R E C E N S I O N E
Recensione di Aldo Del Noce
Alle sue prime sortite discografiche, tutte recenti peraltro, si sarà ampiamente rilevato lo stato di maturità anagrafica cui perveniva a produzione propria il pluri-strumentista, e segnatamente multi-chitarrista norvegese Geir Sundstøl, quasi in coda ad una carriera di richiestissimo e quasi ubiquitario sideman.
L’operoso e curioso artigiano rilascia quindi un nuovo volume presso Hubro (a seguire Furulund, Langen ro, Brødløs e St.Hanshaugen Steel, usciti in meno di un decennio), in cui si era palesato un gusto alquanto personale ed una musicalità sui generis, con netta predilezione per le risonanze di stagno di alcuni cordofoni, temperate gittate rockeggianti e palesi fascinazioni verso la psichedelia pop.

La nuova sequenza ci immette ora ‘in medias res’ negli aggiornati stilemi, particolarmente il reggae-funk dell’introduttiva Gem, solidamente esposta in forma di strutturato passaggio elettroacustico, che tradisce alquanto gli abituali esotismi, mutuati non certo dalle recenti partecipazioni al collettivo di Trond Kallevåg, ma variamente dispensati in diverse stanze della produzione sua.
Analogamente, non nuovo il colorismo d’area francamente ‘Hindustani’ in Dogg, mercé i languori della propria ‘shankar guitar’ ma anche le peculiari disposizioni danzanti del collettivo.
Si cede anche a vaghezze bluegrass (proprie del diversificato DNA del Nostro) in C’est vide en ville, in cui un po’ stupisce l’aggraziata vocina (inusuale caso di vocalità non filtrata da alcuna allure folklorica) ed il cantato in francese (ma sono in buona parte schermate le provocazioni lolitesche in stile Alizée).
Ma la provocazione, più che altro tra le righe, di fatto non latita nell’impianto generale e, pur a fronte della compatta massa corale aprente la conclusiva Whole, anche quest’ultima davvero non eccede (come appunto l’operazione nel suo insieme) nell’imporsi una qualche seriosità, riuscendo dominante ogni soluzione d’arrangiamento improntata a spirito frizzante ed indocile, connotazioni peraltro via via più caratteristiche del talentuoso quanto eccentrico Sundstøl che, nel caso fosse interpellato sullo stato e gli attuali orientamenti della sua ricerca, trancerebbe corto: “Ricerca? Non ve n’è alcuna! Sto solo realizzando brani o musiche che non ho mai ascoltato prima: almeno, questo è ciò che sto cercando di fare”.
Fatti (e suoni) insomma, più che parole, già riportate peraltro a completamento delle note introduttive, nel presente caso dedicate ad una figura parentale avventurosa, cui si deve il primo approccio ad una grande discografia pop, edonorando ancora il patrimonio atavico nell’immagine di copertina, riferibile al Brødrekoret (Coro dei Fratelli), ripreso nella natale città di Halden, nel giorno della propria costituzione, il 17.05.1986, ed includendo con affettuosa e rispettosa ironia i ‘grandi vecchi’ del proprio entourage in un video d’accompagnamento.
Ricordando come questa testata abbia già svolto un‘attenta trattazione sul pluristrumentista in oggetto, diremmo che questi vada sempre più smarcandosi dai debiti d’influenza nei rispetti del làscito, o quanto meno del ventaglio formativo delle grandi firme del mondo anglo-americano delle corde (tra cui sarebbe poco utile enumerare analogie, da Bill Laswell a David Gilmour o a Ry Cooder, tacendo di tutto un cosmo di più o meno anonimi contributori), e in termini d’impronta stilistica sembra che il Nostro si conceda ulteriore tempo per cesellare uno standard ancor più caratteristico per ingredienti e sintesi.
Consolidando il composito sound con un aggiornamento di line-up – in cui rileviamo stavolta nomi meno eclatanti che in passato (Eilertsen e Molvaer in testa), con l’eccezione della affermata figura autoriale di Erland Dahlen, ma s’avalla che tutti gli arruolati rivestano degna caratura entro l’ormai imprescindibile pabulum del Nu-jazz (non fosse che il termine suona ormai logoro e limitativo), anche nei più freschi e rinnovati materiali non è certo poco espressa almeno la naturale curiosità, entro un sound composito ed ondivago, a proprio modo colto e di fluente connotazione esotica, tratteggiato da flussi ondulatori e stati onirici. Ed in buona sostanza tutto quanto tesaurizzato in termini repertoriali nelle partecipazioni discografiche e concertistiche ormai fuori contabilità argomenta ulteriormente l’edificazione della progettualità di Sundstøl, che non rinuncia allo spirito espositivo della vita delle corde vibranti, perseguendo nel culto artigianale del proprio (ed associativo) instrumentarium, con coerente dignità di firma originale.

Erland Dahlen: batteria, drum-machine, tamburi a cornice, steel drums, percussioni, voce
Hans Hulbaekmo: batteria
Hakon Brunborg: viola
Lars Horntveth: sax soprano, Roland paraphonic 505
Nikolai Haengsle: Optigan, chitarra basso
Chimta Raja Abdul: harmonium, voce
Maria Due: voce
Audun Erlien: chitarra basso
Gulzar Butt: harmonium, voce
Bashir Rydhem: banjo
Kjell Pop: mandola
Geir Sundstøl: tri-cone, lap steel, pedal steel, duolian, chitarra Shankar, basso, dulcimer, banjo, mandolino, armonica, timpani, vibrafono ad arco, loops, Korg Minipops
Geir Sundstøl official page
The Studio Intim Session vol. 1 su Hubro Music
The Studio Intim Session vol. 1 su BANDCAMP
Tracklist:
01. Gem (6:16)
02. Dogg (3:29)
03. Snik (3:25)
04. Jekk (5:00)
05. C’est vide en ville (9:18)
06. Whole (3:50)
Per approfondire:
Geir Sundstøl – Esplorazioni senza confini
Trond Kallevåg – Fengselsfugl
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