R E C E N S I O N E


Recensione di Mario Grella

Doppio cd dal vivo per James Brandon Lewis, intitolato Molecular Sistematic Music, che per l’occasione riunisce altri tre musicisti ovvero Aruàn Ortiz al piano, Brad Jones al contrabbasso e Chad Taylor alla batteria che formano il James Brandon Lewis Quartet. Disco edito dall’etichetta Intakt Records e registrato a Zurigo nello scorso mese di maggio. E dopo le informazioni rituali veniamo alle emozioni (irrituali), anche perché i brani,  composti tutti da James Brandon Lewis, ne offrono parecchie e di ampio spettro, con un minimo comune denominatore che potrebbe essere un dinamicissimo groove, con digressioni profonde,  ma sempre nel solco della tradizione e dove tutto sembra costruito attorno al sax di Brandon Lewis, ma che in realtà è la bacchetta magica che rende possibile un amalgama che si potrebbe definire pressoché perfetta.

Lo si comprende all’istante dopo le prime note di A Lotus Speak che erutta vitalismo e colorismo multiforme e naturalmente prosegue con le altre composizioni a partire dall’attacco di Helix con il sax svagato ed errabondo di James, rintuzzato a fatica dal piano di Ortiz. I due strumenti duettano invece intimamente nel magnifico Of First Importance, con quei colpi ritmici di bacchetta sui piatti che sembrano quelli di un metronomo che scandisce i tempi di un idillio indissolubile. E finalmente col quarto brano del primo CD arriviamo alle molecole, a cui fa cenno il titolo dell’album e del brano, ovvero Molecular. Ma siamo sicuri si tratti solo di molecole e non di vere e proprie monadi? La musica di James Brandon Lewis è certamente “molecolare”, formata da molecole che vanno a comporre una grandiosa materia jazzistica, ma è anche un universo composto da universi “monadici” poiché anche il singolo accordo o addirittura il singolo “fonema sonoro” ha in sé una completezza formale, autonoma e sostanziale. In questa cornice melodica, magnifico l’assolo, divergente e vagamente “free” di Brandon Lewis.

Passando al secondo CD ecco il consolante An Anguish Departed che, dopo un’apertura disorientante, sembra assestarsi su ritmi pacati e consolatori, sostenuti soprattutto dal piano e dal contrabbasso di Brad Jones. Qualche asperità sonora, benché molto controllata, la troviamo nell’attacco di Cesaire, che ben presto si risolve in un amalgama melodico caldo ed intenso, mai uguale, ma che anzi si colora di mutevolezza nello sviluppo del brano. Anche in Neosho la melodia sembra improntare tutto il pezzo, ma anche qui sorprendentemente, l’antefatto viene contraddetto da sostenute dosi di sax in libertà che insistono sino nel finale costituito da un ironico e delizioso “diminuendo”, dove l’applauso finale così intimo del pubblico sembra far parte del brano. Si finisce in bellezza direi in grande bellezza, con l’impetuoso Breaking Code che sancisce (quasi dichiara), che se è piacevole e gioioso ascoltare queste molecole musicali, la ricerca, la sperimentazione e la sorpresa, sono pur sempre l’anima del jazz.
Un disco che fa sembrare il jazz, facile da amare, e che è, oltre che una grande lezione di musica, anche una grande lezione di stile.

Tracklist:
01. A Lotus Speaks
02. Helix
03. Of First Importance
04. Molecular
05. An Anguish Departed
06. Cesaire
07. Neosho
08. Loverly
09. Breaking Code


Photo © Palma Fiacco