R E C E N S I O N E
Recensione di Andrea Notarangelo
Tredici anni dopo l’ultimo album in studio The Incident, ritornano con prepotenza i Porcupine Tree. La band di Steven Wilson, per l’occasione, ha creato una grande aspettativa e, nell’ultimo momento, ha indotto i fan a un battage mediatico incessante. Il costante rilancio di tutti i misteriosi post della band in rete, ha fatto il resto e oggi abbiamo tra le mani il nuovo Closure/Continuation. Si è parlato molto, già prima dell’uscita, e i quesiti erano tanti. Uno su tutti? Capolavoro o disco scialbo? Alla domanda sul come è avvenuto il processo creativo e compositivo di queste sette nuove tracce (dieci se consideriamo la versione espansa comprensiva di tre bonus track), la band ha risposto che si tratta di canzoni iniziate una decina di anni fa che si sono arricchite col tempo, con l’innesto di dettagli da parte dei tre membri superstiti della band. Con Wilson, infatti, sono ancora della partita anche l’inseparabile tastierista Richard Barbieri e il fenomeno della batteria Gavin Harrison. Quest’ultimo, per tecnica, gusto e scelte stilistiche, per chi scrive può essere considerato a tutti gli effetti il miglior batterista in circolazione (con buona pace di Danny Carey dei Tool e Tomas Haake dei Meshuggah). Possiamo credere a quanto dichiarato dalla band? Non è importante ai fini del giudizio del prodotto finale, ma per quel che mi riguarda, il dettaglio è indispensabile e credo sia proprio l’attenzione maniacale per questo aspetto che faccia la differenza fondamentale tra un buon giudizio e uno equo. Della formazione “tipo”, durante gli anni si sono persi per strada Colin Edwin, semplicemente magistrale al basso e John Wesley (non solo chitarrista ma quasi un quinto membro della band seppur mai in veste ufficiale), e questo farebbe propendere per la veridicità di quanto dichiarato. Dopo l’ultimo album e l’apice toccato in termini di vendite, è difficile pensare a uno scioglimento tout court ed è quindi più probabile immaginare una pressione mediatica e interna che abbiano portato ad una pausa di riflessione e una revisione di priorità da parte di alcuni membri della band mentre si pensava al seguito di The Incident. È invece più probabile che la faccenda si sia svolta in altro modo ed è così che iniziamo a parlare di Closure/Continuation.

Le canzoni, più che rappresentare un continuum con l’ultimo disco dei Porcupine Tree (album per stessa ammissione di Wilson nato da una sua idea e al quale gli altri membri della band hanno fornito un contributo pratico), sono più vicine ai precedenti lavori e, come struttura, si accasano tra Fear Of a Blank Planet del 2007 (di questo disco si ascolti la traccia Way Out of Here) e il precedente Deadwing, del 2005 (dove un esempio sulla struttura lo si ritrova nella bellissima Halo). I singoli anticipatori sono addirittura tre: Harridan, Of The New Day e Herd Culling. In seguito si è aggiunto Rats Return. Il primo singolo è anche la prima traccia del disco e si apre con il basso suonato da Wilson stesso. La traccia si fa notare per una parte vocale ben curata e un refrain destinato a restare nella testa dell’ascoltatore per molto tempo. Il lavoro ritmico è sopraffino e riempie l’ossatura della canzone in modo naturale senza risultare invadente. A seguire Of The New Day che si apre con un cantato beatlesiano e pieno di sentimento, fino a quando, a circa due minuti, la traccia si colora di nuove sfumature con un bell’intreccio tra la chitarra distorta e le tastiere di Barbieri. Sembra un piccolo ritorno al passato, al primo periodo psichedelico della band, ma è solo sensazione, il gruppo ha aperto un nuovo corso e questo prosegue inesorabile album dopo album. Si tratta della canzone più breve del disco. A seguire Rats Return, il quarto estratto in ordine cronologico, nella quale la struttura progressive è ben evidente, così come le influenze degli Opeth nel loro lato più ritmico e melodico. In una voce semi effettata ci viene narrata una danza di guerra e di truffa, di come degli ideali rivestono in realtà le pessime intenzioni di governi e dittature senza scrupoli. In chiusura vengono citati Gengis Khan, Pinochet, Mao Tse Tung e Kim Il Sung. La successiva Dignity è una canzone che cresce con gli ascolti e nella quale si apprezza, qui più che mai, il lavoro corale della band. È l’apice del disco, un momento inaspettato in cui l’attacco e la melodia portante si sposano perfettamente con i continui cambi di ritmo. In Herd Culling, le tastiere di Barbieri salgono in cattedra e creano la giusta sfumatura sinistra che consente al pezzo di eccellere fino al momento di silenzio e all’esplosione finale della band nell’ultimo minuto e mezzo. Walk The Plank sembra quasi una rilavorazione di un pezzo di Fear Of a Blank Planet e non è un caso, in quanto le tematiche si avvicinano di molto. Se in quel caso però la paura era dovuta a una tecnologia imperante, oggi abbiamo invece una società 2.0 irrequieta, travagliata, che cerca di ribellarsi all’idea di un uomo considerato un numero tra tanti e che prova invece a riportare l’essere umano in una posizione centrale. Chimera’s Wreck è un degno finale nella quale lo spettro dei Rush è ben evidente. Il disco si chiude con le tre bonus Population Three, Never Have e Love in the Past Tense delle quali, solo la prima è degna di nota e non avrebbe assolutamente sfigurato all’interno del disco, mentre le altre, comunque delle buone tracce, sembrano più delle jam session di lavorazione.
A questo proposito mi permetto di fare un appunto. L’album è disponibile nella versione base (con sette tracce), in quella vinile e vinile deluxe trasparente oltre che deluxe cd blue ray e audio spaziale e quella standard ma che presenta le tre tracce aggiuntive. Tutto questo ovviamente a prezzi differenti. A tal proposito si apre una riflessione su cosa significhi oggi pubblicare dischi e se effettivamente la musica è ancora qualcosa che unisce le persone o le categorizza in ricchi e poveri. Il disco, per tornare alla domanda iniziale, non è un capolavoro ma è ottimo e presenta canzoni che in resa live sprigioneranno la migliore energia possibile. Parafrasando il titolo, Closure/Continuation, occorre capire se si tratterà di un epitaffio o di un nuovo rilancio, perché è bene che Wilson & Co. si chiedano seriamente se la loro produzione artistica è destinata a un pubblico amante della musica, oppure solo al collezionista asettico, amante del feticcio. Chiusura? Continuazione? Oppure rimuovendo la barra tra le due parole del titolo, “proseguimento della chiusura”? Ai posteri l’ardua sentenza.
Tracklist:
01. Harridan
02. Of The New Day
03. Rats Return
04. Dignity
05. Herd Culling
06. Walk the Plank
07. Chimera’s Wreck
08. Population Three
09. Never Have
10. Love in the Past Tense
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