R E C E N S I O N E
Recensione di Riccardo Talamazzi
Verrebbe da dire: finalmente! Dopo circa cinquant’anni di carriera John Scofield compie il “grande passo”, cioè un’incisione in solitudine – o alla peggio con qualche loop di accordi preregistrati – in un disco ECM intitolato semplicemente a suo nome, John Scofield. Operazione, questa, che per come è stata progettata e tecnicamente realizzata – una rigida separazione nei due canali stereo del suono della chitarra, sia quella solista che quella preincisa – non può non portare alla memoria alcune storiche esperienze analoghe. La prima, che fu al centro di sostenute polemiche da parte della critica musicale del tempo, venne condotta da due pianoforti sovraincisi suonati da Bill Evans in Conversations with Myself del 1963. Rimanendo comunque nell’ambito chitarristico bisogna menzionare Characters di John Abercrombie del 1978 – artista con cui peraltro Scofield pubblicherà l’album Solar nell’84 – dove il collega americano compie pressoché un’operazione analoga a quella di Evans. Lo stesso Abercrombie, però, nel 2005 edita Solos-The jazz sessions, questa volta in assoluta e perfetta solitudine. Scofield, invece, decide di operare in questo suo ultimo album in modo differente, mescolando un po’ le carte a disposizione. Accanto a brani realizzati per chitarra “solo”, cioè senza alcun accompagnamento – vedi ad esempio la traccia numero nove di questo album, lo standard My Old Flame, oppure anche la numero undici, Since you asked, di sua composizione – Scofield aggiunge altri brani in cui due chitarre s’appoggiano l’una all’altra utilizzando la summenzionata metodica a loop.Ma al di là di scelte soggettive e personali che competono esclusivamente ad ogni musicista, Scofield stesso ha spiegato come, nella sua carriera, si sia sempre impegnato a suonare con “slamming” band, come racconta in un’intervista al quotidiano Boston Herald. Gruppi, cioè, in cui la parte ritmica è fondamentale e forse è proprio per questo motivo che diventa quasi naturale appoggiarsi ad una componente aggiuntiva che scansioni il tempo e dia un senso manifesto alla battuta, non solamente sott’inteso come avviene invece in un percorso strumentale in completa solitudine.

Senza aver mai rinnegato le influenze provenienti dal rock e dal country, Scofield percorre in questo disco un affascinante viaggio consuntivo attraverso il proprio percorso musicale. Sebbene egli non possa affrontare una delle sue dimensioni originariamente più congeniali come quella del jazz-rock, data l’ovvia dimensione scarna richiesta da questo album “solo”, il settantunenne chitarrista americano si riallaccia alla dimensione emotiva e professionale di alcune tra le molte personalità musicali conosciute nella sua storica carriera. Dopo aver incrociato negli anni ’80 Miles Davis che l’aiutò a mostrarsi all’attenzione del grosso pubblico, vengono qui ricordate una serie di icone del jazz, tra cui Keith Jarrett, con cui Scofield non suonò mai ma che in quest’album viene rappresentato proprio con un suo brano posto in apertura del disco. E poi si figura il profilo di Joe Lovano in Since you Asked, quello di Brad Mehldau con Mrs. Scofield’s Waltz, Gerry Mulligan e Chet Baker in There Will Be Another You… E ancora standardstorici, artisti rock’n ‘roll, un brano tradizionale come l’arcinoto Danny Boy, nonché alcune composizioni proprie. L’intreccio delle conoscenze professionali e degli influssi ricevuti durante la sua attività spesso traspare in controluce con una serie di rimandi e di ricordi sottesi, come fossero una sorta di omaggio, a tratti espressamente dichiarato, a tutto ciò che ha contribuito alla sua formazione musicale. Il suono della chitarra rimane nitido durante tutto lo svolgersi dell’album, solo con qualche effetto di base, qualche sporadica impennata elettronica in una musica che resta però volutamente sfebbrata nel suo incedere senza fretta. Non c’è l’ansia di arrivare al punto, piuttosto il piacere di prendersi il tempo necessario per passeggiare tra le ballate, i moderati swing e gli accenni di effervescenza ritmica che movimentano la sequenza delle tracce.
