R E C E N S I O N E


Recensione di Riccardo Talamazzi

Nonostante nessuno dei tre musicisti che compongono questo trio sia originario di Chicago, è proprio in questa città che le loro energie si sono incontrate e hanno dato vita al loro più recente lavoro, A Better Ghost. In realtà siamo di fronte al secondo album in assoluto da titolare del batterista Jeremy Cunningham insieme al saxofonista Dustin Laurenzi e al contrabbassista Paul Bryan, dopo The Weather Up There del 2020. La formazione pianoless non è incentrata però sul ruolo assoluto del sax alle prese con la ritmica. In questa musica è presente infatti una decisa componente elettronica, gestita in egual misura da Laurenzi e da Cunningham con campionamenti, loop e sequencer mescolati opportunamente al synt. Il jazz si sta pian piano abituando ad una sempre più costante presenza di elementi elettronici, anche se stiamo parlando, almeno in questo caso, di un’integrazione condotta in modo discreto, dove gli effetti costituiscono una sorta di cornice in aggiunta ai suoni consueti delle strumentazioni ellettroacustiche. Quello che conta, però, non è tanto l’utilizzo o meno di apparecchiature elettroniche, quanto la sostanza innovativa della musica che oggigiorno proviene prevalentemente da Chicago. Sarà pure un mio personale pallino ma il potere innovativo, svecchiante del jazz che sa offrire questa città, come ho personalmente rimarcato più volte, è qualcosa che appare sotto una luce diversa nell’odierno palcoscenico del jazz americano. Una musica che non avverte tanto il bisogno di recuperare i ricordo degli ancestors, quanto quello di proiettarsi verso un futuro che si scrive giorno dopo giorno, che si allontana dai luoghi rassicuranti del mainstream per imbroccare, o cercare di farlo, strade nuove. Nell’organizzazione di questo album è stato chiesto anche un aiuto esterno a Jay Bellerose per rinforzare le percussioni, a Josh Johnson per il sax contralto, a Will Miller per l’apporto della tromba ed infine all’angelica voce della contrabbassista-cantante Katie Ernst che compare nell’ultimo brano dell’album. L’atmosfera generale di questo lavoro non è delle più rasserenanti che possiamo ascoltare ma la leggera inquietudine che si genera è compatibile con la ricerca di una nuova coerenza poetica e musicale. Siamo di fronte ad un neorealismo in cerca di una chiave di decriptazione compatibile con il mondo contemporaneo, rimanendo al di qua dei confini ambigui del rumore e sfruttando la ricerca tonale per quanto possibile.

L’apertura dell’album offerta da Everything è un po’ ostica, con un prolungato si bemolle del sax mandato in loop e che si continuerà in sottofondo per tutta la durata del brano, ribadendone la struttura modale. Contrabbasso e un fruscio di piatti intervengono su questo drone fino alla comparsa di un raddoppio dei sax dal sapore melodico e sinfonico sul quale Laurenzi innesca il suo assolo, caratterizzato da note prolungate inserite in fraseggi complessivamente brevi che vanno a confluire nell’assieme simil-orchestrale di cui si è accennato. Sul finale compare la voce pre-registrata di Sonny Rollins, gettata nel calderone e ripresa più volte nell’espressione my greatest joy is everything, ribadendo il concetto appena accennato nel titolo del pezzo. Il fatto che il Mondo stia cambiando è sottolineato dal brano seguente, Worlds Turn, scandito da alcuni effetti elettronici iniziali su cui interviene il sax, raddoppiato nella propria voce attraverso una sequenza di echi fino a distorcersi in un suono particolarmente ruvido, mentre la ritmica sale di volume e di dinamica con un andamento vagamente marziale. Sullo sfondo un delicato sampler in loop che si moltiplica via via in altri suoni e che ricorda – curiosamente – l’incipit di Tubular Bells di Mike Oldfield. Quando si raggiunge l’acme i suoni artificiali si mescolano con la batteria e il contrabbasso, rendendo quasi impossibile discriminarne i contorni. Comfort Station viene introdotto dalla poderosa cavata di Bryan al suo contrabbasso, puntellato dall’ottimo servizio sui tom e sul rullante di Cunningham. Il brano si mantiene nell’esclusiva struttura del trio ma Laurenzi non è musicista dalle escursioni funamboliche, preferendo rimanere nell’ambito di fraseggi brevi e meditati. Con A Better Ghost torniamo alle cifre stilistiche fin qui annotate. Un commento elettronico che simula il suono di una marimba e di una tin-drum s’accosta a ritmi velatamente caraibici mentre un basso ultrapotente innesca l’accompagnamento melodico dondolante in 4/4. L’assolo di sax entra drammaticamente in forma modale, con una verve che ricorda quasi l’approccio vigoroso di un Gato Barbieri. Bisogna dire che il gruppo è sempre molto attento agli sviluppi melodici e non s’avventura in cacofonie a fondo cieco, quindi è possibile non perdere mai il filo del loro discorso, anche quando viene coperto da interventi elettronici più o meno evidenti.

