A R T E – M O S T R E
Articolo di Mario Grella
Forse non tutti sanno che Bruce Nauman, da giovane, aveva intrapreso studi matematici, ma invece di un razionalissimo matematico è diventato un razionalissimo artista, sfatando, ancora una volta, se ce ne fosse bisogno, che arte e razionalità, spesso, molto più spesso di quanto si ami credere, non possano convivere. Ed è proprio applicando il metodo rigoroso dell’indagine scientifica che verità, spesso indiscusse e tramandate, possono non bastare a fornire una percezione univoca e rassicurante della realtà. Visitare la magnifica mostra Neons Corridors Rooms del Pirelli Hangar Bicocca di Milano conferma ampiamente questa tesi ed è quindi fortemente consigliato, fino al 26 febbraio, costringere il vostro corpo a visitarla, visto che anche il vostro corpo diventerà parte della ricerca del grande artista americano. Bruce Nauman usa il corpo (soprattutto quello del visitatore), come materiale scultoreo umano e le sue installazioni non potrebbero vivere senza il corpo di chi le attraversa e le percorre. Il corpo del visitatore si trova a vivere in una sorta di “dasein” per usare un termine caro all’esistenzialismo, nell’opera stessa. “Esserci” questa potrebbe essere la traduzione del termine tedesco: esserci per esperire ed essere esperiti.

La prima opera della mostra curata da Roberta Tenconi e Vincente Todoli, è “Dream Passage with Four Corridors”, una struttura a croce greca fatta di quattro strettissimi corridoi, illuminati da ossessivi neon di colore rosso e giallo, con al centro una piccolissima stanza centrale, arredata da un tavolo di acciaio con due sedie nella parte inferiore e due sedie ancorate al soffitto. Il senso di oppressione data dalla perdita dei riferimenti spaziali consueti, è totale. Del resto è piuttosto chiara la dichiarazione d’intenti sui neon multicolori a forma di spirale appesi nella parete più lunga dell’Hangar “The True Artist Helps the World by Revealing Mystic Truths”. Le verità mistiche di cui parla Nauman sono però piene di razionalità geometrica, come nell’antico “Perfomance Corridor” del 1969, semplicissimo, rigorosissimo e strettissimo corridoio bianco. Sempre a proposito di ossessioni ecco “Get Out of My Mind, Get Out of This Room” del 1968 dove due casse emettono la voce dell’artista che ripete all’infinito il titolo dell’opera e invita il visitatore ad uscire dall’angusto spazio (o forse invita l’ossessione a lasciare la testa dell’artista, ma in questo dubbio sta la magia dell’opera). Tra le opere della navata centrale dell’Hangar mi piace ricordare la straordinaria “Left or Standing, Standing or Left Standing” costruzione rettangolare che ingloba un’altra costruzione trapezoidale pervasa da un’invasiva ed intensa luce gialla, realizzata per Leo Castelli a New York negli anni Settanta e che indaga sulla capacità degli spazi interni di creare ansia. Ancora spaesamento in “Changing Light Corridor with Room” con due luci, a intermittenze sfalsate, e collocate in due diverse stanze che provocano un suggestivo disorientamento spaziale.

Della terza area della navata non si può fare a meno di citare la celebre “Double Steel Cage Piece” del 1974, ossia due gabbie metalliche poste una all’interno dell’altra fra le quali si forma un’intercapedine, o meglio un angosciante e strettissimo corridoio che il visitatore può percorrere strisciando contro le pareti (se ci riesce) e ciò genera, necessariamente, una riflessione sul tema libertà/oppressione (o se preferite libertà Vs oppressione). Impossibile dar conto di tutte le opere installate, peccato per un unico neo, il malfunzionamento di una delle opere più note di Nauman ovvero “One Hundred Live and Die” del 1984: una serie di tubi con testi al neon costituita da 25 coppie dicotomiche di verbi che vanno a formare 100 locuzioni sul concetto di vita e di morte. Naturalmente se i neon sono guasti, l’opera è priva di significato. Peccato. Vorrei citare infine “Musical Chair” del 1983, una sedia di acciaio agganciata ad una putrella in sospensione che evoca tutte le sedie, fisiche o ideali in cui un imputato o un perseguitato esperisce lo spazio circostante, una chiara allusione al tema delle persecuzioni politiche o religiose, di cui la nostra storia è costellata. Nel Cubo dell’Hangar è riprodotto lo spazio di lavoro dell’artista in New Mexico con schermi sui quali si proiettano filmati, di circa 42 ore di riprese, dello spazio esterno in notturna; titolo dell’opera “Mapping the Studio II with color, shift, flip, flop & flip/flop (Fat Chance John Cage). Il riferimento al compositore americano, maestro del caso è legato proprio alla casualità delle immagini.

La mostra realizzata in collaborazione con Stedelijik Museum di Amsterdam e Tate Modern di Londra, è un’occasione unica per entrare in contatto con queste opere che non ci rassicurano, ci mettono ansia e creano tensione, ma che hanno l’impagabile virtù di suscitare in noi il dubbio e, in questi tempi di anestetizzazione delle coscienze e delle menti, non è proprio cosa di poco conto.
La mostra prosegue fino al 26/02/2023. L’ingresso è gratuito con prenotazione obbligatoria tramite il sistema dedicato presente nella homepage pirellihangarbicocca.org




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