R E C E N S I O N E
Recensione di Andrea Notarangelo
Ogni uscita dei Pixies è attesa con gioia e Doggerel non fa differenza. Band idolatrata a fine anni ’80 da quella gioventù sonica alla quale faceva parte anche Kurt Cobain e i suoi Nirvana, dopo tre uscite pioneristiche (ci riferiamo a “Surfer Rosa”, “Doolittle” e all’EP “Come On Pilgrim”), la band si è assestata su un genere unico e non privo d’imitazioni. Dopo un periodo turbolento, culminato con l’abbandono della bassista Kim Deal, la band si sciolse per riformarsi solo in occasioni estemporanee o per l’uscita di qualche raccolta antologica. Per chi è nato per far questo mestiere però, non c’è mai un vero addio, ma soltanto un arrivederci ed è così che i “folletti” sono tornati nel 2014 per riaprire un nuovo corso, più maturo e pieno di vitalità. Il nuovo disco (il quarto della nuova avventura), è una piacevole conferma che ci lascia la voglia di averne sempre un po’ di più. Questa descrizione offre la migliore chiave di lettura per la musica dei re dell’alternative; infatti, come si legge dalla cartella stampa, si scopre che Black Francis (cantante e chitarra acustica), ha portato all’attenzione degli altri membri 40 pezzi finiti, dai quali sono state scelte dodici tracce per una durata complessiva di una quarantina di minuti. In questo formato i Pixies danno il meglio e creano album né lunghi né corti, ma della giusta durata. Un po’ come una buonissima torta della quale tu prendi un paio di fette e sai benissimo che avresti spazio per una terza ma decidi di non abbuffarti.

Nomatterday ci accoglie con la chitarra distorta di un Joey Santiago in pieno lustro e con la voglia di sperimentare. Francis è carico e canta di due persone che non si prendono da un po’, mentre la sezione ritmica creata dal batterista David Lovering e dalla bassista Paz Lenchantin a metà canzone decide di rallentare, creando un perfetto diversivo che rende il pezzo irregolare e sicuramente più godibile. La chiave di lettura di questa nuova opera è proprio il gioco dei cambi di tempo inusuali, che rende la maggior parte dei pezzi mai banali. L’ironia dei folletti non è cambiata e un buon riscontro lo abbiamo con la successiva Vault of Heaven, nella quale Francis narra una strana storia mistica di una persona che dalla volta del cielo cade ed entra in un 7-Eleven (catena di minimarket), mentre ripensa alla sua esistenza e ai suoi continui momenti sì e momenti no che caratterizzano la sua vita. Come sempre, occorre utilizzare una grossa immaginazione, ma poco alla volta anche i testi criptici si rivelano in tutta la loro simbologia. Con Dregs of the Wine scendiamo dalla giostra multicolore solo per qualche minuto, per prendere respiro e ricominciare la gita nel parco giochi Pixies, un posto magico che ci accoglie senza tante pretese e dona spensieratezza alla giornata. Doggerel è un disco perfetto per chi ha compreso che gli anni ’90 sono definitivamente passati e che si può ravvivare la fiamma solo con un cambiamento costante ma senza che questo snaturi completamente le proprie basi. I Pixies l’hanno capito bene e questo disco è l’ennesima conferma. Non abbiamo più un Black Francis che urla in maniera sconnessa, ma un cantante che desidera sperimentare tra pezzi tirati e pezzi più rilassati che rimandano ad una sorta di folk inquieto. In tutto questo, il disco sarebbe stato perfetto prorprio senza l’inserimento della title track, che con tutta sincerità non porta a nulla e come chiusura dell’album non lascia il segno. Se il disco si fosse fermato alla precedente e bellissima You’re Such a Sadducee, sarebbe stato perfetto, ma la perfezione non è nella natura dei Pixies, i quali proseguono nell’intento di regalarci un dolce buonissimo che assaporiamo poco alla volta proprio per non rovinarci il gusto e per non esagerare con il colesterolo.
Una menzione a parte e doverosa va alla bassista Paz Lenchantin, la quale ha sempre dato il massimo in ogni progetto musicale in cui è stata coinvolta, ma che nei Pixies ha trovato una seconda casa. Lei crea l’amalgama perfetta perché è riuscita nell’intento di sostituire Kim Deal, una dei fondatori del gruppo e spalla noir perfetta dei deliri mistici di Black Francis. Non era scontato, ma Paz ha assimilato tutti i trucchi di Kim e ha donato un suo personale contributo attraverso una presenza ritmica robusta e mai banale. Una riconferma delle sue qualità e del resto della band le abbiamo avute a Imola il 27 giugno di spalla ai Pearl Jam, con una loro esibizione magistrale e indimenticabile sul limitare del tramonto.
Tracklist:
01. Nomatterday
02. Vault of Heaven
03. Dregs of the Wine
04. Haunted House
05. Get Simulated
06. The Lord Has Come Back Today
07. Thunder and Lightning
08. There’s A Moon On
09. Pagan Man
10. Who’s More Sorry Now?
11. You’re Such A Sadducee
12. Doggerel
Photo © Tom Oxley
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