New Dust si presenta con un’introduzione solitaria di sax, presto affiancata dalla componente ritmica. Laurenzi s’avventura – ma è una delle rare volte – in qualche approccio out of tune. In questo brano rigorosamente costruito su un’unica scala armonica è possibile leggervi la suggestione di John Zorn e delle sue lunghe cavalcate orchestrali, immerse in strutture ritmiche ipnotiche dalle costruzioni un po’ latine e un po’ afro. Il sax canta adagiandosi sulle basi senza mai perdere il controllo e si avvertono le colorate percussioni probabilmente dovute a Bellerose. Chiude il contrabbasso, sempre molto perentorio di Bryan. With What We Have si costruisce su una bella melodia elaborata col synth che dimostra un’altra angolazione espressiva del trio, frutto di una tessitura ordita in trasparenza con il suono di due sax che si rincorrono, la tromba di Miller in evidenza e una ritmica che procede a passo di marcia. Forse il brano migliore della raccolta, che racchiude elementi cantabili, elettronica, ance e percussioni in seducente equilibrio tra le parti, fino a spegnersi con una coda quasi bandistica. Ray Tracing aromatizza il jazz di Cunningham con una sovrapposizione di riff sintetizzati ed evoluzioni di sax che si intercalano in una circolarità reiterante, fino al momento in cui è solo la ritmica a costituire l’impalcatura su cui il sax s’avventura fino ai confini armonici del brano. By Line si rinserra nel contesto del trio acustico con solo qualche effetto percussivo ed elettronico in lontananza. Sono però il contrabbasso ed il sax a costituire l’anima del brano, con le ampie volute vibranti e tenebrose che Bryan riesce a ricavare dal suo strumento. Laurenzi, da parte sua, mantiene l’aplomb che gli riconosciamo, coi suoi suoni puliti, mai affastellati l’un l’altro e le sue scale ben scandite con senso della misura. Conclude The Way We Remember dove finalmente riusciamo ad ascoltare la Ernst al canto. Il testo è uno scritto di Cunningham dedicato al padre scomparso e la voce è carezzevole e magnetica e sembra impregnata di matrice folk, a metà strada tra Judy Collins e Maddy Prior. Ed è proprio la Ernst che mantiene l’ordine della scansione ritmica mentre la band scantona in un finale anarchico, uscendo dall’eclittica che fin qui aveva mantenuto e concedendosi come ultimo scampolo sonoro un attimo di effervescenza polifonica.

Un terzo occhio in via di sviluppo, mi verrebbe da commentare a bocce ferme. Una visione nuova che stigmatizza da qualche anno questa tendenza alla contemporaneità del jazz e che si muove su più fronti, non ultimo attorno a questo filone melodico-elettronico che rifugge da facili – e trapassate, pace all’anima loro – soluzioni free. Il jazz, lo sappiamo, non è mai stato molto coinciso di per sé, preferendo spesso evoluzioni sonore e fughe sugli strumenti che galvanizzano a volte più gli stessi musicisti che non il pubblico. Non è questo il caso di Cunningham & C. che rifuggono invece da qualsiasi tentazione narcisistica, concentrati come sono sui pensieri concreti della loro estetica musicale.

Tracklist:
01. Everything
02. Worlds Turn
03. Comfort Station
04. A Better Ghost
05. New Dust
06. With What We Have
07. Ray Tracing
08. Bye Line
09. The Way We Remember

Photos © Robbie Jeffers