Si comincia il tour con Coral, un vecchio brano di Keith Jarrett che uscì in un disco di Gary Burton, The New Quartet del 1978. Un frammento teoricamente semplice per le relative poche note che appaiono sul Real Book ma che Jarrett, suonandolo talora dal vivo, ha volutamente “complicato” rendendo spesso la linea melodica difficilmente percepibile se non nell’ultima parte della traccia. Presenti, all’origine, insolite modulazioni che alterano l’iniziale classica sequenza jazz II-V-I. Scofield rende Coral una perfetta ballad, dai toni soffici e in penombra, semplificando non tanto la linea melodica quando la struttura armonica, permettendo così al tema di essere meglio percepito. È presente l’apporto di uno schema di accordi in loop sostenuto da una sovraincisione di una seconda chitarra. Honest I Do è una composizione dello stesso Scofield, anch’esso eseguito con l’apporto della duplicità strumentale. Il brano venne pubblicato nel 1992 nell’album Grace Under Pressure. È curioso osservare la coincidenza delle prime note presenti nell’attacco con quelle di Tears In Heaven di Eric Clapton, che uscì casualmente lo stesso anno. Si mantiene lo schema strutturale a deux guitares nello standard che segue, It Could Happen to You. Il pezzo fu scritto da Jimmy Van Heusen e Johnny Burke nel 1943 e finì nel soundtrack del film di George Marshall Un fidanzato per due (And the angels sing) che uscì nelle sale l’anno dopo. Questo brano è uno degli standard più eseguiti nella storia del jazz. Si possono ricordare infatti, tra le altre, le versioni di Miles Davis (dall’album Relaxing – The Miles Davis Quintet 1958), di Kenny Dorham (dall’LP Inta Something – Kenny Dorham & Jackie McLean 1962) e di Chet Baker (Chet Baker sings – Chet Baker 1958). Il brano viene qui eseguito da Scofield in modo classico e swingante con il solito schema dell’accompagnamento in sovraincisione. L’assolo è un delizioso ”manuale di comportamento chitarristico” in fase d’improvvisazione, suonato in scioltezza e con grande perizia tecnica. Danny Boy è un traditional irlandese, conosciuto anche come Londonderry Air. Non elenco il numero di artisti jazz e pop-rock che l’hanno interpretato perché non mi basterebbe lo spazio a disposizione. Parrebbe, nella prima parte, di ascoltare il brano eseguito da Scofield come un assolo puro, senza ulteriori interventi aggiuntivi. Ma nella seconda parte il traditional diventa quasi un “raga”, con una sequenza di note sostenute di chitarra a simulare un bordone su cui Scofield conduce una scala a sviluppo modale. Elder Dance è un curioso boogie-blues, una sorta di “danza della terza età” come ironicamente suggerisce il titolo, per sdrammatizzare il passare del Tempo.

