I N T E R V I S T A


Articolo di Claudia Losini

I C’mon Tigre ci hanno abituato a farci trasportare in mondi immaginari grazie alle loro influenze musicali ricche e provenienti da tutto il mondo. Scenario si presenta in modo diverso, come uno spaccato della realtà contemporanea che ci permea e ci circonda, è un invito a riflettere sui temi sociali, ecologici e a domandarci cosa ci rende umani. Con questo disco, i C’mon Tigre vogliono mostrarci i contrasti, l’unione, le bellezze e le disgrazie, ci vogliono dimostrare che non siamo diversi l’uno dall’altro, e ce lo mostrano insieme alle fotografie del premiato Paolo Pellegrin, che a sua volta racconta l’umanità in tutte le sue sfaccettature. È un disco profondo che necessita di un ascolto attento e di una mente aperta alle domande e alla riflessione, e noi di Off Topic abbiamo voluto approfondire meglio insieme ai C’mon Tigre le tematiche trattate…

Scenario è un disco impattante, al di là dell’aspetto musicale, per le tematiche sociali trattate. Non ci state solo presentando un vero e proprio scenario mondiale musicale, ma il racconto di quello che accade intorno a noi, uno spaccato di realtà che sta accadendo qui e ora, intorno a noi e fuori dai nostri confini. Com’è nato il concept dell’album?
Scenario vuole raccontare ciò che ci definisce come essere umani, la gioia, la fratellanza, la rabbia, il senso di appartenenza, il dolore, l’angoscia, la violenza, la dignità. I brani di quest’album sono dei piccoli spaccati di realtà, tutt’altro che immaginifici, sono racconti di un osservatore con l’orecchio teso.
Il disco è nato negli ultimi due anni, per ovvie ragioni sono stati anni intensi e l’ispirazione si appoggia sullo sguardo del fotografo Paolo Pellegrin, un’odissea nell’umano e nel disumano.

Kids are electric in questo racconto di scenari, può considerarsi una canzone manifesto? Noi, che da giovani avevamo tanti ideali, diventati “adulti” (metto adulti tra virgolette per indicare l’età anagrafica) tendiamo a dimenticarli e spesso guardiamo con sufficienza i giovani. Cosa possono insegnarci le nuove generazioni?
L’elettricità è energia che collega gli elementi tra loro facendo sì che si attraggano o si respingano. Gli elementi diversi si attraggono e noi parteggiamo per una mutazione dell’attuale società erroneamente basata sull’attrazione dei simili, per un futuro modello di forze in mano alle nuove generazioni.
Kids are electric parla a queste generazioni, qualunque sia il mondo in cui cresceranno potranno sempre muovere quelle energie, chiediamo loro di non avere paura di farlo. Questa è una piccola canzone manifesto, abbiamo bisogno dello sguardo lucido dei ragazzi per ricordarci di quanto abbiamo trascurato l’essenziale.

Il discorso di costruire una realtà alternativa, basata non più sull’attrazione del simile ma sull’energia la connessione di parti diverse ritorna spesso nel disco. Si può dire che anche la stessa ricerca musicale e l’accostamento di strumenti e influenze sonore siano parte di questo processo? Penso all’unione tra chitarre africane e musica elettronica di Twist into any shape, per esempio.
Connettere parti diverse è ingrediente essenziale in C’mon Tigre, musicalmente ed umanamente. Siamo fermamente convinti che i risultati migliori si possano ottenere solamente mescolando le parti, collegando tra loro le differenze, per noi questa è praticamente una regola. Twist into any shape è un buon esempio di questo, almeno musicalmente, ed il film animato di Donato Sansone esattamente spinge in quella direzione.

I C’mon Tigre si possono definire un collettivo artistico: in Racines avete raccolto numerose collaborazioni all’interno dell’edizione speciale, collaborate da sempre con artisti visuali e anche in Scenario da Donato Sansone per il video Twist into any shape a Danijel Žeželj. Quanto è importante per voi l’aspetto visivo, la creazione di un immaginario, nella realizzazione di un brano?
L’aspetto visivo è fondamentale, può succedere che influenzi la scrittura della musica, ma più spesso tendiamo a comporre prima con un immaginario in mente, che realizziamo poi.
C’è un forte legame tra le due forme d’espressione, e l’una riesce difficilmente a prescindere dall’altra nel nostro modo di lavorare.

In una società che ci vuole iper performativi ed individualisti, dove si pone l’idea della collettività? Può essere uno di quegli scenari alternativi che si possono costruire?
Sicuramente. L’isolamento e la chiusura non possono portare ad un’evoluzione, la cosa ci sembra abbastanza oggettiva. L’apporto degli altri è sempre qualcosa che aggiunge, che migliora.

Per l’edizione speciale di Scenario avete prodotto un libro di foto di Paolo Pellegrin, fotografo Magnum pluripremiato ai World Press Photo Award, che con le sue immagini documenta scenari di guerra, realtà altre da quelle a cui noi siamo abituati. Cosa vi ha portato a scegliere lui?
Ci siamo conosciuti tempo fa, ci chiese di sonorizzare alcuni interventi filmici all’interno di una sua personale.
Il valore dell’opera di Paolo è immenso, la sua visione preziosa. Paolo ha passato gli ultimi 30 anni a documentare il mondo. Vive e testimonia tematiche che riguardano condizioni di vita, di povertà, di dolore e di violenza, attuando sempre un approccio antropologico. C’è molto rispetto reciproco fra noi, avevamo voglia di fare qualcosa assieme, Scenario è nato così.

Scenario necessita di un ascolto attento e approfondito, per cogliere tutti i riferimenti sonori e culturali. Quanto è importante, soprattutto oggi, avere la disposizione d’animo per riuscire ad ascoltare e sentire senza pregiudizi?
Le dinamiche di ascolto sono cambiate, cambiano continuamente, il tempo sembra stringere esponenzialmente, ma di certo crediamo che la fruizione della musica non possa essere mai deviata da pregiudizi. La musica ha quel valore attrattivo che a volte è difficile spiegare, ha qualcosa di magico che appunto viaggia all’opposto del concetto di pregiudizio. Bisogna farsi prendere e portare altrove.

Photo © Margherita Caprilli