màcina di note basse che trova il tempo per innescare un breve sincrono con la chitarra di Codija a ribadire il gioco preponderante della ritmica. Solo il batterista resta dietro le quinte ma non certo in seconda fila per importanza strategica. Il brano che segue, Memento, è già apparso in precedenza su un altro lavoro di Parisien uscito nel 2020, Abrazo, in coppia con Vincent Peirani. In questa occasione il pezzo viene ampliato e diviso in tre parti – I, II e III. La prima parte ha un incedere molto lento, quasi funereo, ispirato alla milonga, una danza argentina popolare imparentata con il tango. Il sax che ne affronta il tema ha una timbrica piena, con una sensualità un po’sinistra e una grande variabilità di cromatismi. Il rullare della batteria è un insieme di passi irregolari sopra i quali la chitarra si slancia in un assolo in stile jazz-rock, molto fisico e distorto. Il passaggio alla seconda parte avviene senza interruzione condotto da un intermezzo di piano che ci porta verso una robusta sezione percussiva dove, oltre alla batteria, intervengono tutti gli altri strumenti impegnati in rumori insoliti. Viene impostato un tema completamente diverso dalla parte precedente, sostenuto dall’unisono della tromba e del sax che avviano un’onda sonora un po’ scorbutica, diluendosi anche qui senza discontinuità con l’ultima parte, la terza, della sequenza di Memento. La tromba, solitamente molto melodica e lirica, qui cavalca una vibrazione più funkeggiante mentre il piano ha occasione di mostrarsi in uno scintillante assolo pieno di esuberanza. Quando arriva il sax di Parisien, dopo un suo serrato ma sempre pulito assolo, si procede verso il finale con un tecnicismo raffinato gestito dalla sovrapposizione all’unisono di tromba, chitarra e sax nel tema conclusivo, veloce e tutt’altro che melodicamente semplice.

Il Giorno della Civetta, titolo tratto dall’omonimo romanzo di Sciascia del 1961 e dal film di Damiano Damiani che ne fu ricavato, uscito nel’68, è composizione di Negro, anche se forse in parte ispirata dalla melodia arabeggiante originaria della colonna sonora del film realizzata da Giovanni Fusco. Il brano è introdotto da qualche punteggiatura di contrabbasso che s’incanala poi nella slide della chitarra di Codija fino a trasformarsi in una sorta di marcia funebre – la storia originale racconta dell’omicidio di Augusto Miraglia, sindacalista ucciso a Sciacca, Sicilia, nel 1947 per mano di Cosa Nostra. Il clima mesto, reso nell’accoppiata percussioni e contrabbasso, ricorda il silenzio assolato di una strada di paese in cui s’incrociano via via le voci degli strumenti. Jo-Jo è dedicato al pianista Joachim Kuhn. Si tratta di un brano molto dissonante, in stile free che anche se sembra un po’ scollegato dal clima complessivo dell’album mostra la bravura parossistica dei musicisti, Parisien su tutti. È proprio il trombettista Crocker a tentar di rimettere “le cose a posto”, rallentando e intimizzando l’improvvisazione complessiva, salvo poi riprendere nel finale l’intenzione colemaniana dell’inizio. Con Jungle Jig la band ha preso gusto nella tentazione free e si lancia in una corsa che sembra quasi una dimostrazione di forza, sia compositiva – per il tema elaborato – che improvvisativa. Non si tratta comunque di una dissoluzione musicale ma di una momentanea contorsione emotiva, quasi una sorta di piccola liberazione dall’impegno programmatico originario di Parisien. Prayer for Peace è la struggente e solenne composizione che chiude idealmente l’album, opera di Crocker, trombettista che come ho già precedentemente accennato meriterebbe una marcatura stretta perché, a mio parere, portatore di una sonorità assai interessante e di una creatività promettente fasi ulteriori di sviluppo. Il tema si allarga in un respiro che sa di mare aperto con un sostegno percussivo importante ma non invadente. La vera conclusione dell’album è una ripresa “single edit” di Madagascar, più corta e sintetica rispetto alla seconda omonima traccia con delle piccole variazioni nell’arrangiamento.
Louise dimostra un notevole traffico di idee da parte di Parisien ed un’altrettanta attenzione negli arrangiamenti degli elementi che lo accompagnano. Spiccano su tutti per disarmante personalità sia il batterista Waits con un gran lavoro di sostegno e il trombettista Crocker per saper toccare con nonchalance le corde emotive più profonde dell’ascoltatore.
Tracklist:
01. Louise
02. Madagascar
03. Memento, Pt. I
04. Memento, Pt. II
05. Memento, Pt. III
06. Il Giorno Della Civetta
07. Jojo
08. Jungle Jig
09. Prayer 4 Peace
10. Madagascar (Single Edit)
Photo © Samuel Kirszenbaum
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