Mrs. Scofield’s Waltz composto dall’autore, è tratta dall’album Works for Me del 2001 che vedeva la presenza di una superformazione, accanto al chitarrista, tra cui Brad Mehldau al piano e Kenny Garrett al sax contralto. Si tratta di un delicato brano nel classicismo ¾ del tempo di valzer, presumibilmente dedicato alla moglie. Potremmo definirlo come un tranquillo esercizio di stile, una danza felpata condotta in punta di dita. Junco Partner è un vecchio blues in sedici battute, anziché le classiche dodici e probabilmente, in origine, era una “prison song”. Se qualcuno si ricorda di questo titolo è plausibilmente perché il brano era incluso nel celeberrimo disco dei Clash Sandinista pubblicato nel 1980. Ma ve ne sono in giro molte altre versioni dopo la prima comparsa su disco nel 1951 ad opera del cantante R&B James Waynes, ad esempio le riproposizioni di Louise Jordan, Doctor John, Professor Longhair ed altri ancora. There Will Never Be Another You è un altro dei numerosi standard presenti in questo disco e fu composto da Harry Warren e Mack Gordon nel 1942 per essere inserito nella colonna sonora di Iceland, film uscito nello stesso anno. Tra i ricordi di Scofield questo pezzo fu una delle prime apparizioni che lo videro a fianco di Gerry Mulligan e Chet Baker in un concerto dal vivo alla Carnegie Hall di New York, da cui fu estratto un doppio LP uscito nel 1974, Carnegie Hall Concert – i più curiosi e tassonomici potranno ritrovare Scofield anche a fianco di un batterista italiano, Roberto Gatto, ad eseguire il medesimo brano in Ask del 1987. Anche in questo caso due chitarre sovrapposte, molto swing e mestiere. Uno stupendo, ulteriore standard è My Old Flame, composto nel 1934 da Arthur Johnston e Sam Coslow. Anche in questo caso questo pezzo finì per far parte della colonna sonora di un film, Belle of the Nineties, uscito nello stesso anno e che vedeva come protagonista l’esuberante attrice Mae West. Come tutti gli standard è quasi impossibile risalire alle numerose paternità putative di questo pezzo, ma di sicuro la versione che offre Scofield è tra le più essenziali – e per questo più interessanti – riproposizioni che abbia mai ascoltato. Senza sovra incisioni, senza loop, con un’abile sottrazione stilistica che toglie ogni sensazione superflua. A mio parere è il brano migliore dell’intera raccolta. Not Fade Away è una traccia portata al successo da Buddy Holly, un tipico rock’n’roll con una ritmica alla Bo Diddley. Si tratta di un tributo a questa musica da parte di un chitarrista come Scofield che ha sempre raccontato di essersi invaghito del suo strumento soprattutto passando attraverso questi classici tra i’50 e i ’60. Qualche sonorità di chitarra condita con intrusioni effettistiche compare verso metà brano, per la verità troppo lungo e discretamente noioso. Since you asked è una “storica” composizione dello stesso Scofield che ha fatto parte dell’album Time on my Hands pubblicato nel 1990 dove accanto al chitarrista suonavano pure Joe Lovano e Charlie Haden. Qui la chitarra è singola e l’autore se la cava da solo tra le armonizzazioni con le corde basse e le note del tema. Brano piuttosto complesso, dall’andamento bluesy, affascinante, un approccio a fuoco lento verso il nucleo energetico della sua musica. Trance du Jour è un’improvvisazione estemporanea costruita su un loop di accordi che ha per modello, per ammissione dello stesso Scofield, una struttura quasi free alla John Coltrane. You Win Again omaggia, questa volta, Hank Williams in uno dei suoi classici pezzi. Le atmosfere country riemergono con un’impronta che ricorda i recuperi di Bill Frisell, bending a chiodo e forse bottle neck in aggiunta per simulare, almeno in parte, l’effetto steel-guitar. Proprio quest’ultimo brano, in solitaria policromia, s’allinea con le altre cose migliori fin qui ascoltate.
Per riassumere, si tratta di un lavoro, questo John Scofield, che non è solo una sequenza discreta di puri omaggi, un po’ a sé stesso ed un po’ a momenti eclatanti del passato musicale statunitense. Si cela, invece, anche una componente devozionale verso quel patrimonio culturale che ha fatto la storia americana, dall’irrompere delle brillantine del rock’n’roll ai paesaggi semi desertici del Sud evocati dal country, fino ad arrivare alle corti urbane ed ai suoi riti jazz. Niente di particolarmente nuovo, quindi, o di specificatamente complesso. Piuttosto un sentimento quasi tenero, direi affettuoso verso un passato che sembra non trascorrere definitivamente mai.
Tracklist:
01. Coral
02. Honest I Do
03. It Could Happen To You
04. Danny Boy
05. Elder Dance
06. Mrs. Scofield’s Waltz
07. Junco Partner
08. There Will Never Be Another You
09. My Old Flame
10. Not Fade Away
11. Since You Asked
12. Trance De Jour
13. You Win Again
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