R E C E N S I O N E
Recensione di Riccardo Talamazzi
La musica, da quando è stata “inventata” copiando inizialmente i suoni della natura e cercando di dare loro un senso estetico, cioè qualcosa che stimoli in profondità le emozioni degli esseri umani, ha sempre dimostrato di cercare un equilibrio tra metodo e contenuto. Deve esserci stato uno scopo originario nel mettersi a suonare uno strumento musicale, non fosse altro che per rendere più tollerabile l’aspetto drammatico dell’esistenza. David Murray, nel corso della sua lunga e fertile carriera di sassofonista e clarinettista, dall’alto del suo centinaio di dischi prodotti come titolare e co-titolare, più una cinquantina di collaborazioni disseminate lungo il suo percorso, non ha mai evitato di mostrare chiaramente i contenuti della propria musica, fin da quando s’innamorò del free-jazz nei ’70. Ma a partire dalla prima pubblicazione discografica in poi – si era nel 1976 – si è compreso via via come Murray non fosse interessato da alcun nominalismo di genere e come invece si stesse allontanando da quei primari modelli ispirativi per assimilare ed includere tutto un insieme di altri stimoli, dal soul al blues, da influenze caraibiche al funky, andando ad incrociare il suo strumento persino con quei bei tomi dei Grateful Dead nel mondo del rock. Insomma, Murray ha da sempre adattato i contenuti che aveva nella sua mente con forme rappresentative ed esecutive differenti, suonando in duo, trio, quartetto, quintetto, big band. Il New Brave World Trio con cui si esibisce nel suo ultimo album, Seriana Promethea, si è formato nel 2020 andando a pescare due colleghi americani che operavano in Italia, cioè Hamid Drake alla batteria – ci sono già una ventina di pubblicazioni nel suo curriculum – e Brad Jones al contrabbasso, anche lui con un vero e proprio elenco chilometrico di collaborazioni più qualche uscita come titolare. D’altra parte, così afferma Murray stesso, il trio piano less è “my most free expression of myself” e quindi il naturale palcoscenico per un’esperienza musicale appagante. Insieme alla voce umorale dei suoi strumenti a fiato, troviamo quindi una batteria esuberante ma non soverchiante, una struttura percussiva che “si sente” ma non innesta alcuna saturazione sensoriale. Il contrabbasso ha sfumature quasi più rockeggianti ed appare molto deciso nella ricerca di robusti riff di sostegno. Quanto al curioso titolo dell’album, se ho ben inteso le note stampa, pare si riferisca ai nomi di una coppia di performers che si erano esibite con l’Autore nella cittadina di Arce, nella Valle del Liri.

Ed è proprio il brano omonimo, Seriana Promethea, ad aprire l’album. Murray imbraccia il clarinetto basso mentre il contrabbasso innesca un bel “riffone” che mi ha ricordato l’esperienza dei Morphine in Cure for Pain del 1993. Batteria secca molto rock e clarino basso che inizialmente suona il tema per poi allontanarsene attraverso tentazioni blues, rumore di tasti a vuoto e scorribanda free che però si modella lentamente, senza esplosioni evidenti – quelle compariranno nei prossimi pezzi…Necktar è una composizione già testata da Murray nell’album di Kahil El’Zabar Spirit Groove, del 2020, dove il Nostro è ospite accanto al polistrumentista di Chicago. Qui le cose prendono parzialmente un’altra piega e si accenna ad una forma di swing con la propulsione arietica del contrabbasso e batteria, veramente due vere e proprie macchine da guerra. Ma non è da meno Murray che s’imbuca in una serie di scale free tra Archie Shepp e Albert Ayler, per la verità un po’ obsolete ma sonicamente efficaci. L’assolo di Drake è un esercizio di spettacolari monocromie percussive con diretti richiami alla terra d’Africa, mentre quello di Jones lavora su poche note ma incisive, quasi strappate dal manico dello strumento, fino alla ripresa finale del sax tenore di Murray. Metouka Sheli (Ballad for Adrienne), titolo in ebraico che significa “comprendimi”, è un brano introdotto dal contrabbasso, stimolato lungamente dall’archetto prima dell’irrompere del sax dai suoni pastosi, prolungati e lenti, con Drake che scandisce il tempo con metronomica caparbietà. La traccia in questione porta lo stesso nome di una canzone di Itzik Kala, famoso cantante israeliano, ma sembra che il brano proposto sia completamente diverso o totalmente stravolto rispetto al riferimento accennato. Rainbow for Julia è dedicata alla nuora di Murray. Il tema in sé dice poco, sembra una canzone pop come altre. Ma è lo sviluppo che prende la mano perché dopo una serie di soffi vibrati di sax la ritmica si mette d’impegno e le tentazioni free riaffiorano in superficie come lava strumentale erotta da un vulcano. Un fiammeggiante intento polemista seppellisce quello che era il tema popular dell’inizio. Anche il contrabbasso parte in assolo, a dire il vero più slegato che in altri frangenti. Si emerge dal gorgo magmatico attraverso il sax che recupera i segmenti sonori iniziali.

Switching in the Kitchen sembra al momento un ritmo latino solo un po’ bizzarro ma come è facile immaginare, Murray si diverte troppo a scivolare sopra le righe, organizzandosi via via in una glassa caotica, seguita dal disarmante candore ritmico di batteria e contrabbasso che in realtà sono ben attenti a mantenere strette le maglie musicali, cimentandosi in un discorso a due quando il sax cessa i suoi acrobatismi. Bisogna esser bravi a non cadere nei cliché e Drake e Jones lo sono in modi diversi. Il contrabbasso per la sua discorsività, la batteria per il suo saltare tra i piatti non ignorando mai l’essenzialità del tempo, fino a quando torna lo spirito inselvatichito di Murray a chiudere il brano. Anita e Annita parrebbe essere una rumba fino a quando il ritmo non si spezza in qualche occasione, accelerando per un poco e poi riprendendo l’assetto latino. Una musica ipervitaminizzata, una vetrina per la tecnica espressiva di Murray, tirata invero un po’ per le lunghe. If You Want Me to Stay è la riabilitazione di un vecchio hit degli Sly & The Family Stone che faceva parte dell’album Fresh del 1970. Un battito di contrabbasso, una rullata secca di tamburo ed il sax insegue l’originale canto di Sly & C. Avevamo accennato, all’inizio, di come Murray non sia mai rimasto fedele ad un unico stile ed in questa circostanza si sente ancor più attratto dal R&Blues macchiato di soul che andava tanto di moda nei’70. Quindi il sax traccia il suo vortice, scende in profondità in cerca di un solido groove e la ritmica ne sottolinea il viaggio in un clima divampante di energia. Non si scende dalla giostra nemmeno all’ultimo giro, nel più classico Am Gone Get Some, dove ritroviamo gli stilemi fin qui ascoltati e la usuale, consueta effervescenza sonica.
Murray progetta un jazz essenziale, per questo album, senza sovra incisioni né voli eccessivamente pindarici, una musica a tratti frenetica, fosca e seducente nella sua cruda metodica formale, affidata com’è ad un’efficiente e continua dialettica strumentale. Una formula a trio che pare essere, per Murray, una ritrovata fonte di eterna giovinezza.
Tracklist:
01. Seriana Promethea
02. Necktar
03. Metouka Sheli [Ballad for Adrienne]
04. Rainbows for Julia
05. Switchin’ in the Kitchen
06. Anita Et Annita
07. If You Want Me to Stay
08. Am Gone Get Some
Photo Credit [1] © Frank Schemmann
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