Articolo di Giovanni Tamburino
Carlo Corallo è un artigiano della parola. È giovane e ha lo sguardo del mastro siciliano, che nella ruvidezza spoglia del tronco e della pietra sta già tracciando architetture e forme che passano da ieri a oggi con la semplicità di un bambino che cresce giorno dopo giorno.
È quasi possibile, col tocco del polpastrello, sentire la levigatura, gli angoli, come ogni parola sia presa, piegata dolcemente e adattata alla forma, al compito che ha all’interno dell’opera.
Le impressioni che già nel 2019 avevano accompagnato il suo primo album Cant’Autorato diventano certezza con l’uscita del suo secondo progetto. Quando le canzoni finiscono è la risposta di Carlo alle sue esigenze personali di narrazione, ma anche una presa di posizione al mondo che lo circonda. In un contesto musicale in cui a cambiare è prima di tutto la modalità di ascolto, la premura di Carlo non è il successo mainstream, ma anzi impone di sedersi con lui. Rallenta, esplora, assapora il gusto di ogni brano, scoprendo livelli di narrazione sempre nuovi, in cui la riflessione, il vissuto, l’onirico e l’istinto coesistono e mutano all’unisono.

L’idea di base è la slice of life del cinema asiatico, in un equilibrio tra parole e melodia – sempre più presente e influenzata dal mondo delle colonne sonore – che mirano insieme al raggiungimento di un senso. Dalla descrizione del senso di noia del primo disco, si passa al suo opposto, fin dalla copertina realizzata dall’artista romano Lucamaleonte. Cos’altro è un bus in fiamme, se non il simbolo dei nostri tempi dello stravolgimento totale della quotidianità. Attraverso il mutare dei ritmi della parola, di basi che sono diventati veri accompagnamenti e melodie sempre più presenti nei brani, Carlo parla dei mutamenti, cambi di direzioni, traumi, ossessioni che spostano dal sentiero tracciato. L’uscita dall’utero caldo dell’abitudine che porta alla formazione di un nuovo equilibrio, in un viaggio in cui vita propria, altrui e immaginata si mescolano e lasciano intravedere in ogni squarcio a ciascuno sé, quello che si è stati, ma soprattutto interrogano su quello che si può diventare.
“Se chi fa un’opera d’arte non lo chiami artista, ma operaio
Tutto diventa più chiaro”
In questi versi di Elettrodomestici sta la chiave di lettura ideale per descrivere il modo con cui Carlo si approccia alla musica: quello concreto, materiale, di chi parte da un’esigenza reale e, attorno a quella, misura, taglia e assembla per realizzare l’oggetto più in grado di sostenerla.
Non si ferma nemmeno alla propria conoscenza. Osserva e impara, toglie i suoi grandi esempi dal loro polveroso piedistallo – Battiato, uno su tutti – e li seziona per studiarne ogni parte. Sceglie e scarta a seconda dell’esigenza per realizzare insieme a loro ciò che è suo. Coinvolge pure maestranze che possano arricchire la struttura e aiutarlo a raggiungere quanto prefissato: il mentore Murubutu, Funk Shui Project, Anastasio, Mattak e conclude con Roy Paci.
Quando le canzoni finiscono è un disco che trae solidità dal proprio essere vario, che trova modi diversi di articolarsi e svolgersi e attraverso questi configura il proprio senso e la propria coerenza. L’opera è completa, Carlo fa due passi indietro e la scruta. Pensa a cosa nascerà dal prossimo cantiere.
Tracklist:
01. Etimologia
02. Un giardino (feat. Funk Shui Project)
03. Amore, violenza, amore
04. Storia di Antonio (feat. Murubutu)
05. Il capofamiglia
06. Izakaya jazz interlude
07. Elettrodomestici (feat. Anastasio)
08. Barocco
09. F.I.E.N.D.S (feat. Mattak)
10. Natura umana
11. Quando le canzoni finiscono (feat. Roy Paci)
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